www.studiodisa.itLa massima

Il reato di sequestro di persona, di cui all’art. 605 c. p., concorre con quello di violenza sessuale, di cui all’art. 609 c. p., nel caso in cui la privazione della libertà non si esaurisca nel tempo occorrente a commettere il delitto contro la libertà sessuale, ma si prolunghi prima o dopo la costrizione necessaria a compiere gli atti sessuali. Ne consegue che l’unica possibilità di assorbimento del delitto di sequestro di persona in quello di violenza sessuale è connesso al dato temporale dell’assoluta contestualità delle due condotte e al rapporto di strumentalità esistente fra di esse, nel senso che la limitazione della libertà di movimento della vittima, consentendone l’immobilizzazione, è funzionale al compimento di quegli atti di costrizione attraverso cui si realizza la violenza sessuale.

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III

SENTENZA 28 maggio 2013, n. 22940

Ritenuto in fatto

 

Il GUP del Tribunale di Torino, all’esito di giudizio abbreviato, con sentenza in data 26.4.011, dichiarava V.V. , V.M.C. , Mu.Co. , M.F.G. colpevoli dei reati di rapina (art. 110, 628 cp), di violenza sessuale di gruppo (art. 110 609 octies cp), di sequestro di persona (art. 110, 605 cp) di lesioni aggravate (art. 582,585,576 n. 1 e 5 cp), i primi due ai danni delle prostitute nigeriane G.H. , E.P. , J.F. (capi da A a M), il Mu. ai danni della G. e della E. (capi da A a G), il M. ai danni della sola G. (capi da A a C), inoltre i due soli V.V. , V.M.C. anche del reato di furto aggravato di cui agli art.110, 624, 61 n. 11 cp (capo O) e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, ritenuta la continuazione per i reati di cui ai capi da A) a M) per i due imputati V.V. e V.M.C. , e da A) a G) per l’imputato Mu.Co. , e dal A) a C) per l’imputato M. , operata la riduzione per il rito abbreviato, condannava V.V. e V.M.C. alla pena di anni undici mesi otto di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa per i reati di cui ai capi da A) a M), e alla pena di mesi nove di reclusione ed Euro 300,00 di multa per il reato di cui al capo O), così complessivamente anni dodici di reclusione ed Euro 1.800,00 di multa ciascuno dei due imputati, Mu.Co. alla pena di anni otto mesi sei di reclusione, M.A.F. , alla pena di anni sei mesi otto di reclusione ed Euro 1.500,00 di multa, oltre, per ciascuno imputato, le pene accessorie come per legge. Condannava inoltre tutti gli imputati al pagamento delle spese processuali e di mantenimento durante la custodia cautelare nonché al risarcimento del danno in favore delle parti civili da liquidarsi in separata sede con assegnazione di provvisionale, che liquidava equitativamente in Euro 5.000,00 per ciascuna parte civile nonché alla refusione delle spese di costituzione e rappresentanza della parte civile. Assolveva Mu.Co. e M.A.F. dai reati loro ascritti ai capi h), i), l), m) (rapina, violenza sessuale di gruppo sequestro di persona,lesione personali aggravate ai danni di J.F. per Mu. e ai danni della stessa J.F. e della E. per il M. ) per non aver commesso il fatto.

Proposto appello da parte degli imputati avverso detta sentenza, la Corte di Appello di Torino, con sentenza in data 3.2.012, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, riduceva la pena inflitta a tutti gli imputati.

Avverso detta sentenza proponevano ricorso per Cassazione, per il tramite dei rispettivi difensori, tutti gli imputati per i seguenti motivi: Mu.Co. , ai sensi dell’art. 606 lett. B) e E), violazione di legge della legge e carenza della motivazione in relazione all’art. 133 co. II n. 3 cp, 62 bis cp..

La difesa del ricorrente lamenta, sotto il profilo sia della violazione di legge che della carenza della motivazione, la eccessiva entità della pena inflitta e la riduzione della pena per effetto delle circostanze attenuanti generiche, concesse con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante di cui all’art. 609 octies comma terzo cp., in misura inferiore (un nono) rispetto a quella massima prevista dall’art. 62 bis cp., senza che la Corte di appello abbia fornito alcuna convincente motivazione in proposito.

V.V. , ai sensi dell’art. 606 lett. B) e E), violazione di legge della legge, erronea interpretazione con riferimento all’art. 605 cp, manifesta illogicità della motivazione.

La difesa del ricorrente censura l’impugnata sentenza per aver ritenuto il concorso del reato di sequestro di persona ex art. 605 cp. con quello di violenza sessuale ex art. 609 bis cp. nel quale, invece, il primo reato sarebbe, a suo avviso, assorbito.

V.M. illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 lett. E) cpp..

la difesa del ricorrente si duole del fatto che, nonostante la riduzione della pena apportata dal Giudice di seconde cure, questa sia stata mantenuta a livelli vicini al massimo edittale, benché le condotte tenute non siano certo inquadrabili ai massimi livelli di gravità.

M.F.G. illogicità manifesta della motivazione ai sensi dell’art. 606 lett. E) cpp. per la mancata concessione delle attenuanti generiche, riconosciute prevalenti sulla contestata aggravante di cui all’art. 609 octies comma terzo cp., nella massima espansione prevista dall’art. 62 bis cp., senza che la Corte di appello abbia fornito alcuna convincente motivazione in proposito.

 

Considerato in diritto

 

Mu.Co. e M.F.G. .

Il primo ricorrente lamenta, sotto il profilo sia della violazione di legge che della carenza della motivazione, la eccessiva entità della pena inflitta, mentre entrambi i ricorrenti si dolgono per la concessione delle attenuanti generiche in misura inferiore alla loro massima espansione senza che la Corte di appello abbia fornito alcuna convincente motivazione in proposito (i rispettivi motivi di ricorso possono quindi trattarsi congiuntamente quanto a tale profilo).

Quanto alla determinazione della pena, osserva la difesa del Mu. , eh la Corte territoriale non fornisce una motivazione che si attaglia al caso di specie, limitandosi a giustificare l’entità della pena inflitta con valutazioni generiche quali quella della “brutalità della violenza” e la notevole entità dei danni psichici cagionati alle vittime, che potrebbe attagliarsi a qualunque condotta delittuosa ex art. 609 bis cp.. Altrettanto generico, ad avviso del predetto difensore, è il rilievo dell’elevata intensità del dolo, in quanto espresso con riferimento a tutti gli imputati, senza una connotazione individualizzante e senza ripercorrere per ciascuno di essi la genesi e le modalità della condotta, nonché gli elementi di differenziazione da quella dei coimputati, a maggior ragione per il Mu. , la cui posizione si distacca da quella dei correi essendo stato indotto dai fratelli V. alla commissione delle violenze, e avendo avuto diverso comportamento processuale mostrando una resipiscenza in sede di spontanee dichiarazioni.

Quanto alla mancata concessione delle generiche nella maggiore ampiezza, entrambi i ricorrenti suindicati lamentano che il riconoscimento delle stesse nella misura pari alla diminuzione di un nono della pena relativa al più grave reato di violenza sessuale è stata effettuato per tutti gli imputati, senza differenziare le loro posizioni, riconoscendo uguale trattamento per situazioni non omogenee.

Il primo profilo è infondato.

Secondo costante insegnamento di questa Corte Suprema, le statuizioni in ordine all’entità della pena, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione. Si è inoltre sostenuto che, proprio perché la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, questi ottempera all’obbligo motivazionale di cui all’art. 125, comma terzo, cod.pen. anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen.. Nel caso in esame la Corte territoriale ha fornito adeguata convincente motivazione, sul piano logico e giuridico, della misura della pena, facendo riferimento agli elementi di cui all’art. 133 c.p. concernenti sia la gravità oggettiva dei fatti, sia la pericolosità dell’imputato. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il riferimento alla notevole brutalità delle violenze sessuali e ai danni fisici e soprattutto psicologici cagionati alle vittime, lungi dal costituire motivazione di stile ricorrente nei reati di violenza sessuale, trova un fondamento specifico nelle modalità dell’azione criminosa posta in essere e non necessita di descrizioni individualizzanti riguardanti lo specifico comportamento del Mu.Co. , in quanto sussiste un livello di efferatezza comune all’azione di ciascun imputato.

Deve essere disattesa anche la censura sulla concessione delle circostanze attenuanti generiche nella misura di un nono e non nella loro massima espansione, pari alla riduzione di un terzo della pena.

Si ricorda in proposito che la concessione o meno delle attenuanti generiche, al pari della statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, rientra nell’ambito di un giudizio di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice, che sfugge al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretto da sufficiente motivazione. (Sez. U, Sentenza, del 25/02/2010 Ud. dep. 18/03/2010 Rv. 245931, Sez. 2, Sentenza del 18/01/2011, dep. 01/02/2011, Rv. 249163).

Nel caso di statuizione sulle attenuanti generiche, il relativo giudizio deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente la valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo.

Si è ritenuto di conseguenza che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso, non essendo necessario che siano esaminati tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. pen. (Cass. Sez. 2, Sentenza 18/01/2011-01/02/2011 rv. 249163, Sez. 1, Sentenza del 07/07/2010-13/09/2010 Rv. 247959). Orbene la sentenza impugnata, nel determinare nella misura di un nono la diminuzione della pena per effetto delle riconosciute attenuanti generiche, ha fornito adeguata e congrua motivazione della scelta operata, che, contrariamente a quanto asserito dal ricorrente, non si fonda su una sommaria ed arbitraria assimilazione delle posizioni dei singoli imputati meritevoli, invece, a suo avviso, di diversificazione, bensì trova spiegazione nella ritenuta convergenza del loro rispettivo comportamento processuale, di talché è stato ritenuto che la tardività delle ammissioni Mu. possa equipararsi all’apporto collaborativo dei due fratelli V. , intervenuto ad indagini inoltrate e che comunque assume scarso significato, ai fini della misura della diminuzione da apportare per effetto della concessione delle generiche, l’assenza di precedenti penali per soggetti che con la commissione dei fatti di cui è processo hanno dato prova di notevole capacità a delinquere.

V.V. , il motivo di ricorso è infondato.

Osserva la difesa del ricorrente che la Corte territoriale, dopo aver enunciato i principi diritto in materia di concorso del reato di sequestro di persona con quello di violenza sessuale, incorre in una evidente contraddizione nel riconoscere l’autonoma esistenza del sequestro nel caso di specie, in quanto omette di considerare che il tempo in cui le vittime sono stata private della libertà, pur se dilatato rispetto al compimento dell’atto sessuale, era comunque prodomico ad esso in quanto è stato impiegato per trasportare le vittime nei luoghi appartati dove si sono compiute le ripetute violenze. Così ragionando il reato di sequestro di persona non sussisterebbe solo quando la durata della privazione della libertà personale coincida temporalmente con la durata della violenza sessuale, mentre, ad avviso del ricorrente, deve ricomprendersi nel tempo di esecuzione del sequestro finalizzato alla violenza, e, dunque, in essa assorbito, anche il tempo occorrente per quelle attività preparatorie quali il trasporto della vittima in luogo appartato, non senza rilevare, osserva ancora il ricorrente, che le parti offese, essendo prostitute ed avendo aderito alla richiesta di un incontro sessuale a pagamento, erano entrate spontaneamente nell’auto degli imputati, per cui la limitazione della loro libertà non può farsi coincidere con tale momento.

Il motivo è infondato.

Innanzitutto giova rammentare che, secondo il costante orientamento di questa Corte, il reato di sequestro di persona, di cui all’art. 605 cod. pen., concorre con quello di violenza sessuale, di cui all’art. 609 cod. pen., nel caso in cui la privazione della libertà non si esaurisca nel tempo occorrente a commettere il delitto contro la libertà sessuale, ma si prolunghi prima o dopo la costrizione necessaria a compiere gli atti sessuali (Cass. Sez. 3, n. 502 24/10/2002 dep. 10/01/2003 Rv. 223726, Sez. 3, n.39936 22/09/2004 dep. 13/10/2004 Rv. 230091).

Solo nel caso in cui la privazione della libertà personale della vittima si protragga per il tempo strettamente necessario a commettere l’abuso sessuale, ai fine di immobilizzarla, il delitto di sequestro di persona rimane assorbito in quello di violenza sessuale. (Sez. 3, 12/03/2009 dep. 08/04/2009 Rv. 243471). In quest’ultimo caso, infatti, la condotta dell’agente integra contemporaneamente gli estremi della fattispecie prevista dall’art. 605 e di quella prevista dall’art. 609 bis; ma per il principio di specialità si applica solo quest’ultima fattispecie, che comprende, come elemento specializzante, anche il compimento degli atti sessuali.

E dunque evidente che l’unica possibilità di assorbimento del delitto di sequestro di persona in quello di violenza sessuale è connesso al dato temporale dell’assoluta contestualità delle due condotte e al rapporto di strumentalità esistente fra di esse, nel senso che la limitazione della libertà di movimento della vittima, consentendone l’immobilizzazione, è funzionale al compimento di quegli atti di costrizione attraverso cui si realizza la violenza sessuale, nei casi in cui sia perpetrata con violenza e non con minaccia.

La privazione della libertà di circolazione nelle fasi antecedente o successiva l’atto sessuale attuato mediante costrizione è del tutto disancorata da quest’ultimo ed assume una sua autonoma rilevanza penale ai fini della configurabilità del sequestro di persona, a nulla valendo il rilievo, posto in evidenza dal difensore, che il trasporto forzato delle vittime nei vari luoghi appartati in cui si sono consumate le violenza sessuali fosse comunque preparatorio dell’abuso sessuale e dunque suscettibile di essere assorbito in esso.

In tali fasi che hanno preceduto la costrizione carnale, il trasporto in auto delle donne per raggiungere il luogo isolato in cui sono state violentate, integra la lesione di un bene giuridico diverso e non sovrapponile a quello della libertà sessuale, la libertà di movimento, che è suscettibile di concorrere con la violenza sessuale, meritando autonoma tutela giuridica. Quanto poi alla censura mossa dalla difesa del ricorrente circa l’insussistenza di una coartazione delle tre prostitute a salire in auto e ad essere trasportate nei luoghi ove si è consumata la violenza sessuale, avendo esse concordato con i conducenti una prestazione a pagamento da tenersi all’interno della vettura, in luogo appartato, fermo restando che trattasi di censura in fatto non censurabile in sede di legittimità, rileva questa Corte che la sentenza impugnata appare adeguatamente motivata laddove evidenzia che il consenso delle tre prostitute riguarda solo il momento iniziale in cui sono spontaneamente salite sulle auto dei soggetti con i quali era intercorso l’accordo; tale consenso è venuto allorché i conducenti, durante il tragitto, si sono fermati per far salire a bordo altri uomini che le hanno immobilizzate afferrandole per le gambe e le braccia, impedendo loro di uscire dall’auto.

Il motivo di ricorso deve pertanto essere respinto V.M. illogicità della motivazione ai sensi dell’art. 606 lett E) cpp..

la difesa del ricorrente si duole del fatto che, nonostante la sensibile riduzione della pena apportata dal Giudice di seconde cure, questa sia stata mantenuta a livelli vicini al massimo edittale, benché le condotte tenute non siano certo inquadrabili ai massimi livelli di gravità, considerato il contesto in cui sono avvenuti, la tipologia dei soggetti verso i quali sono stati tenuti, prostitute avvezze per mestiere a doversi confrontare e a difendersi in situazioni poco edificanti, con conseguente minore lesività della condotta e alle modeste conseguenze sul piano dell’integrità fisica posto che tutte le vittima sono state dimesse dall’ospedale poche ore dopo senza aver riportato alcuna lesione di rilievo.

Il motivo è infondato.

Si ribadiscono anche per il V.M. i principi già richiamati per l’altro ricorrente Mu.Co. , secondo cui le statuizioni in ordine all’entità della pena, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione. Nel caso in esame la Corte territoriale, nel rideterminare la pena apportando una diminuzione di quella irrogata dal primo giudice, ha ampiamente e congruamente motivato in ordine alla misura determinata, facendo riferimento agli elementi di cui all’art. 133 c.p., concernenti sia la gravità oggettiva dei fatti, con particolare riguardo alla brutalità delle violenze sessuali, all’entità dei danni fisici e psichici riportati dalle vittime, alla turpi finalità cui era finalizzato il sequestro di persona, sia la pericolosità dell’imputato.

Né appare condivisibile l’assunto della difesa del ricorrente della minore lesività della condotta e dei modesti danni psichici (oltre che fisici) riportati dalle parti offese, in considerazione della loro qualità di prostitute, avvezze, per mestiere, a rapporti con sconosciuti, quindi, esposte, al rischio di aggressioni ed abituate a difendersi in situazioni poco edificanti.

Poiché il bene giuridico protetto dalla norma incriminatrice di cui all’art. 609 bis c.p. è costituito dalla libertà di espressione della propria sessualità, il principio di libera autodeterminazione della sfera sessuale trova applicazione anche nei confronti della prostituta, in quanto è rimessa all’esclusiva disponibilità di quest’ultima la vendita del proprio corpo (v. in tal senso Cass. sez. III n. 19732 del 08/04/2010 Ud. dep. 25/05/2010 Rv. 247490).

Di conseguenza, il delitto di violenza sessuale è configurabile anche nel caso in cui si eserciti violenza o minaccia per costringere una prostituta a consumare un rapporto sessuale non consensuale, ipotesi che ricorre nel caso di specie, avendo le vittime concordato una prestazione sessuale a pagamento col solo conducente dell’autovettura fermatasi nel luogo ove esercitavano il meretricio, a bordo della quale ognuna di esse era salita, ed essendo state costrette, nonostante la resistenza opposta, a subire molteplici rapporti sessuali violenti ad opera di più uomini saliti nell’autovettura fermatasi nel corso del tragitto, alcuni dei quali erano nascosti nel portabagagli della stessa auto o in quello di altro veicolo incrociato, secondo accordi con tutta evidenza intercorsi fra il conducente e gli altri aggressori.

Non solo il delitto di violenza sessuale ricorre anche quando vittima sia una prostituta, tutte le volte in cui l’atto sessuale trasmodi dal contenuto della prestazione liberamente concordata, esulando, per le modalità con cui è stato consumato, dal consenso originariamente prestato dalla prostituta, ma, per il suesposto principio della libertà di autodeterminazione della propria sfera sessuale, la vantazione della gravità della condotta prescinde dalla qualità della vittima, non subendo alcuna attenuazione per il solo fatto che trattasi di persona dedita al meretricio.

Si ricorda in proposito che la Suprema Corte ha avuto modo di riconoscere pari gravità alla violenza sessuale perpetrata ai danni di una prostituta al punto da escludere l’attenuante di cui al terzo comma dell’art. 609 bis c.p., rilevando come “ai fini della configurabilità dell’attenuante della minore gravità del fatto non rileva la circostanza che la vittima eserciti la prostituzione, in quanto il diritto al rispetto della libertà sessuale prescinde da condizioni e qualità personali, dal motivo e dal numero dei rapporti avuti in passato con persone più o meno conosciute”. (Sez. 2, 08/01/2009 dep. 22/01/2009 Rv. 242670, v anche Sez. 3, n.19732 08/04/2010 Ud. dep. 25/05/2010 Rv. 247490).

Il motivo deve quindi essere disatteso.

I ricorsi devono dunque essere rigettati.

Segue per legge, ai sensi del’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Condanna gli stessi alla refusione delle spese del grado in favore delle costituite parti civili, che liquida complessivamente in Euro 3.000, oltre accessori.

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