Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 7 aprile 2016, n. 13963
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 8.7.2014, il Tribunale di Lucca, a seguito di opposizione a decreto penale di condanna, pronunciando nei confronti di C.M., M.M. e C.R., imputati del reato di cui all’art. 44 lett. a) dpr n. 380\1990, per avere, nella qualità rispettiva di committente dei lavori, direttore dei lavori ed esecutori degli stessi, in violazione dell’art. 4 p.6 della scheda L.6-normativa di dettaglio del Reg. Edilizio del Comune di Viareggio, omesso di esporre la prescritta tabella indicante gli estremi dell’atto autorizzativo e dell’intervento edilizio, dichiarava i predetti responsabili del reato loro ascritto e li condannava ciascuno alla pena di euro 3.000 di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione M.M. e C.R., tramite il difensore di fiducia, articolando entrambi il motivo, fondato su inosservanza o falsa applicazione della legge penale, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
I ricorrenti, premettendo che la norma incriminatrice, costituita dall’art 44 lett. a) e dall’art. 29, comma 1 Dpr n. 380\2001, è una norma penale cd in bianco, in quanto rinvia ai regolamenti edilizi, deducono che l’art. 4 p.6 della scheda L6 del regolamento edilizio del Comune di Viareggio, norma di rango amministrativo, deve essere correttamente interpretata nel senso che il riferimento al cantiere deve intendersi quale riferimento ad un cantiere effettivamente attivo.
Argomentano che, quindi, poiché, nella specie, al momento del sopralluogo da parte della polizia municipale i lavori al cantiere erano sospesi, il Giudice territoriale erroneamente dava rilievo alla semplice apertura formale del cantiere per ritenere configurato il reato contestato.
Aggiungono, poi, sotto altro profilo, che l’obbligo di apposizione del cartello deve ritenersi esistente a carico del direttore dei lavori e della ditta esecutrice solo al momento dell’apertura del cantiere e non per tutta la durata dei lavori, dovendosi, in caso contrario, ritenere sussistente un inaccettabile e diabolico obbligo di custodia a carico dei predetti.
Chiedono, quindi, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non è previsto come reato dalla legge o con la formula ritenuta di giustizia.
Considerato in diritto
1. I ricorsi sono inammissibili perché basati su motivo manifestamente infondato.
2. Va premesso che il reato previsto dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), ha natura residuale rispetto alle altre violazioni menzionate dal medesimo articolo e sanziona, con la sola pena dell’ammenda, l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal titolo 4 dei menzionato D.P.R. n. 380 del 2001, in quanto applicabili, l’inosservanza delle disposizioni dei regolamenti edilizi, l’inosservanza di prescrizioni contemplate dagli strumenti urbanistici e l’inosservanza delle prescrizioni fissate dal permesso di costruire (Sez. 3, Sentenza n. 29730 del 04/06/2013 Rv. 255836).
Questa Corte, vigente la L. n. 47 del 1985, ha avuto modo di rilevare l’estrema genericità della disposizione, allora contenuta nella previgente, omologa disposizione di cui all’art. 20, lett. a) e la possibilità di una pluralità indiscriminata di utilizzazioni, con conseguente insufficienza della interpretazione letterale, se non altro perché in contrasto con il principio della tassatività delle fattispecie legali penali ed ha posto in evidenza la necessità di delimitarne l’ambito applicativo tenendo conto della sua collocazione in un contesto normativo volto a disciplinare l’attività edilizia, affermando, conseguentemente, che “le norme, prescrizioni e modalità esecutive” di cui all’art. 20, lett. a), dovevano intendersi riferite soltanto a quelle regole di condotta che sono direttamente afferenti all’attività edilizia (Sez. 3 n. 8965, 21 giugno 1990).
Parimenti è stata rilevata la sua natura di norma penale in bianco poiché, mentre la sanzione è determinata, il precetto di carattere generico rinvia ad un dato esterno quale il titolo abilitativo, il regolamento edilizio, ecc. (SS.UU. n. 7978, 14 luglio 1992; v. anche SS.UU. n. 11635, 21 dicembre 1993).
Si è, altresì, evidenziato (Sez. 3 n. 21780, 31 maggio 2011), come il riferimento contenuto nella norma attualmente vigente alle disposizioni di legge “previste nel presente titolo” (del D.P.R. n. 380 del 2001, titolo 4, Parte prima comprendente gli artt. da 27 a 51) sia certamente riduttivo rispetto alla previgente fattispecie di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 20, lett. a), la quale, punendo “l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dalle presente legge, dalla L. 17 agosto 1942, n. 1150, e successive modificazioni e integrazioni”, si riteneva effettuasse un rinvio aperto a tutta la legislazione urbanistico-edilizia, addirittura comprensiva, secondo parte della giurisprudenza, anche delle leggi regionali integrative. Ciò non di meno, pur in presenza di un ambito di operatività più contenuto, si è comunque ritenuto che la mancata apposizione del cartello di cantiere continui ad essere assoggettata alla sanzione penale prevista dalla richiamata disposizione.
Deve, inoltre, rimarcarsi quanto già rilevato da questa Corte sull’argomento (Sez. 3 n. 16037, 11 maggio 2006) ricordando come il contenuto della L. n. 47 del 1985, art. 4, comma 4, prevedesse, per coloro che eseguivano interventi edilizi, il duplice obbligo di esibizione della concessione edilizia e dell’esposizione del cartello di cantiere – a condizione che lo stesso fosse espressamente previsto dai regolamenti edilizi o dalla concessione – la cui violazione era penalmente sanzionata dall’art. 20, lett. a) più volte menzionato (a tale proposito si richiamava quanto stabilito dalle precedenti decisioni: SS.UU. 7978/92, cit.; Sez. 3^ n. 10435, 5 ottobre 1994).
Veniva, altresì, dato atto dell’intervenuta abrogazione della L. n. 47 del 1985, art. 4, rilevando, tuttavia, la riproduzione del suo contenuto nel D.P.R. n. 380 del 2001, art. 27, comma 4, laddove si impone agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria l’obbligo di comunicazione immediata all’autorità giudiziaria nel caso in cui accertino che nei luoghi in cui vengono realizzate opere edilizie non sia esibito il permesso di costruire ovvero non sia apposto il prescritto cartello.
Contestualmente si individuavano i destinatari dell’obbligo in quelli già indicati dalla L. n. 47 del 1985, art. 6, comma 1, e, segnatamente, nel titolare della concessione, nel committente, nel costruttore e nel direttore dei lavori. Anche tale ultima affermazione è pienamente condivisibile: infatti il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 29, comma 1, riproduce attualmente il medesimo contenuto della disposizione previgente, con l’unica differenza del riferimento al titolo abilitativo, che non è più la concessione ma il permesso di costruire.
Conseguentemente è stato affermato il principio di diritto, in base al quale la violazione dell’obbligo di esporre il cartello indicante gli estremi dei titolo abilitativo, qualora prescritto dal regolamento edilizio o dal titolo medesimo, già sanzionata sotto la vigenza dell’ormai abrogata L. n. 47 del 1985, è tuttora punita dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), in ragione del rapporto di continuità normativa intercorrente tra le diverse disposizioni (sez.3, 04/06/2013, n. 29730 Rv.255836; Cassazione penale, sez. 3, 10/12/2014, n. 537; sez. 3 16/01/2015, n. 10713).
3. Ciò posto, è manifestamente infondato il primo profilo di doglianza.
La sentenza impugnata, infatti, correttamente applicando i suesposti principi, ha rilevato che l’art. 4.6 della scheda L.6 del Regolamento edilizio dei Comune di Viareggio -richiamato nel capo di imputazione- prevede specificamente l’obbligo che ogni cantiere sia provvisto di cartello indicante gli estremi dell’atto autorizzativo e, pacifica l’assenza del cartello all’epoca dei sopralluogo, ha ritenuto configurabile la fattispecie criminosa contestata.
La doglianza dei ricorrenti, che deducono che il permanere dell’obbligo di esposizione sussisterebbe solo in caso di cantiere effettivamente attivo, è manifestamente infondata.
Il Tribunale ha correttamente considerato irrilevante l’assunto difensivo circa una momentanea inattività del cantiere dovuta al ritardo nei pagamenti da parte del committente.
Tale valutazione è conforme ai principi espressi da questa Corte in subiecta materia.
La circostanza che il cartello fosse presente all’inizio dei lavori, infatti, non esclude la configurabilità del reato, in quanto ciò che rileva è che lo stesso non fosse esposto al momento del controllo da parte dei personale di vigilanza, in quanto funzione dei cartello è proprio quella di rendere edotti gli organi di vigilanza dell’esistenza in loco di interventi edilizi, al fine di consentire l’espletamento di tutte quelle attività di verifica dell’osservanza della normativa edilizia e di corrispondenza dell’assentito al realizzato (Sez. 3 30/04/2014, n. 28123). Inoltre, la finalità cui assolve l’obbligo di apposizione del cartello, deve ritenersi che sia anche quella di indicare i soggetti responsabili, nel caso in cui durante lo svolgimento delle attività di cantiere derivino danni a terzi (Sez. 3, 22/05/2012, n. 40118)
Tale funzione comporta che l’esposizione dei cartello indicante il titolo abilitativo e i nominativi dei responsabili deve non solo essere effettuata all’inizio dei lavori ma protrarsi in maniera continuativa durante tutta la fase di esecuzione degli stessi, ivi compresi i periodi in cui i lavori siano momentaneamente sospesi, risultando irrilevante la causa della sospensione, nella specie addebitabile a fatto volontario del committente.
4. Anche la doglianza dei ricorrenti, che deducono che l’obbligo di esposizione a carico del direttore dei lavori e del costruttore sussisterebbe solo al momento di apertura del cantiere, è manifestamente infondata.
Correttamente il Tribunale ha ritenuto la penale responsabilità, oltre che del committente, anche degli attuali ricorrenti M.M. e C.R., nelle rispettive qualità di direttore dei lavori ed esecutori degli stessi.
Secondo il costante orientamento di questa Corte, infatti, i destinatari dell’obbligo in esame vanno individuati nel titolare del permesso di costruire, nel committente, nel costruttore e nel direttore dei lavori sulla base di quanto espressamente previsto dalla L. n. 47 del 1985, art. 6 e, oggi, dall’ art. 29, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 (Sez.3, n. 29730 del 04/06/2013, Rv.255836, Sez. 3 n. 38380 del 15.7.2015; sez. III, 16/01/2015, n. 10713; Sez. III, 10/12/2014, n. 537).
Quanto al fondamento della responsabilità del direttore dei lavori, va richiamato il principio affermato da questa Corte di legittimità, che il Collegio condivide e che va qui riaffermato, secondo cui è configurabile la responsabilità del direttore dei lavori per le contravvenzioni in materia di edilizia ed urbanistica, indipendentemente dalla sua concreta presenza in cantiere, in quanto sussiste a carico dei medesimo un onere di vigilanza costante sulla corretta esecuzione dei lavori, collegato al dovere di contestazione delle irregolarità riscontrate e, se del caso, di rinunzia all’incarico (sez. 3, n. 34602 del 17.6.2010, Ponzio, rv. 248328, nella cui motivazione questa Corte, nel confermare la sentenza di condanna che aveva ritenuto sussistere l’obbligo del direttore dei lavori di recarsi quotidianamente sul cantiere al fine di vigilare le attività eseguite, ha precisato che questi, oltre ad essere il referente del committente per gli aspetti di carattere tecnico, assume anche la funzione di garante nei confronti del Comune dell’osservanza e dei rispetto dei contenuti dei titoli abilitativi all’esecuzione dei lavori; sez. 3 15/01/2015, n. 7406; sez. 3, 11/05/2005, n. 22867).
La responsabilità del costruttore, quale esecutore materiale e diretto responsabile dell’opera, trova il suo fondamento nella violazione dell’obbligo, imposto dalla legge, di osservare le norme in materia urbanistica – edilizia (sez. 3, 25/11/2004, n. 860).
Il chiaro disposto dell’art art. 29, comma 1 D.P.R. n. 380 del 2001 non consente, infine, di differenziare le responsabilità dei costruttore e del direttore dei lavori dei lavori da quella dei committente, tanto meno sotto il profilo temporale dell’adempimento dell’obbligo di esposizione del cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo.
S.Essendo i ricorsi inammissibili e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese dei procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Leave a Reply