Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 26 marzo 2015, n. 6096

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SEGRETO Antonio – Presidente

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16625/2011 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;

  • ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) SPA (OMISSIS);

  • intimati –

avverso la sentenza n. 5/2011 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 10/01/2011 R.G.N. 71/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/12/2014 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del 5 e 8 motivo del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(OMISSIS) convenne in giudizio (OMISSIS) e il Ministero dell’Interno per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito delle gravi lesioni riportate il (OMISSIS), quando era stato attinto da un colpo di arma da fuoco esploso dal (OMISSIS) nel corso di un’operazione di pubblica sicurezza; con la stesso atto, avanzarono richieste risarcitorie, per i danni subiti in conseguenza delle lesioni riportate dal rispettivo figlio e fratello, anche (OMISSIS) e (OMISSIS).

Il Tribunale di Reggio Calabria affermo’ l’esclusiva responsabilita’ del (OMISSIS) e lo condanno’, in solido col Ministero, al risarcimento dei danni in favore di tutti e tre gli attori, cui vennero riconosciuti specifici importi a titolo di risarcimento del danno morale; rigetto’, invece, la domanda di manleva nei confronti della (OMISSIS) s.p.a., chiamata in causa dal (OMISSIS).

In parziale riforma della sentenza, la Corte di Appello di Reggio Calabria ha ridotto l’importo riconosciuto a (OMISSIS) a titolo di danno morale (liquidandolo mediante aumento, a titolo di personalizzazione, dell’importo gia’ determinato dal Tribunale per danno biologico) ed ha escluso il risarcimento in favore della (OMISSIS) e di (OMISSIS).

Ricorrono per cassazione i fratelli (OMISSIS) e la (OMISSIS) affidandosi a undici motivi illustrati da memoria; gli intimati non svolgono attivita’ difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La Corte di Appello ha ritenuto che non risultasse “giustificato” il calcolo compiuto dal Tribunale – che aveva liquidato a titolo di danno morale una somma pari ad oltre il 50% di quella riconosciuta per danno biologico – e ha affermato che le peculiarita’ del caso (individuate nella particolare sofferenza psichica soggettiva, nella giovane eta’ del soggetto leso e nel “modus vivendi tipico dell’eta’ e dell’ambiente”) consentivano – invece – di “personalizzare” il danno non patrimoniale “aumentando del 35% quello biologico”; ha rigettato l’appello incidentale con cui (OMISSIS) si era doluto del mancato riconoscimento del risarcimento del “danno da stress” e del “danno estetico” e – tenuto conto della natura onnicomprensiva ed unitaria della categoria del danno non patrimoniale – ha escluso che vi fosse spazio per liquidare un distinto importo per danno esistenziale; ha pure rigettato l’appello incidentale in punto di mancato riconoscimento del “danno futuro” per le spese correlate ad un eventuale intervento chirurgico da effettuare negli U.S.A. (sul rilievo che era del tutto mancata la prova del costo di tale operazione) e del danno da “perdita di chance”, dedotto sotto il profilo delle difficolta’ lavorative conseguenti alla invalidita’ permanente (sul rilievo che si trattava di voce di danno da sussumere nell’ambito della perdita della capacita’ lavorativa generica, che era stata gia’ considerata con la liquidazione del danno biologico). Ha, infine, rigettato le richieste della madre e del fratello del leso, sull’assunto che il risarcimento ai congiunti “e’ legato all’evento morte del soggetto leso”.

2. I primi quattro motivi del ricorso censurano la sentenza nella parte in cui ha rideterminato l’importo del risarcimento per il danno morale in favore di (OMISSIS).

2.1. Col primo motivo (“violazione degli articoli 2, 3 e 32 Cost., articolo 2059 c.c. e articolo 185 c.p., comma 2” e “motivazione illogica … in riferimento alla erronea adozione di indeterminate, non precisate, insussistenti e fantomatiche tabelle di liquidazione del danno alla persona”), i ricorrenti si dolgono che la Corte abbia ritenuto incongruo l’importo liquidato dal Tribunale sul presupposto che lo stesso corrispondesse ad una percentuale del danno biologico secondo i “criteri tabellari adottati nel circondario”, senza tuttavia indicare quali fossero tali tabelle (peraltro neppure esistenti all’epoca del sinistro).

Col secondo motivo (“violazione degli articoli 2, 3 e 32 Cost., articolo 112 disp. gen., articolo 2059 c.c. e articolo 132 c.p.c.” e “motivazione erronea, contraddittoria circa un fatto decisivo della controversia per l’applicazione al caso di specie di tabelle … vigenti, con violazione del principio di irretroattivita’”), i ricorrenti si dolgono che il danno sia stato liquidato sulla base delle “tabelle vigenti presso il Tribunale” all’epoca della pronuncia senza considerare che le stesse non potevano applicarsi ad una vicenda giudiziaria iniziata nel 1993 (cosi’ “disciplinando il caso con lo ius vivens sopravvenuto” e “violando il principio di irretroattivita’ della legge nuova”) e senza tener conto che anche le tabelle “attuali” consentivano – nel caso – di liquidare il danno morale in misura superiore al 50% del danno biologico.

2.2. Le censure sono – in parte – inammissibili, e – per il resto – infondate.

Inammissibili nella parte in cui deducono uno scostamento dalle tabelle vigenti all’epoca della liquidazione senza trascriverle – per la parte di interesse – e senza indicare se e quando dette tabelle siano state depositate in corso di causa e dove siano – eventualmente – reperibili.

Infondate nella parte in cui assumono che la liquidazione avrebbe dovuto essere effettuata sulla base dei criteri risarcitori applicati all’epoca del sinistro o a quella dell’inizio della causa anziche’ alla luce dei criteri adottati al momento della decisione: la liquidazione non puo’ avvenire che sulla base di criteri “attuali” (che possono ben costituire anche il risultato di un’elaborazione giurisprudenziale fortemente innovativa nel frattempo intervenuta) e delle tabelle vigenti, mentre il profilo diacronico (relativo al tempo intercorso fra la produzione del danno e la liquidazione del risarcimento) trova adeguata considerazione nei noti meccanismi che prevedono la devalutazione (all’epoca del danno) degli importi risultanti dalle tabelle vigenti e il successivo ricalcolo della rivalutazione monetaria e degli interessi (fermo restando che dell’eventuale mutamento dei criteri risarcitori potra’ tenersi conto anche in sede di liquidazione delle spese di lite).

Tale principio – pacifico nella giurisprudenza di legittimita’ (cfr. Cass. n. 7272/2012) e funzionale alla necessita’ di adeguare le poste liquidate al diritto vivente – ha trovato recentissima autorevole conferma in Corte Cost. n. 235/2014, che – con riferimento alla disciplina introdotta dalla Legge n. 27 del 2012, in punto di liquidazione del danno correlato a micropermanenti – ha rimarcato che le nuove disposizioni concernenti le modalita’ di riscontro medico-legale delle lesioni, “in quanto non attinenti alla consistenza del diritto, bensi’ solo al momento successivo del suo accertamento in concreto, si applicano … ai giudizi in corso (ancorche’ relativi a sinistri verificatisi in data anteriore alla loro entrata in vigore)”.

2.3. Il terzo motivo (“violazione degli articoli 132 e 191 c.p.c.” e “motivazione illogica”) censura la sentenza per essersi discostata, senza fornirne alcuna motivazione, dalle risultanze della C.T.U. medico-legale che aveva registrato la notevole entita’ dei danni riportati dall’ (OMISSIS).

Il motivo risulta del tutto inconferente, in quanto – lungi dal discostarsi delle risultanze della consulenza d’ufficio – la Corte territoriale si e’ limitata a ritenere non autonomamente risarcibile il danno morale, pur tenendo conto della gravita degli esiti delle lesioni nell’ambito della personalizzazione del complessivo danno non patrimoniale.

2.4. Col quarto motivo (“violazione dei principi del giusto processo” e “motivazione contraddittoria … in relazione al calcolo del danno morale sulla base del danno biologico su cui sussisteva il giudicato”), i ricorrenti si dolgono che il giudice di appello non si sia reso conto che il danno biologico era stato liquidato dal Tribunale (con statuizione non impugnata) sulla base delle “tabelle precedenti” e – altresi’ – che, parametrando il danno morale sul danno biologico liquidato dal Tribunale, la Corte abbia finito per applicare – contrariamente al proprio enunciato – tabelle diverse da quelle vigenti.

Il motivo e’ infondato in quanto viziato – in radice – dall’evidente equivoco di aver confuso le tabelle medico-legali utilizzate dal C.T.U. per la valutazione dell’invalidita’ permanente (tabelle Bargagna) con le tabelle utilizzate dall’ufficio giudiziario per la liquidazione del danno (in relazione alla misura dell’accertata invalidita’).

3. Col quinto motivo (che deduce violazione degli articoli 2059, 2056 e 1223 c.c.), i ricorrenti censurano la sentenza per avere negato il risarcimento del danno morale alla madre e al fratello del macroleso sulla base dell’apodittica affermazione che “il danno risarcibile iure proprio ai prossimi congiunti e’ legato all’evento morte” (mentre “nella fattispecie in esame, pur nella gravita delle lesioni patite da (OMISSIS) e quindi delle sue sofferenze, non v’e’ spazio a danno personale da sofferenza psichica per i congiunti”).

Il motivo e’ fondato alla luce del consolidato orientamento di legittimita’ che riconosce anche ai prossimi congiunti di persona che abbia subito lesioni personali a causa di fatto illecito costituente reato la possibilita’ di conseguire “il risarcimento del danno non patrimoniale concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell’articolo 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad agire “iure proprio” contro il responsabile” (Cass. n. 20667/2010; cfr. Cass. n. 7844/2011), ferma restando la necessita’ di allegazione nell’atto introduttivo (Cass. n. 2228/2012) e con liquidazione da effettuare “in via equitativa, in forza di una … valutazione complessiva, potendosi ricorrere a presunzioni sulla base di elementi oggettivi, forniti dal danneggiato, quali le abitudini di vita, la consistenza del nucleo familiare e la compromissione delle esigenze familiari” (Cass. n. 20667/2010; cfr. anche Cass. n. 22909/2012).

La sentenza va – dunque – cassata sul punto, con rinvio alla Corte territoriale che dovra’ procedere ad una nuova valutazione della domanda alla luce dei principi sopra richiamati.

4. Il sesto motivo deduce violazione di legge (in riferimento agli articoli 2, 3 e 32 Cost. e articolo 2059 c.c., articolo 185 c.p. e articolo 333 c.p.c.) e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento del risarcimento del “danno da stress”, richiesto da (OMISSIS) a fronte del complesso e doloroso percorso clinico che aveva dovuto affrontare e delle ansie connesse allo svolgimento dei procedimenti giudiziari.

Premesso che la Corte ha correttamente negato – in termini generali – l’autonomia del danno da stress rispetto al danno morale o a quello biologico (per l’ipotesi che lo stress sia stato tale da esitare in una vera e propria patologia), la censura risulta infondata poiche’, senza prospettare erronee affermazioni in punto di diritto e senza tener conto che nella valutazione della “sofferenza psichica soggettiva” operata dalla Corte ai fini della personalizzazione del danno non patrimoniale e’ stato evidentemente considerato anche il doloroso percorso clinico del giovane, finisce – a ben vedere – per dolersi dell’inadeguatezza della misura dell’anzidetta personalizzazione, senza tuttavia articolare specifiche censure motivazionali idonee a inficiare l’apprezzamento equitativo del giudice di merito.

5. Egualmente infondate – alla stregua degli indirizzi nomofilattici affermati dalle sentenze di San Martino – sono le doglianze di cui al nono motivo (“violazione e falsa applicazione dell’articolo 2, 3 e 32 Cost., dell’articolo 2059 c.c., articolo 185 c.p., articolo 115 c.p.c., per la determinazione del danno estetico”), che censurano la sentenza per non avere “tenuto conto dell’ulteriore aggravamento che la salute dell’ (OMISSIS) ha subito, mediante l’aggiunta di conseguenze estetiche devastanti”: atteso che il danno biologico costituisce una categoria di pregiudizio unitaria e comprensiva di ogni menomazione all’integrita’ psico-fisica della persona, non v’e’ spazio per il riconoscimento di un’autonoma categoria del danno estetico, la cui esistenza e’ valutabile sotto la specie del danno biologico e puo’ -se del caso – giustificare la personalizzazione del relativo risarcimento.

6. Il settimo e l’ottavo motivo deducono entrambi violazione dell’articolo 2059 c.c., articolo 185 c.p. e articolo 115 c.p.c., oltreche’ dell’articolo 2697 c.c. (il settimo) e dell’articolo 32 Cost. e articolo 333 c.p.c. (l’ottavo), nonche’ “motivazione erronea ed illogica”, e censurano la sentenza per non aver riconosciuto al giovane macroleso il risarcimento del danno futuro, richiesto in relazione ai costi di un intervento chirurgico da effettuarsi negli U.S.A. e alla menomazione della futura capacita’ di guadagno (dedotta anche come “danno da perdita di chances, inteso quale danno non patrimoniale con il quale deve essere risarcita la potenzialita’ che l’individuo aveva prima di subire l’illecito sul piano della realizzazione personale e lavorativa”).

Infondate risultano le censure concernenti i costi dell’eventuale intervento chirurgico, giacche’ – a fronte del rilievo della Corte sulla genericita’ delle indicazioni relative all’intervento da eseguire e sulla totale assenza di prova in ordine ai costi – appare priva di fondamento la pretesa dell’ (OMISSIS) di rimettere in toto l’assolvimento del proprio onere probatorio ad una consulenza volta ad accertare “la necessita’ di ulteriore intervento operatorio in America con tecniche sperimentali, determinando il relativo costo”; va considerato, peraltro, che – in ogni caso – la Corte non avrebbe potuto riconoscere – senza incorrere in una patente duplicazione liquidatoria – il risarcimento del danno biologico correlato ad un’accertata invalidita’ e, al tempo stesso, il rimborso del costo di un intervento chirurgico che quell’invalidita’ era destinato a ridurre.

Fondata, per quanto di ragione, e’ invece la censura relativa al danno conseguente alla menomazione della futura capacita’ di guadagno.

Sul punto, la Corte territoriale ha osservato che “la dedotta perdita di chance legata alle difficolta’ lavorative conseguenti alla invalidita’ permanente va piu’ correttamente sussunta sotto l’aspetto … della perdita della capacita’ lavorativa generica” ed ha escluso che essa possa essere ulteriormente risarcita in quanto gia’ considerata nell’ambito del danno biologico liquidato a titolo di invalidita’ permanente.

Premesso che – pur incorrendo in qualche ambiguita’ nell’individuazione del pregiudizio – l’ (OMISSIS) (che, all’epoca del sinistro, era studente non percettore di reddito) ha inteso richiedere anche il risarcimento del danno patrimoniale futuro correlato alla menomazione della propria capacita’ lavorativa, non risulta corretta l’affermazione recisamente negativa cui il giudice di appello e’ pervenuto sul presupposto che quella fatta valere dal leso fosse una mera incapacita’ lavorativa generica.

Al contrario, l’ (OMISSIS) ha inteso dedurre un’incapacita’ lavorativa specifica, alla luce della valutazione del C.T.U che, accertati postumi permanenti pari al 63% della validita’ totale, li ha ritenuti incidenti nella misura del 45% sulla capacita’ lavorativa assoluta.

Per quanto non sussista un nesso di derivazione automatica fra invalidita’ permanente e danno patrimoniale da lucro cessante, “poiche’ esso sussiste solo se tale invalidita’ abbia prodotto una riduzione della capacita’ lavorativa specifica” (Cass. n. 10074/2010) e richiede di “essere accertato in concreto attraverso la dimostrazione che il soggetto leso svolgesse – o presumibilmente in futuro avrebbe svolto – un’attivita’ lavorativa produttiva di reddito” (Cass. n. 6291/2003), pare evidente che il dato -incontestato – di una riduzione di quasi il 50% della capacita’ di svolgere qualunque attivita’ lavorativa non consenta di escludere a priori la sussistenza di un danno da lucro cessante e comporti pertanto la necessita’ di verificare se e – in ipotesi – “quale sia stata in concreto la riduzione della capacita’ lavorativa specifica del soggetto leso … tenendo conto della varieta’ di attivita’ o di lavorazioni che il soggetto puo’ essere chiamato a compiere, in riferimento alla situazione lavorativa specifica, ambientale e personale” (Cass. n. 18945/2003).

Anche su questo punto, la sentenza va dunque cassata, con rinvio alla Corte di merito che dovra’ rivalutare la domanda concernente il danno patrimoniale futuro alla luce di principi sopra richiamati.

7. Col decimo motivo (violazione degli articoli 2043, 2059 e 1223 c.c., articolo 185 c.p., articoli 342 e 112 c.p.c., “in relazione all’articolo 360, n. 3)”, nonche’ “erronea, illogica motivazione in riferimento alla rivalutazione e relativa decorrenza”), i ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui ha considerato generiche le doglianze contenute nell’appello incidentale in merito a “non adeguate liquidazioni circa i capi di danno accolti e per quelli non accolti”.

Al riguardo, la Corte di Appello ha rilevato che l’appellante incidentale non aveva specificato “dove e in che misura il Tribunale abbia errato nel liquidare il danno per i danni dovuti”, e cio’ anche in riferimento alla rivalutazione delle somme riconosciute.

Il motivo e’ inammissibile, in quanto non prospetta effettivamente erronee affermazioni in punto di diritto, ne’ evidenzia chiaramente vizi motivazionali, ma svolge considerazioni sull’erroneita’ delle statuizioni del Tribunale senza riprodurre i motivi di appello della cui genericita’ si tratta e senza fornire neppure elementi per valutare se ed in quale misura le censure svolte con l’appello incidentale conservino interesse alla luce delle statuizioni di riforma adottate dal giudice di appello.

8. L’undicesimo motivo – che deduce violazione dell’articolo 91 c.p.c. e censura la statuizione di parziale compensazione delle spese di lite sul presupposto che la Corte abbia errato nell’accogliere parzialmente l’appello principale – risulta assorbito per effetto del parziale accoglimento del presente ricorso, che comporta la necessita’ di un nuovo regolamento complessivo delle spese processuali.

9. La Corte di rinvio provvedere anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

la Corte, accoglie il quinto, il settimo e l’ottavo motivo del ricorso, per quanto di ragione, dichiara assorbito l’undicesimo e rigetta per il resto; cassa in relazione e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Reggio Calabria, in diversa composizione

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