SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 26 ottobre 2012, n. 18499
Svolgimento del processo
Il 4 ottobre 2001 il Tribunale di Ragusa accoglieva parzialmente la domanda proposta da G..C. nei confronti di l.r.g. (cl. XXXX), Gi., G., L.R.S., L.R.M., Ma.La., L.R.G., G.L.R., R.L.R., in proprio e quali eredi di L.R.C. e di L.G. (cl. XXXX) in quanto dal momento dell’atto di citazione era deceduto il C.L.R. L’attore chiedeva di essere risarcito del danno subito per l’impossibilità di derivare dall’immobile, locato a G.L.R. nel novembre 1964 da G.M.N., di cui egli era l’unico erede legittimo, redditi cospicui attraverso una nuova locazione con corrispettivo superiore a quello cui erano tenuti i convenuti, che avevano rilasciato materialmente l’immobile il 4 novembre 1981, a seguito di sentenza definitiva di risoluzione del contratto di locazione. Il C., inoltre, chiedeva che gli stessi convenuti venissero condannati al pagamento dei canoni non pagati con gli interessi e rivalutazione.
Il giudice di primo grado condannava i convenuti al pagamento in favore del C. di lire 1.218.000, oltre interessi dalla domanda al soddisfo, quale ammontare di 87 canoni mensili scaduti dall’agosto del 1974 al novembre 1981, ma rigettava per il resto la domanda per i danni, perché sfornita di prova e compensava le spese.
Su gravame principale del C. e incidentale del l.r.g. (cl. XXXX) la Corte di appello di Catania il 9 gennaio 2006 confermava la sentenza del Tribunale, rigettando entrambi i gravami.
Avverso siffatta decisione propone ricorso per cassazione il C., affidandosi ad un unico articolato motivo, corredato di quesiti.
Non hanno svolto attività difensiva nessuno degli intimati.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
Preliminarmente va affermato che il presente ricorso non necessita dei quesiti previsti dall’art.366 bis c.p.c. perché volto contro sentenza anteriore al 2 marzo 2006.
1. – Con l’unico motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1591, 2697, 2729 c.c. e 113 c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia – art.360 n.3 n.4 e n. 5 c.p.c.) il ricorrente lamenta la erronea applicazione da parte del giudice di appello dell’art. 1591 c.c., nella parte in cui ha ritenuto che mancasse la prova rigorosa del maggior danno in quanto non erano state evidenziate proposte di locazione superiori a quelle pattuite con il conduttore.
Assume il ricorrente che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice dell’appello, la C.T. di parte non solo non sarebbe stata mai contestata dalla controparte, ma conteneva tutti gli elementi utili “per poter comprendere se al C. dal ritardato rilascio dell’immobile fosse derivato il maggior danno di cui all’art.1591 c.c. – ubicazione locale, valore locativo effettivo, facilità di affitto etc.”, mentre sarebbe ovvio che egli non poteva offrire la prova dello stesso danno attraverso la prova dell’esistenza di ben precise proposte di locazione o di acquisto, ovvero altri e concreti propositi di utilizzazione (p. 9 – 11 ricorso, in sintesi).
2. – La complessa censura va accolta nei sensi di seguito indicati.
Va infatti posto in rilievo, in linea di principio, che la responsabilità del conduttore a norma dell’art. 1591 c.c. per ritardata restituzione dell’immobile locato ha natura contrattuale con la conseguenza che il locatore, in applicazione del principio dettato dall’art. 1218 c.c. deve provare il danno derivatogli dalla ritardata restituzione con l’ulteriore effetto che per il c.d. maggior danno è il locatore a dovere fornire la prova della lesione del suo patrimonio, consistente nel non avere potuto dare in locazione il bene per un canone più elevato o nella perdita di occasioni di vendita ad un prezzo più vantaggioso o nella perdita di altre analoghe situazioni vantaggiose.
Questa prova deve avere il carattere della rigorosità sia in ordine alla sua sussistenza che al suo concreto ammontare sul presupposto che l’obbligo risarcitorio non sorge anteriormente in base al valore locativo presumibilmente riconoscibile dall’astratta configurabilità dell’ipotesi di locazione o vendita del bene, ma va accertato in relazione alle concrete condizioni e caratteristiche dell’immobile stesso, alla sua ubicazione, alla sua possibilità di utilizzo, onde fare emergere il verificarsi di una lesione patrimoniale effettiva e reale nel patrimonio del locatore, dimostrabile attraverso la prova di ben precise proposte di locazione o di acquisto ovvero di altre concrete offerte di utilizzazione. Tuttavia, se non è sufficiente che il locatore si limiti a dedurre che il bene locato era suscettibile di impiego tale da garantirgli un risultato economico migliore rispetto al canone originariamente e non corrisposto, per cui ha ottenuto la risoluzione del contratto stipulato con il conduttore (v. per quanto valga Cass. n. 10485/01 e puntuale Cass. n. 13294/02), la richiesta del maggior danno da parte del locatore medesimo per la mancata disponibilità del bene può essere provata secondo le regole ordinarie e, quindi, anche con presunzioni, avendo presente che la carenza di specifiche proposte di locazione relative a quell’immobile è obiettivamente giustificabile proprio alla luce della persistente occupazione del bene da parte del conduttore, successivamente alla scadenza del rapporto (Cass. n. 1372/12).
Alla luce di questi principi la semplice lettura dell’argomentare del giudice dell’appello non si appalesa immune dai vizi denunciati.
Di vero il C. con la perizia giurata aveva offerto al giudice del merito tutti quegli elementi presuntivi utili per dimostrare di aver subito un danno e, quindi, poter determinare anche se in via equitativa l’entità dello stesso, per cui non è condivisibile l’affermazione del giudice dell’appello secondo cui il C. avrebbe fondato la sua pretesa sul principio “secondo cui il danno da mancata disponibilità dell’immobile sarebbe in re ipsa” (p. 11 sentenza impugnata).
Del resto, a fronte degli elementi presuntivi addotti dal C., il giudice del merito, come ha già statuito in fattispecie simili questa Corte, ben poteva porre a fondamento della decisione la perizia stragiudiziale prodotta, anche se contestata dalla controparte (Cass. n. 26550/11, prima parte della massima): il che, nella specie, non sembrerebbe essersi verificato; e, comunque poteva fare a meno di disporre una C.T.U. solo se aveva la possibilità di decidere la controversia in base agli elementi offerti dagli atti processuali, come, per l’appunto, detta perizia, di cui, invece, ed in modo apodittico, afferma che “essa si limita ad ipotizzare un valore locativo medio della zona per immobili genericamente simili” ed alla quale non ha dato “nessun rilievo” (p. 11 – 12 sentenza impugnata).
Mentre, invece, detto documento indicava, tra l’altro, la ubicazione e la consistenza dell’immobile, posto in una zona commerciale di XXXXXX, l’importo del canone di affitto di mercato, la possibilità di fruire dell’immobile per uso personale, attesa la sua attività professionale o quella di potere concludere un nuovo contratto con terzi a condizioni più vantaggiose, come si rileva anche dalla depositata memoria.
Conclusivamente, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata, alla luce dei principi di diritto sopra enunciati e della circostanze di fatto poste in rilievo e già presenti nelle fasi di merito, va cassata con rinvio alla stessa Corte di appello, che in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione e per l’effetto cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.
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