SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
sezione III
SENTENZA 26 maggio 2014, n. 11657
Ritenuto in fatto
B.S. e M.M.M. , nella qualità di esercenti la potestà sul figlio minore B.G. , convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Palermo, Sezione distaccata di Carini, il Comune di Carini, affinché fosse condannato al risarcimento dei danni conseguenti ad una caduta del figlio minore mentre si trovava sullo scivolo sito all’interno del parco comunale.
Costituitosi il Comune convenuto, il Tribunale respingeva la domanda.
2. Proposto appello da parte dei soccombenti, la Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 17 marzo 2008, in riforma di quella di primo grado, accoglieva la domanda e condannava il Comune di Carini al pagamento della somma complessiva di Euro 6.258, oltre interessi legali, nonché dei due terzi delle spese del doppio grado di giudizio.
Osservava la Corte territoriale che dall’espletata istruttoria era emerso che lo scivolo si trovava all’interno di un’aiuola in terra battuta, coperta con poca sabbia, e che alla base dello stesso vi era una concavità. Da tanto la Corte deduceva che il Comune non aveva proceduto alla sistemazione ed al riempimento della zona, da ritenere tanto più necessaria in quanto frequentata da bambini. Doveva ritenersi ovvio, infatti, che la non corretta postura dei piedi di un bambino in fase di caduta “rientravano nel novero dei rischi prevedibili”, non potendosi pretendere dai piccoli un’adeguata perizia.
Quanto al nesso di causalità, la Corte riteneva, sulla base dell’espletata c.t.u., che vi fosse la compatibilità tra le lesioni riportate dal bambino e le condizioni insidiose del piano di atterraggio.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Palermo propone ricorso il Comune di Carini, con atto affidato a due motivi.
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ., oltre ad insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Rileva il ricorrente che la responsabilità della pubblica amministrazione è stata dedotta dalle condizioni del terreno, ritenuto fonte di un pericolo occulto. Nel caso di specie, invece, l’ostacolo era visibile ed evitabile, per cui i genitori avrebbero potuto proteggere il loro figlio dal rischio di cadute, sicché non vi sarebbero le condizioni per l’applicazione dell’art. 2043 cod. civ. e del principio del neminem laedere.
2. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ., con conseguente illogicità della motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Secondo il ricorrente, il bene pubblico aveva costituito, nella specie, solo l’occasione e non la causa dell’incidente, non essendosi verificata alcuna anomalia. Lo scivolo, infatti, doveva essere usato secondo la sua funzione e sotto la vigilanza degli adulti. La sentenza, quindi, avrebbe errato nella ricostruzione del nesso di causalità, ritenendo che l’esistenza di un fondo di terra battuta con radi cespugli potesse essere stato causa del danno.
3. I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per la stretta connessione che li caratterizza, sono entrambi fondati.
3.1. Occorre innanzitutto rilevare che la domanda risarcitoria oggetto del presente giudizio è stata avanzata e portata avanti, come risulta dalla sentenza impugnata e dagli odierni motivi di ricorso, sulla base dell’art. 2043 cod. civ., invocando cioè il principio del neminem laedere. Ciò comporta che devono valere le regole in tema di prova stabilite da detta norma, per cui il danneggiato deve dimostrare l’esistenza del nesso causale nonché il dolo o la colpa del danneggiante.
La più recente giurisprudenza è andata ponendo in evidenza, su questo punto, due aspetti di fondamentale importanza: da un lato il concetto di prevedibilità dell’evento dannoso e dall’altro quello del dovere di cautela da parte del soggetto che entra in contatto con la cosa. Questa Corte ha definito il concetto di prevedibilità come concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo ed ha evidenziato che, ove tale pericolo sia visibile, si richiede dal soggetto che entra in contatto con la cosa un grado maggiore di attenzione, proprio perché la situazione di rischio è percepibile con l’ordinaria diligenza (v. le sentenze 22 ottobre 2013, n. 23919, e 20 gennaio 2014, n. 999, le quali si pongono, peraltro, nel solco di un orientamento consolidato).
Ma anche in una fattispecie nella quale trovava applicazione l’obbligo di custodia di cui all’art. 2051 cod. civ., con diverse e più gravi regole probatorie a carico del danneggiante, questa Corte ha evidenziato che all’obbligo suddetto “fa pur sempre riscontro un dovere di cautela da parte di chi entri in contatto con la cosa”; sicché, quando “la situazione di possibile pericolo comunque ingeneratasi sarebbe stata superabile mediante l’adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, potrà allora escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell’evento” (sentenza 17 ottobre 2013, n. 23584; sul concetto di cosa come occasione dell’evento si veda pure la sentenza 5 dicembre 2008, n. 28811).
3.2. La responsabilità civile conseguente ai danni riportati dai bambini all’interno di un parco giochi è venuta in altre circostanze all’esame di questa Corte.
Sono da richiamare, in proposito, la sentenza 6 agosto 1997, n. 7276, che riguardava il caso di un minore caduto da un’altalena in un giardino comunale, nonché la sentenza 21 maggio 2013, n. 12401, relativa alla diversa ipotesi di una caduta dal dondolo di una giostra collocata nel parco giochi all’interno di un ristorante. Nella prima pronuncia la Corte ha escluso la responsabilità del Comune, ai sensi dell’art. 2051 cod. civ., sul semplice rilievo che l’altalena, pur presentando in astratto qualche elemento di pericolosità, era comunque adeguata agli standard dei manufatti del genere destinati ai parchi giochi. La seconda sentenza, invece, ha stabilito che la messa a disposizione di un parco giochi, a perfetta regola d’arte, da parte del titolare di un ristorante non implica, a carico di costui, alcun obbligo di sorveglianza sui minori che usano dette attrezzature.
In entrambi i casi, peraltro, questa Corte ha affermato che l’utilizzo delle strutture esistenti in un parco giochi – a meno che non risulti provato che le stesse siano difettose e, come tali, in grado di determinare pericoli anche in presenza di un utilizzo assolutamente corretto – non si connota, di per sé, per una particolare pericolosità, se non quella che normalmente deriva da simili attrezzature, le quali presuppongono, comunque, una qualche vigilanza da parte degli adulti.
3.3. Nel caso in esame, è pacifico che il sinistro si verificò quando il piccolo B.G. aveva circa tre anni e mezzo di età, e che egli cadde dallo scivolo intorno alle ore 23,30 del (OMISSIS) . Non risulta da alcun elemento che lo scivolo fosse in cattivo stato di conservazione o comunque dotato di un qualche specifico elemento di pericolosità. La sentenza impugnata non ricostruisce le modalità concrete della caduta, osservando solo che lo scivolo era “ubicato all’interno di un’aiuola in terra battuta, coperta da uno strato assai rarefatto di sabbia tufacea, con radi cespugli erbosi” e che ai piedi dell’attrezzo c’era una concavità, priva di qualsiasi accumulo di terriccio o di sabbia. Da tali elementi essa trae la conclusione che la durezza dell’impatto certamente poteva avere causato il danno lamentato dai genitori del bambino, tanto più che il Comune di Carini avrebbe dovuto prevedere il rischio approntando un adeguato quantitativo di sabbia ai piedi dello scivolo, non potendo pretendere “un elevato contributo di attenzione ed una perfetta perizia da un bambino”.
3.4. In tal modo, però, la sentenza impugnata è incorsa nella violazione dell’art. 2043 cod. civ., non avendo fatto corretta applicazione dei principi circa la prevedibilità dell’evento dannoso.
Osserva questo Collegio, infatti, che la caduta di un bambino di tre anni e mezzo di età da uno scivolo in ora notturna è un evento certamente prevedibile ed evitabile con un grado normale di diligenza. Il fatto che ai piedi dello scivolo vi fosse una buca o – come dice la sentenza in esame – una conca, un avvallamento che aumenta il rischio di cadute pericolose non fa che rendere ancora più prevedibile l’evento dannoso; sicché aumentano le probabilità che la cooperazione colposa del soggetto danneggiato – nel caso, degli adulti tenuti alla vigilanza sul bambino – possa avere un’efficacia causale del tutto assorbente ai sensi dell’art. 1227 del codice civile, assumendo la cosa il ruolo puro e semplice di occasione dell’evento.
In altri termini, un genitore (o, comunque, un adulto) che accompagna un bambino così piccolo, in ora notturna (e perciò priva di luce solare) in un parco giochi e gli consente di giocare su di uno scivolo ai piedi del quale c’è una buca, deve avere ben presenti i rischi che ciò comporta, non potendo poi invocare come fonte dell’altrui responsabilità, una volta che la caduta dannosa si è verificata, l’esistenza di una situazione di pericolo che egli era tenuto doverosamente a calcolare.
L’errore giuridico contenuto nella sentenza in ordine alla corretta applicazione dell’art. 2043 cod. civ. si traduce anche nel conseguente vizio di motivazione (secondo motivo), ravvisabile nel fatto che la pronuncia impugnata non ha dato conto di aver valutato tutte le circostanze che assumevano importanza nel caso specifico (modalità della caduta, comportamento dei genitori etc.), ricollegando al mero evento della caduta la conseguente responsabilità del Comune di Carini.
Sarà comunque compito del giudice di rinvio provvederà ad un nuovo esame del merito della vicenda, alla luce dei criteri giuridici indicati in tema di prevedibilità del fatto dannoso, valutando anche l’effettivo rispetto del dovere di cautela da parte degli adulti presenti che erano tenuti alla vigilanza del bambino.
4. Il ricorso, pertanto, è accolto e la sentenza impugnata è cassata.
Il giudizio è rinviato alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione personale, la quale deciderà attenendosi ai principi sulla prevedibilità del danno sopra richiamati, secondo i criteri di cui all’art. 2043 del codice civile.
Al giudice di rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia il giudizio alla Corte d’appello di Palermo, in diversa composizione personale, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.
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