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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 8 ottobre 2015, n. 40360

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRANCO Amedeo – Presidente

Dott. AMORESANO Silvio – rel. Consigliere

Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere

Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 25/02/2014 della Corte di Appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Silvio Amoresano;

udito il P.M., in persona del Sost. Proc. Gen. Dr. Mazzotta Gabriele, che ha concluso, chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.

 

RITENUTO IN FATTO

 

1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza di 22/05/2014, confermava la sentenza del Tribunale di Milano, emessa in data 17/01/2010, con la quale (OMISSIS) era stato condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi 8 di reclusione per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, applicando d’ufficio le pene accessorie previste dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12, comma 1 (nella misura minima per quelle temporanee).

2. Ricorre per cassazione (OMISSIS), a mezzo del difensore, denunciando l’erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12, con riferimento all’articolo 37 c.p..

La Corte territoriale, nell’applicare le pene accessorie ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 ha fatto riferimento alla misura minima prevista dalla norma per quelle temporanee (e quindi mesi 6 per l’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche, un anno per l’incapacita’ di contrattare per la pubblica amministrazione, un anno per l’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria).

Prevedendo la norma in questione soltanto il minimo ed il massimo delle pene accessorie da applicare, queste non possono ritenersi predeterminate per legge.

Con la conseguenza che trova applicazione l’articolo 37 c.p. che prevede (nel caso in cui la durata della pena accessoria non sia espressamente determinata) una uniformita’ temporale tra pena accessoria e pena principale.

La giurisprudenza piu’ recente della Corte di Cassazione si e’ orientata nel senso di ritenere che nell’ipotesi in cui la pena accessoria sia indicata nel minimo e massimo essa debba essere parametrata alla pena principale.

Nel caso di specie, quindi, le pene accessorie temporanee non potevano avere una durata superiore a quella della pena principale, vale a dire mesi 8.

 

CONSIDERATO IN DIRITTO

 

1. Il ricorso e’ fondato.

2. L’articolo 37 c.p. prevede, nel caso in cui ad una condanna debba conseguire una pena accessoria temporanea non espressamente determinata, che essa abbia una durata uguale a quella della pena principale (anche se in nessun caso puo’ oltrepassare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria).

In relazione all’ipotesi in cui la pena accessoria fosse indicata con un limite minimo o massimo di durata si erano formati due indirizzi interpretativi.

Secondo un primo orientamento, il disposto dell’articolo 37 c.p. non trovava applicazione quando la pena accessoria fosse indicata con la previsione di un minimo o di un massimo, giacche’ anche in tal caso la pena accessoria deve considerarsi espressamente determinata dalla legge e spetta al giudice stabilirne, in concreto, la durata attraverso i parametri di cui all’articolo 133 c.p. (in tal senso, tra le altre, Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, Agrama, Rv. 256581; Sez. 3, n. 42889 del 15/10/2008, Di Vincenzo, Rv. 241538; Sez. 3, n. 25299 del 17/04/2008, Ravara, Rv. 240256; Sez. 3, n. 42889 del 15/10/2008, Di Vincenzo, Rv. 241538; Sez. 5, n. 759 del 21/09/1989, Denegri, Rv. 183110).

Per un secondo orientamento, invece, poteva parlarsi di pena “espressamente determinata” solo quando il legislatore fissasse in concreto la durata, mentre in tutti gli altri casi (sia che venisse indicato il minimo e il massimo, ovvero il solo minimo o il solo massimo), trovava applicazione l’articolo 37 c.p. e quindi la pena accessoria andava determinata con riferimento a quella principale inflitta (cosi’ Sez. 3, n. 20428 del 02/04/2014, S., Rv. 259650; Sez. 5, n. 29780 del 30/06/2010, Ramunno, Rv. 248258; Sez. 3, n. 41874 del 09/10/2008, Azzani, Rv. 41874; Sez. 1, n. 19807 del 22/04/2008, Ponchia, Rv. 240006; Sez. 5, n. 9198 del 15/03/2000, Albini, Rv. 215987).

Le Sezioni Unite, con la sentenza n.6240 del 27/11/2014, Basile, Rv.262328, hanno fatto proprio il secondo indirizzo interpretativo.

Si legge in motivazione: “Non risulta decisivo l’argomento adoperato da Sez. F, n. 35729 del 2013, cit., secondo cui, in presenza di una forbice applicativa, tra un minimo ed un massimo, il legislatore abbia inteso dare applicazione ai principi costituzionali della individualizzazione e funzione rieducativa della pena, demandando al giudice di merito una valutazione discrezionale sulla base dei parametri di cui all’articolo 133 c.p..

Anche ancorando la pena accessoria a quella principale, risultano rispettati, infatti, gli indicati principi costituzionali, dal momento che di essi ha gia’ tenuto conto il giudice di merito nell’applicare la pena principale e, di riflesso, quella accessoria.

Deve quindi farsi ricorso alla interpretazione letterale, tenendo conto anche della collocazione sistematica della norma.

Pena “espressamente determinata” e’ solo quella che sia stata indicata nella specie e nella durata, come del resto confermato dall’articolo 183 disp. att. c.p.p. che consente di rimediare, come si e’ visto, in sede esecutiva, in malam partem, alla omissione dell’applicazione di una pena accessoria, purche’ essa sia “predeterminata nella specie e nella durata”.

La determinazione o predeterminazione per legge presuppone, quindi, che non vi sia margine di discrezionalita’ nell’applicazione della pena. E tanto certamente non si verifica quando sia previsto un minimo ed un massimo entro il quale il giudice possa spaziare.

Ma, a ben vedere, nelle ipotesi alle quali fa riferimento l’indirizzo interpretativo sopra indicato, non puo’ parlarsi neppure di uno “spettro”, di una “forbice” o di un “intervallo” edittale.

Significativamente il legislatore non adopera le preposizioni “da” “a”, cui ordinariamente ricorre nell’indicare la pena edittale per i reati, ma sempre le parole “non inferiore” e “non superiore” oppure “fino a”.

Ulteriore argomento letterale, che fa propendere per il secondo orientamento interpretativo, e’ rappresentato dall’inciso finale del medesimo articolo 37 c.p., laddove si specifica che “in nessun caso puo’ oltrepassarsi il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie di pena accessoria”.

Non vi sarebbe stata, invero, necessita’ di tale precisazione, se il principio della uniformita’ temporale tra pena principale e pena accessoria, sancito dalla norma, non avesse trovato applicazione nelle ipotesi di indicazione di un minimo o di un massimo della durata di ciascuna specie di pena accessoria.

E’ quindi la norma stessa a stabilire implicitamente che il criterio in essa formulato trovi applicazione anche quando sia previsto un minimo o un massimo.

Infine, ragioni riconducibili alla collocazione sistematica della norma confermano gli argomenti di carattere letterale in precedenza evidenziati

L’articolo 37 c.p. e’ norma di carattere generale che e’ collocata alla fine del Capo 3 del Titolo 2 del Libro 1 del codice penale, riservato alle pene accessorie; e’ posto quindi come norma di “chiusura” che trova applicazione in ogni ipotesi in cui il legislatore non abbia diversamente stabilito, attraverso una indicazione precisa della durata della pena accessoria da applicare. Ed infatti, quando il legislatore ha voluto indicare tale durata, lo ha espressamente stabilito, come si ricava dal disposto dell’articolo 29 c.p. in relazione all’interdizione perpetua o temporanea dai pubblici uffici.

Con le espressioni “non inferiore”, “non superiore”, “fino a” si e’, quindi, voluto soltanto stabilire un limite invalicabile, nel minimo o nel massimo, senza alcuna indicazione della durata della pena accessoria, e si e’ demandato al giudice di parametrarla a quella della pena principale”.

3. Risultando le pene accessorie temporanee di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12 determinate solo nel minimo e nel massimo, trova applicazione il disposto dell’articolo 37 c.p..

Esse quindi vanno parametrate alla durata della pena principale.

La pena principale e’ stata indicata in mesi 8, per cui anche le pene accessorie temporanee debbono essere determinate secondo tale durata.

La sentenza impugnata, va, pertanto, annullata sul punto senza necessita’ di rinvio, potendosi provvedere in questa sede.

Ferma restando la durata della pena della interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche (una diversa statuizione si risolverebbe, invero, in mancanza di impugnazione del P.M. sul punto, in una non consentita “reformatio in peius”), la durata delle altre due pene accessorie temporanee va determinata in mesi 8.

 

P.Q.M.

 

Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata, limitatamente alla durata delle pene accessorie temporanee (Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 12), che determina in mesi otto (ferma restando la durata di mesi sei per la interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche).

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