Cassazione logo

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 30 giugno 2015, n. 27111

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente

Dott. GRILLO Renato – Consigliere

Dott. MULLIRI Guicla – rel. Consigliere

Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere

Dott. GAZZARA Santi – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nata a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

imputati articolo 589 c.p.;

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Messina del 18.12.13;

Sentita, in pubblica udienza, la relazione del Cons. Dr. MULLIRI Guicla;

Sentito il P.M., nella persona del P.G. Dr. Baldi Fulvio, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

Sentiti i difensori degli imputati avv. (OMISSIS), per (OMISSIS) e (OMISSIS), e avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), per (OMISSIS), che hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;

Sentito il difensore della P.C., avv. (OMISSIS), che ha insistito per il rigetto dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Gli odierni ricorrenti sono stati accusati di avere, la (OMISSIS), quale a.u. della casa di cura (OMISSIS) S.r.l., (OMISSIS), direttore sanitario e, (OMISSIS), medico di turno del PS della predetta clinica – cooperato colposamente a causare la morte di una donna al settimo mese di gravidanza e del feto che ella portava in grembo.

In particolare, detto in estrema sintesi, le rispettive colpe si sarebbero radicate quando la p.o. (OMISSIS), di (OMISSIS) anni, al settimo mese di gravidanza, colta da una crisi asmatica, si presento’ con il marito al P.S. della clinica privata ” (OMISSIS)” gestita da una societa’ a r.l. della quale la (OMISSIS) era amministratore unico e, (OMISSIS), era il direttore sanitario.

Presso il Pronto Soccorso, (che era chiuso e che fu aperto dopo che era stato suonato il campanello) la donna fu visitata dal dott. (OMISSIS) il quale le pratico’ le prime cure (intubazione) ma che, visto il peggiorare delle condizioni, chiese al personale infermieristico di predisporre l’accompagnamento della donna. Siccome la casa di cura non disponeva di ambulanza, fu richiesto un mezzo a terzi. Il trasferimento avvenne circa un’ora dopo il primo ricovero verso gli ospedali riuniti di Reggio Calabria dove pero’ la signora (OMISSIS) ed il feto non giunsero vivi.

Al dott. (OMISSIS) e’ stato ascritto di non avere eseguito correttamente il tentativo di intubazione della donna causandole, anzi, per l’imperizia con la quale aveva compiuto la manovra, un aggravamento dello spasmo faringeo con conseguente edema seguito da arresto cardiaco. Inoltre gli si ascrive anche la colpa di non aver richiesto l’intervento di un anestesista che, sebbene non in servizio in quel momento, era reperibile presso la propria abitazione distante 500 mt. dal nosocomio.

Alla (OMISSIS) ed al (OMISSIS) si ascrive la mancata predisposizione di un servizio di “pronto ed assistito trasferimento” dei malati verso strutture ospedaliere maggiormente attrezzate. In particolare, di non avere avuto a disposizione un’ambulanza (tanto da doverla richiedere ad un terzo) e comunque, la vetusta’ del veicolo usato nella specie privo delle attrezzature per la rianimazione (che dovevano essere caricate di volta in volta con conseguente perdita di tempo).

Una precedente sentenza della Corte d’appello aveva dichiarato la estinzione per prescrizione del reato e condannato gli imputati al risarcimento di danni, da liquidarsi in separata sede, in favore delle parti civili.

La Corte di Cassazione, sez. 4, investita dell’impugnazione di tale decisione, in accoglimento dei ricorsi degli imputati, aveva annullato con rinvio muovendo delle censure in punto di motivazione circa il nesso causale.

Con la sentenza qui impugnata, la Corte d’appello, dopo avere espletato nuova perizia, ha dichiarato n.d.p. nei confronti degli imputati per essere il reato loro ascritto estinto per prescrizione.

2. Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, gli imputati hanno proposto ricorso, tramite i rispettivi difensori deducendo:

(OMISSIS):

1) violazione di legge perche’ la Corte si e’ uniformata solo apparentemente ai dettami della sentenza di rinvio pronunciata dalla S.C.. In realta’, essa si e’ ispirata al criterio della “possibilita’” laddove parla (f. 5) di “elevato grado di credibilita’ razionale” e di “possibilita’ di sopravvivenza”.

In realta’, le difficolta’ espresse dalla stessa perizia d’ufficio esprimono solo la impossibilita’ di dare, al quesito posto dalla Corte di Cassazione, una risposta scientifica in termini di elevata credibilita’ razionale. La qual cosa avrebbe dovuto tradursi in un’assoluzione.

Il ricorrente critica, quindi, quella parte della sentenza (f. 13) nella quale, a suo dire, si confondono l’aspetto scientifico con la regola probatoria, in tal modo, stravolgendo la regola di giudizio di cui all’articolo 533 c.p.p..

Anche per quel che attiene la contestazione relativa alla mancata richiesta di intervento di un rianimatore, secondo il ricorrente, si incorre nella medesima incertezza non essendosi parametri per stabilire il grado di efficacia salvifica del suo ipotizzato intervento;

2) violazione di legge. Per quanto attiene alla contestata imperizia nel tentativo di “intubazione”, si fa notare che la stessa sentenza ha riconosciuto che le cure ed i farmaci somministrati dal dott. (OMISSIS) rispondono alla corretta lex artis e che le difficolta’ incontrate nell’esecuzione della manovra discendono dalle peculiarita’ del caso si’ che, al massimo, e’ ravvisabile una colpa lieve.

(OMISSIS) e (OMISSIS):

1) violazione di legge perche’ i giudici di secondo grado avrebbero dovuto applicare la regola di giudizio dettata dalle S.U. Franzese, anziche’ richiamare il criterio della “possibilita’” o deir’aumento del rischio” su cui si era fondata la sentenza in precedenza annullata.

Si sottolinea come, nel caso di specie, i periti di ufficio e quelli di parte civile abbiano individuato nell’insorgenza dell’edema polmonare l’evento terminale della crisi con il risultato della impossibilita’ di una prognosi in termini di “elevata probabilita’”.

A dimostrazione di cio’, si ricorda che la stessa sentenza, a f. 5. parla solo di “possibilita’” di sopravvivenza ed, a f. 10. ha escluso che la condotta del dott. (OMISSIS) sia stata influenzata dall’assenza dell’ambulanza ed, infine, a f. 12, nuovamente confonde gli addebiti visto che afferma la responsabilita’ dei ricorrenti sulla base di una circostanza, mai verificatasi, della chiamata del rianimatore da parte del medico. In pratica, da un lato, si addebita al sanitario di non aver chiamato un rianimatore e, dall’altro, si attribuisce la responsabilita’ dell’evento agli organi amministrativi della clinica sul rilievo che, se il medico avesse chiamato il rianimatore e la clinica avesse avuto un’ambulanza, vi sarebbero state maggiori possibilita’ di sopravvivenza.

I ricorrenti ricordano, altresi’ come l’assenza di nesso causale si evinca anche da quel passaggio motivazionale (f. 12) nel quale si evidenzia che l’edema polmonare, gia’ intervenuto quando e’ stata chiamata l’ambulanza, ha determinato l’aggravamento in termini tali da rendere improbabile l’evento salvifico e si conclude, in buona sostanza, evidenziando come gli stessi periti abbiano escluso che la presenza di un’ambulanza avrebbe potuto impedire l’evento.

I ricorrenti concludono invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

La difesa di p.c. ha depositato successivamente una memoria nella quale insiste per il rigetto dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Motivi della decisione – I ricorsi sono infondati e devono essere respinti.

3.1. Per comprendere l’argomentare che segue, e’ bene premettere il richiamo al quesito che questa S.C., 4 sezione, aveva posto ai giudici di appello nel rinviare loro gli atti dopo la prima sentenza di appello.

Esso era stato chiaramente puntualizzato nei seguenti termini: quanto al dott. (OMISSIS), “se, con una tempestiva e corretta (anche da parte di un medico rianimatore prontamente intervenuto) manovra di intubazione, (OMISSIS) Cristiana si sarebbe salvata in termini di elevata credibilita’ razionale e non solo in termini di probabilita’”; quanto agli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS), “se la predisposizione di strutture idonee ad evitare il ritardo nell’accoglienza della paziente, nell’arrivo dell’ambulanza presso il pronto soccorso e quello derivante dalla necessita’ di caricare la strumentazione, avrebbe consentito nei medesimi termini di elevata credibilita’ razionale di far pervenire la paziente all’ospedale di Reggio Calabria in tempo per salvarle la vita, praticandole le manovre non riuscite presso il pronto soccorso di (OMISSIS)” (f. 31).

Avendo cio’ presente, puo’ subito affermarsi che la sentenza impugnata si e’ allineata perfettamente ai dettami della decisione di rinvio acquisendo, tramite perizia, ulteriori elementi di valutazione ed interpretandoli in modo tale da dare risposta compiuta ai quesiti in allineamento anche con i dettami della nota “sentenza Franzese” (s.u. 10.7.02, Franzese, rv. 222139) secondo cui, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalita’ tra omissione ed evento non puo’ ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilita’ statistica, ma “deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilita’ logica, sicche’ esso e’ configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di credibilita’ razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensita’ lesiva”.

Come si avra’ modo di puntualizzare meglio in prosieguo, la corte territoriale, segnatamente nei ff. 7/13, ha affrontato correttamente i quesiti ed e’ pervenuta alla propria decisione in modo esente da vizi logici ed, anzi, delineando – anche grazie alle ulteriori indicazioni dei periti – il quadro corretto di una realta’ nella quale e’ chiaro che il decesso della signora (OMISSIS) e del suo feto sono stati la conseguenza di una concatenazione di condotte omissive.

Trattandosi, infatti, di reato omissivo improprio, l’evento va ascritto per il semplice fatto di accertare che non sono stati messi in opera gli strumenti concretamente esistenti per quella situazione.

Non a caso, del resto, la stessa sentenza delle sezioni unite riguarda una fattispecie nella quale e’ stata ritenuta legittimamente affermata la responsabilita’ di un sanitario per omicidio colposo dipendente dall’omissione di una corretta diagnosi (dovuta a negligenza e imperizia) e del conseguente intervento (che, se effettuato tempestivamente, avrebbe potuto salvare la vita del paziente).

Nello specifico, si e’, appunto, assistito ad una serie impressionante di mancanze che hanno inizio sin dal sopraggiungere della p.o. al pronto soccorso il cui servizio era tanto poco attivo da risultare chiuso (f. 3 sent. cass. iv sez.) e richiedere che fosse suonato il campanello, con conseguente attesa.

Subentra, quindi, la posizione del dott. (OMISSIS) la cui imperizia e’ risultata conclamata anche dai periti nominati nel secondo grado di giudizio i quali hanno evidenziato la mancata somministrazione di sedativi, l’errata manovra di intubazione ed il mancato ricorso ad un esperto (l’anestesista rianimatore) pure agevolmente rintracciabile.

Infine, il ricorso del dott. (OMISSIS) alla scelta di trasferire la paziente in altro nosocomio piu’ attrezzato e’ stata frustrata dal concorso di altre manchevolezze ascrivibili, questa volta, alla struttura nella quale egli operava: assenza di un’ambulanza, necessita’ di acquisirne una, con ulteriore decorso di tempo ed ottenimento, comunque, solo di un veicolo vetusto e male equipaggiato (vista la presenza di strumenti per la rianimazione necessitanti di tempi di ricarica). Il tutto, ha ovviamente comportato altra perdita di tempo risultata esiziale.

Sintetizzata la vicenda in questi termini, appare di una chiarezza estrema la esistenza del concorso di corresponsabilita’ colpose di piu’ e diversi soggetti si’ che l’evento morte e’ ricollegabile, in termini prossimi alla certezza, alle manchevolezze di tutti gli odierni ricorrenti, ciascuno dei quali, in rapporto alle rispettive competenze, ha dato un significativo contributo causale.

3.2. Venendo, infatti, ad esaminare piu’ in dettaglio la posizione del ricorrente (OMISSIS), giova rammentare che i giudici di secondo grado hanno – grazie alle indicazioni avute dai periti -innanzitutto puntualizzato la situazione di fatto precisando che la signora (OMISSIS) sopraggiunse al P.S. (f. 7) in modo autonomo “cosciente, con eloquio razionale, con una respirazione spontanea difficoltosa ma ancora valida e pertanto con un rischio di morte molto remoto”.

Replicando a specifici rilievi difensivi, i periti nominati in appello hanno, quindi, concluso che, di fronte alla paziente in quelle condizioni generali (e valutato anche il suo stato di gravidanza), le strategie di intervento “con elevata e razionale probabilita’ salvifica” erano plurime ma esse erano state tutte colpevolmente omesse.

Il primo rilievo che la Corte muove al dott. (OMISSIS) (tramite le parole dei periti- f. 8) e’ quello di non avere richiesto l’intervento di uno specialista anestesista, tanto piu’ se si considera che lo stesso dott (OMISSIS) ha ammesso che non aveva mai, in precedenza, praticato una tracheotomia.

L’omissione contestabile al dott. (OMISSIS) e’ anche quella di non avere sedato la paziente posto che, al contrario, una sedazione profonda “non solo non e’ controindicata ma essa diviene assolutamente necessaria, sia preliminarmente all’esecuzione dell’intervento, si durante la successiva ventilazione meccanica”.

Nel dire cio’, e’ stato anche sottolineato che e’ irrilevante l’obiezione difensiva secondo cui la sedazione avrebbe potuto essere rischiosa per la possibile insorgenza di secrezioni che avrebbero reso difficile l’intervento del rianimatore posto che siffatta eventualita’, nell’ottica di uno specialista rianimatore, e’, invece, di routine. Piuttosto, la Corte ha ricordato come, per quanto grave la si volesse descrivere, la situazione peculiare della signora (OMISSIS), nella scala dei disturbi asmatici, era connotata da “un’alta probabilita’ di evoluzione positiva a seguito di adeguato trattamento, con risoluzione della sintomatologia clinica fino al completo recupero dello stato di benessere”.

Tale essendo la situazione, il fatto che il dott. (OMISSIS) abbia, invece, deciso di procedere ugualmente da solo non riuscendo – per una imperizia ormai accertata anche dalla decisione di questa Corte di cassazione – a praticare l’intubazione, delinea icasticamente i profili della sua colpa omissiva e l’innesto di una delle prime cause che hanno concorso a determinare l’evento. Come giustamente commentano, poi, i giudici della Corte territoriale, il nesso causale non e’ interrotto dalla situazione logistica manifestatasi nel prosieguo quando, alla richiesta di un’ambulanza (a dispetto del fatto che ci si trovasse in un “Pronto Soccorso”), se ne accerto’ l’assenza e la conseguente necessita’ di farne sopraggiungere una dall’esterno (che impiego’ 20 minuti ad arrivare).

La chiarezza e linearita’ del discorso della Corte nel descrivere fin qui le responsabilita’ del dott. (OMISSIS) non vengono scalfite dalle generiche doglianze odierne, sostanzialmente reiterative di quelle svolte gia’ dinanzi alla corte d’appello che vi ha piu’ che congruamente replicato.

L’accusa rivolta nel presente ricorso ai giudici di non essersi attenuta ai dettami della sentenza di rinvio e’ destituita di fondamento per quanto appena riportato. Al contrario, e’ evidente nei giudici lo sforzo di delineare – separatamente, rispetto a quelle dei coimputati – i profili di colpevole contributo causale del dott. (OMISSIS), descrivendo la sua determinazione di agire da solo (pur potendo avere l’ausilio di un esperto) e di tentare vanamente una intubazione (sebbene mai praticata in precedenza).

In tal modo, egli ha messo le premesse per il venir meno di una serie di interventi sicuramente validi (nell’ottica degli esperti) sul piano scientifico quali: una intubazione adeguata, una sedazione profonda, una ventilazione a pressione positiva “tutti funzionali a quel minimo di ossigenazione che avrebbe salvato la vita della donna” ed ha decisamente aggravato una situazione che, come gia’ detto sopra, inizialmente, non era critica ma tale era divenuta nel momento in cui egli decise di richiedere un’ambulanza ed un trasporto ad altro nosocomio.

Le sue omissioni pur non essendo cause esclusive, come si avra’ modo di delineare meglio in prosieguo, hanno significativamente predisposto le condizioni per l’hexitus in una logica causale indiscutibile che si innesta correttamente anche nei dettami giurisprudenziali in parte evocati anche dalla sentenza impugnata.

Ed invero, e’ StatO piu’ VOlte affermato (Sez. 4, 5.4.13, De Florentis, Rv. 257073; Sez. 4, 31.1.13, Giusti, rv. 256941) che e’ configurabile la sussistenza del nesso di causalita’ tra condotta ed evento, qualora esso sia stato accertato con giudizio controfattuale che (sebbene non fondato su una legge scientifica di spiegazione di natura universale o meramente statistica – per l’assenza di una rilevazione di frequenza dei casi esaminati – ma su generalizzate massime di esperienza e del senso comune) sia stato comunque ritenuto attendibile secondo criteri di elevata credibilita’ razionale, in quanto fondato sulla verifica, anche empirica, ma scientificamente condotta, di tutti gli elementi di giudizio disponibili, criticamente esaminati.

Sulla scorta di tali principi, il caso in esame e’ del tutto assimilabile a quelli giudicati da questa S.C. nei precedenti citati quando, in essi, e’ stata ritenuta la responsabilita’ di un sanitario del pronto soccorso per il decesso di un paziente, al quale non era stato diagnosticato un infarto acuto del miocardio (ragion per cui, era stato omesso il trasferimento presso un’unita’ coronarica per l’esecuzione di un intervento chirurgico che avrebbe avuto un’elevata probabilita’ risolutiva) ovvero e’ stata esclusa la responsabilita’ di un medico – per avere, sulla base di un’errata interpretazione del tracciato cardiografico del feto, ritardato il parto con taglio cesareo, causandone il decesso -. In tale occasione, infatti, questa corte aveva ritenuto non provato il momento di insorgenza della sofferenza fetale (e, quindi, la circostanza che il feto potesse essere salvato nel momento in cui gli esami vennero sottoposti all’attenzione del medico, se quest’ultimo fosse tempestivamente intervenuto).

Mutatis mutandis, e’, invece, chiaro che la tempistica della presente vicenda non offre il fianco a dubbi e che non coglie nel segno la critica del ricorrente tesa a circoscrivere la propria responsabilita’ alla sola mancata richiesta di intervento di un anestesista perche’, al contrario, questa e’ solo una delle omissioni a lui ascrivibili. La sua imperizia nell’operare la – non riuscita intubazione – e’, infatti, data per certa dalla stessa sentenza di questa S.C. che, infatti, discute solo il nesso causale.

Ne’ vale la tesi secondo cui, non potendosi affermare la “certezza” della efficacia salvifica della condotta omessa, di dovrebbe propendere per un assoluzione. Come gia’ detto, infatti, ci si muove su un terreno complesso ma non privo di riferimenti di “certezza”.

Nella specie, essi sono rappresentati dal fatto che, al suo arrivo, le condizioni della signora (OMISSIS) si presentavano tali da permettere ai periti di affermare che i giusti interventi avrebbero avuto una “elevata e razionale probabilita’ salvifica” che, invece, e’ andata certamente scemando, via via, di fronte alle chiare omissioni del dott. (OMISSIS) fin qui commentate e, quindi, a quelle degli altri due imputati (OMISSIS) e (OMISSIS).

Prima di concludere sulla posizione di (OMISSIS) giova solo ricordare che il secondo motivo di tale imputato, per le ragioni fin qui esposte, e’ persino manifestamente infondato per la sua genericita’ e mera assertivita’ tesa a porre in discussione una ricostruzione fattuale che qui non compete ma che, come visto, e’ stata correttamente operata dai giudici di merito.

3.3. Venendo, quindi ai ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS), come anticipato, risulta del tutto valido e scevro da censure sul piano logico l’argomentare della Corte laddove respinge l’auspicio difensivo – qui rinnovato – di escludere le responsabilita’ di tali imputati dovendosi ritenere assorbenti le manchevolezze ascrivibili al dott. (OMISSIS).

Lungi dal sovrapporsi tra loro, i profili di colpa di quest’ultimo si sommano a quelli dei responsabili della clinica visto che i periti hanno evidenziato come il quadro che caratterizzava la paziente al momento del trasporto in ambulanza fosse “assai pregiudicato” ma non tale da impedire l’infausto esito finale se gli imputati avessero tenuto “in termini “controfattuali” “la condotta doverosa da essi negligentemente omessa (mantenimento di livelli di equipaggiamento del servizio di pronto soccorso minimamente adeguati)”. Ditalche’ – si sottolinea da parte dei periti – quanto accaduto e’ da ascrivere “”anche” al gravissimo ritardo legato alla circostanza della indisponibilita’ diretta di un’ambulanza”. Va da se’, poi, l’ulteriore incidenza, in tale realta’, della vetusta’ degli strumenti presenti sull’ambulanza.

In altri termini, se il servizio di ambulanza fosse scattato prontamente quando il dott. (OMISSIS) si era arreso di fronte alla propria incapacita’ di intubare, non si sarebbero dovuti perdere altri (almeno venti) minuti preziosi per ottenere un’ambulanza e – soggiunge bene la corte – sarebbe stato possibile, in termini certi, “prolungare sensibilmente la vita della madre (per quanto grave potesse essere divenuto il quadro clinico) ed a mantenere vitale il feto (cosi’ espressamente pag. 6 perizia” (f. u).

Vano e’, quindi, lo sforzo dei ricorrenti di spostare l’attenzione sull’insorgenza dell’edema. Non si deve, cioe’, confondere la fase culminante dell’epilogo trascurando cio’ che e’ accaduto a monte.

Se la si esamina in questo modo, infatti, la presente vicenda risulta del tutto lineare nella sua concatenazione di cause ove le carenze strutturali si sommano alla imperizia del dott. (OMISSIS).

Del resto, sono gli stessi periti a sottolineare come un corretto servizio di trasporto “assistito e tempestivo” avrebbe, in termini di certezza, garantito la continuita’ delle cure ed assicurato, con “elevata credibilita’ razionale”, la sopravvivenza della madre e del feto.

E’ la logica stessa convincere della correttezza di una simile conclusione visto che si era al cospetto di una situazione conclamata di crisi asmatica del tutto incontrollata laddove, percio’, un adeguato pronto intervento in termini di intubazione e sedazione, prima e, quindi, di trasporto – con mezzi adeguati – verso una struttura specializzata non avrebbe potuto, in un giudizio “contro fattuale”, che condurre, secondo ragione, ad una conclusione ben diversa da quella cui qui si e’ assistito.

A tale stregua, anche le scarne e sommarie censure svolte dai ricorrenti sono da disattendere perche’ inidonee a mettere in discussione la completezza e consequenzialita’ della decisione impugnata.

Nel respingere i ricorsi, seguono, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonche’ al rimborso delle spese del grado in favore delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) liquidate in complessivi euro 3500 oltre agli accessori di legge ed alle spese generali.

P.Q.M.

Visti l’articolo 615 c.p.p. e ss..

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonche’ al rimborso delle spese del grado in favore delle parti civili (OMISSIS) e (OMISSIS) liquidate in complessivi euro 3500 oltre agli accessori di legge ed alle spese generali.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *