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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  23 settembre 2013, n. 21725

Svolgimento del processo

Con atto notificato nel mese di settembre del 1994 B.A. e Br.Lu. esponevano di aver costituito per atto per notaio L..A. del 10 novembre 1989 un fondo patrimoniale nel quale erano confluiti tutti i loro beni immobili e che la Cassa di Risparmio di Macerata aveva proceduto in data 8 febbraio 1990 ad iscrivere ipoteca giudiziale sui beni di proprietà del B. , facenti parte del fondo patrimoniale, provvedendo in data 2 giugno 1993 a notificare un atto di precetto; sostenevano di aver successivamente accertato che l’annotazione della costituzione del fondo patrimoniale a margine dell’atto di matrimonio era stata effettuata in data 10 settembre 1990 e che tale ritardo, che aveva esposto il patrimonio finalizzato alle necessità della famiglia a manovre di terzi, era ascrivibile all’Ufficiale dello Stato civile del Comune di San Benedetto del Tronto, al detto Comune, che avrebbe dovuto vigilare sull’operato dei suoi dipendenti, ed al notaio, che aveva l’obbligo di accertare l’effettuazione dell’annotazione.
Tanto premesso i coniugi B. – Br. convenivano in giudizio, innanzi al Tribunale di Ascoli Piceno, M.G. , il Comune di San Benedetto del Tronto ed il notaio A.L. , chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, da quantificare in corso di causa, asseritamente subiti a causa delle condotte dei convenuti. Si costituiva il predetto Comune che sosteneva di aver tempestivamente provveduto agli incombenti di sua competenza, avendo l’Ufficio dello Stato Civile proposto alla Procura della Repubblica il testo dell’annotazione ed avendo dovuto poi attendere il rinvio del testo approvato; assumeva, inoltre, che l’iscrizione ipotecaria cui aveva provveduto la Cassa di Risparmio di Macerata non era riconducibile all’operato dell’Ente e chiedeva il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti.
Si costituiva anche la M. , negando ogni sua responsabilità e deducendo che, allorché aveva ricevuto la richiesta di annotazione da parte del notaio, l’aveva sottoposta all’esame del suo superiore gerarchico, R.F. , il quale si era espresso in senso negativo in relazione alla stessa; asseriva che la costituzione del fondo patrimoniale era diretta ad eludere le legittime pretese della Banca creditrice e che tale atto, pur se tempestivamente annotato, sarebbe stato suscettibile di revocatoria ordinaria; concludeva chiedendo la declaratoria del suo difetto di legittimazione passiva e il rigetto della domanda; in subordine, instava per la chiamata in garanzia del R. . Nel costituirsi il notaio A.L. sosteneva di aver tempestivamente inviato l’istanza di annotazione, restituitagli dal Comune dopo tre mesi sul rilievo che tale annotazione non poteva essere eseguita, sicché con nota del 27 marzo 1990 aveva chiarito al predetto ente quali erano le disposizioni legislative applicabili; deduceva la revocabilità dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale, con conseguente insussistenza dei lamentati danni e concludeva per il rigetto della domanda.
Si costituiva anche R.F. , di cui era stata autorizzata la chiamata in causa, il quale rappresentava che la M. , in ragione del suo inquadramento professionale si occupava anche delle annotazioni e che, pur avendogli richiesto un parere, si era determinata autonomamente; chiedeva, quindi, il rigetto di ogni domanda avanzata nei suoi confronti.
Il Tribunale adito, con sentenza del 24 febbraio 2005, condannava la M. , il Comune di San Benedetto del Tronto e l’A. , in solido tra loro, al risarcimento, in favore degli attori, dei danni liquidati in Euro 18.000,00, oltre rivalutazione monetaria ed interessi, rigettava la domanda di garanzia proposta dalla M. nei confronti del R. e regolava tra le parti le spese di giudizio. In particolare il Tribunale evidenziava che: 1) il notaio aveva provveduto a richiedere l’annotazione con raccomandata del 28 dicembre 1989, oltre il termine di cui all’art. 34 disp. att. c.c., sicché era ravvisabile una sua colpa professionale; 2) la responsabilità della M. si radicava nella circostanza di aver ritardato lo svolgimento delle proprie funzioni, così causando un danno consistente nell’impossibilità di opporre alla predetta Cassa di Risparmio di Macerata gli effetti della costituzione del fondo patrimoniale; 3) la responsabilità del Comune convenuto derivava dall’applicazione dell’art. 2049 c.c.; 4) avendo la M. piena autonomia funzionale, era infondata la sua pretesa di essere garantita dal R. ; 5) il danno sussisteva, nonostante l’astratta revocabilità dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale, stante l’eventualità di una tale azione e l’impossibilità per gli attori di gestire il loro patrimonio anche nelle more di una eventuale causa di revocatoria ordinaria; 6) doveva tenersi conto delle spese di iscrizione ipotecaria e di esecuzione, che gli attori avrebbero potuto risparmiare, e del danno morale; 7) la liquidazione dei danni andava effettuata equitativamente.
Avverso tale decisione proponevano appello i coniugi B. Br. , censurando la liquidazione dei danni effettuata dal primo Giudice sul rilievo che risultava per tabulas che il B. aveva venduto il 24 ottobre 1995 il bene immobile su cui era stata iscritta l’ipoteca – che la costituzione del fondo patrimoniale avrebbe permesso di evitare – per il prezzo di L. 160.000.000 a fronte di un valore stimato di L. 375.000.000 e che tale alienazione era stata effettuata al solo scopo di ottenere la cancellazione della trascrizione pregiudizievole, ed infatti subito dopo la vendita essi avevano ottenuto l’estinzione della procedura esecutiva.
Deducevano, inoltre, gli appellanti che il B. aveva sofferto, a partire dal 2002, a causa delle vicende oggetto di causa, di una gravissima forma depressiva e chiedevano la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni da loro subiti, che quantificavano in Euro 100.000,00, con interessi e rivalutazione, nonché in Euro 50.000,00 per danni all’integrità psico-fisica patiti dal B. .
Si costituiva la M. che resisteva al gravame proposto e proponeva, a sua volta, appello incidentale, deducendo che il parere espresso dal suo superiore gerarchico, nel senso della non annotabilità della costituzione del fondo patrimoniale, escludeva ogni sua colpa, che, comunque, l’atto in questione era illegittimo, non meritevole di tutela da parte dell’ordinamento e che, stante la sua revocabilità, non avrebbe potuto sortire l’effetto sperato dai debitori; deduceva, altresì, che il primo Giudice aveva errato nel riconoscere a favore degli attori il danno morale, da liquidarsi solo nel caso in cui l’illecito civile integrasse, anche astrattamente, un’ipotesi di reato; chiedeva il rigetto dell’appello principale e, in accoglimento di quello incidentale, il rigetto di ogni domanda proposta nei suoi confronti.
Si costituiva anche il Comune di San Benedetto del Tronto impugnando la sentenza di primo grado sul rilievo dell’insussistenza dei presupposti della condanna risarcitoria a carico della PA; assumeva che il Tribunale aveva errato nel liquidare una somma del tutto sproporzionata rispetto al danno effettivo, che la sentenza era errata anche nella parte in cui riconosceva la rivalutazione monetaria dalla pronuncia al saldo e nella parte in cui aveva liquidato la somma di Euro 18.000,00 anche con riferimento alle spese di esecuzione e al danno morale; contestava la fondatezza dell’appello principale, eccependo la novità di alcune domande; concludeva per il rigetto del gravame e, in via riconvenzionale, instava per il rigetto di ogni domanda proposta nei suoi confronti e, in subordine, per la limitazione del danno alle sole spese di iscrizione ipotecaria, in ulteriore subordine per l’esclusione della rivalutazione monetaria sulla somma liquidata a titolo di risarcimento del danno e, in via ancor più gradata, per la compensazione delle spese del primo grado.
Si costituiva pure A.L. eccependo l’inammissibilità ex art. 345 c.p.c. della domanda per il risarcimento dei danni relativi ad una presunta patologia depressiva, stante la sua novità, e sosteneva che il Tribunale aveva errato nel ritenere che la tardiva presentazione dell’istanza di annotazione della costituzione del fondo patrimoniale avesse contribuito a causare il danno, essendo stati gli atti pregiudizievoli nei confronti degli attori posti in essere quaranta giorni dopo la richiesta di trascrizione; deduceva, altresì, l’infondatezza della richiesta di risarcimento del danno morale, intendendo i coniugi B. Br. , con la costituzione del fondo patrimoniale, sottrarre i beni alle pretese dei creditori, i quali avrebbero potuto agire in revocatoria trascrivendo la relativa domanda; concludeva per il rigetto dell’appello principale e per l’accoglimento di quello incidentale volto alla riforma della sentenza di primo grado nella parte in cui condannava l’A. al pagamento, in favore degli attori, della somma di Euro 18.000,00, con conseguente condanna di questi ultimi alla restituzione di quanto loro versato dalla sua compagnia assicuratrice in esecuzione dell’impugnata decisione.
La Corte di appello di Ancona, con sentenza dell’11 novembre 2006, dichiarava inammissibile la domanda di risarcimento dei danni formulata nell’atto di appello, rigettava nel resto il gravame principale e, accogliendo gli appelli incidentali e in totale riforma dell’impugnata sentenza, rigettava ogni domanda proposta dai predetti coniugi.
Avverso la sentenza della Corte di merito B.A. e Br.Lu. hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi.
Hanno resistito con distinti controricorsi A.L. , M.G. e il Comune di San Benedetto del Tronto.
I ricorrenti e la M. hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Al ricorso in esame si applica il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. – inserito nel codice di rito dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed abrogato dall’art. 47, comma 1, lett. d) della legge 18 giugno 2009, n. 69 – in considerazione della data di pubblicazione della sentenza impugnata (11 novembre 2006).
2. Va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione dell’art. 366 bis c.p.c. sollevata dal Comune di San Benedetto del Tronto, essendo i motivi primo, secondo, terzo e quarto assistiti da idonei quesiti di diritto ed avendo i ricorrenti formulato in relazione ai motivi quinto e sesto idonei c.d. quesiti di fatto, ancorché impropriamente definiti dai ricorrenti stessi “quesiti di diritto”.
3. Con il primo motivo, denunciando la violazione degli artt. 1710, 1716 e 1128 c.c., i ricorrenti lamentano che la Corte di merito, pur avendo ritenuto sussistente la violazione dell’art. 34 bis disp. att. c.c. da parte del notaio A.L. , ha tuttavia affermato che tale omissione non avrebbe avuto effettiva efficienza causale in ordine ai danni da essi lamentati.
4. Con il secondo motivo, lamentando la violazione dell’art. 2043 c.c., i ricorrenti censurano la sentenza impugnata in quanto la Corte di appello pur avendo espressamente riconosciuto l’erroneità della condotta dell’Ufficiale di Stato Civile, M.G. , che non aveva provveduto all’annotazione ritenendo erroneamente di dover provvedere alla stessa solo su ordine dell’A.G., aveva negato il diritto al risarcimento del danno.
5. Con il terzo motivo i ricorrenti, lamentando violazione dell’art. 345 c.p.c., censurano la sentenza impugnata per aver la Corte di merito ritenuto domanda nuova e, quindi, inammissibile quella volta ad ottenere il risarcimento del danno biologico; sostengono i coniugi B. Br. che in primo grado avevano chiesto l'”integrale risarcimento di tutti i danni subiti dalle inadempienze denunciate” e che nel caso all’esame le condizioni di salute del sig. Br. erano “peggiorate in una grave forma depressiva” e pertanto in grado di appello era stato chiesto il risarcimento di tale “voce di danno sopravvenuta”.
6. Con il quarto motivo, lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 2049 c.c., i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che il Comune di San Benedetto del Tronto sarebbe tenuto a rispondere per l’illecito commesso dalla sua dipendente, M.G. , in base ai principi desumibili dall’art. 28 Cost. e non ai sensi dell’art. 2049 c.c..
7. Con il quinto motivo i ricorrenti censurano la sentenza di secondo grado per omessa e insufficiente motivazione nella parte in cui non esamina la richiesta di risarcimento dei danni formulata nei confronti del Comune di San Benedetto del Tronto, limitandosi al riguardo ad affermare che il predetto ente “sarebbe chiamato a rispondere sulla base dei principi desumibili dall’art. 28 Cost.”, “senza esplicitare lo sviluppo logico che ha posto alla base della decisione” e senza dar conto delle motivazioni in base alla quali il predetto Comune non è stato ritenuto responsabile del fatto illecito posto in essere dalla propria dipendente.
8. Con il sesto motivo i ricorrenti lamentano contraddittorietà ed illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui rigetta l’appello principale pur avendo la Corte di merito ritenuto illegittima la condotta della M. , del notaio A. e del Comune di San Benedetto del Tronto.
9. I motivi primo, secondo, quarto, quinto e sesto – che, essendo strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente – sono fondati.
9.1. Ed invero sussistono nel caso all’esame le dedotte violazioni di legge e i lamentati vizi motivazionali della sentenza impugnata.
La Corte di merito ha, infatti, accertato che il notaio rogante ha chiesto l’annotazione senza rispettare il termine di trenta giorni previsto dall’art. 34 disp. att. c.c., in tal modo sostanzialmente incorrendo nella responsabilità ex art. 1218 c.c., che si configura anche in caso di tardività dell’adempimento, precisandosi che nel caso di specie non risulta provato che il ritardo sia stato determinato da causa non imputabile al notaio.
La Corte di appello di Ancona ha altresì accertato che la M. , pur avendo il notaio, con missiva ricevuta dal Comune in data 28 marzo 1990, riscontrato la nota del 21 marzo 1990 con cui l’Ufficio dello Stato Civile gli aveva comunicato di non aver provveduto all’annotazione in parola sull’erroneo presupposto di poter procedere a tanto solo su ordine dell’autorità giudiziaria, ha provveduto a detta annotazione solo nel settembre 1990, successivamente all’iscrizione dell’ipoteca da parte dell’istituto bancario.
Al riguardo va peraltro precisato che non può condividersi la sentenza impugnata nella parte in cui (v. p. 23) afferma che “degli eventuali danni cagionati dalla condotta della M. il Comune di San Benedetto del Tronto sarebbe chiamato a rispondere sulla base dei principi desumibili dal[l]’art. 28 della Costituzione” senza far alcun riferimento al riguardo, motivazione, anche all’art. 2049 c.c., ritenuto applicabile, invece, dal Tribunale, come evidenziato nella stessa sentenza impugnata in questa sede (v. p. 8). Ed invero, va ribadito il principio già affermato da questa Corte, secondo cui la P.A. risponde del fatto illecito dei propri dipendenti tutte le volte che tra la condotta causativa del danno e le funzioni esercitate dal dipendente esista un nesso di occasionalità necessaria, e quest’ultimo sussiste tutte le volte che il pubblico dipendente non abbia agito come semplice privato per fini esclusivamente personali e del tutto estranei all’Amministrazione, ma abbia tenuto una condotta anche solo indirettamente ricollegabile alle attribuzioni proprie dell’agente (Cass. 29 dicembre 2011, n. 29727).
Nonostante abbia valutato come sopra riportato la condotta dei convenuti A. e M. , posta in essere, sostanzialmente, in violazione degli artt. 1218 (del notaio), 2043 (della M. ) e 2049 c.c. e 28 Cost. (del Comune), la Corte di merito con motivazione insufficiente e contraddittoria, oltre che giuridicamente errata e fondata, peraltro, su mere ipotesi e congetture (la sollecita richiesta di annotazione del notaio non avrebbe consentito l’annotazione prima dell’iscrizione ipotecaria; l’intento elusivo perseguito dai coniugi B. Br. e l’eventuale esperimento dell’azione pauliana), ha ritenuto insussistente nella specie il nesso causale tra la ritardata annotazione dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale in parola e i lamentati danni e ne ha, quindi, escluso il risarcimento.
10. Con il terzo motivo, assistito da idoneo quesito, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione dell’art. 345 c.p.c. nella parte in cui ha ritenuto la domanda di risarcimento del danno biologico quale domanda nuova.
10.1. Il motivo é infondato sul rilievo che gli stessi coniugi B. Br. – come pure evidenziato nella sentenza impugnata dai giudici di secondo grado, senza che sul punto specifico i predetti abbiano mosso rilievi – nella stessa esposizione contenuta nell’atto di appello (v. anche ricorso p. 4) hanno rappresentato che il B. avrebbe iniziato a soffrire della sindrome depressiva a partire dall’anno 2002, quando era in corso ancora il giudizio di primo grado, nel quale le conclusioni furono precisate all’udienza del 13 ottobre 2003, senza che fosse formulata alcuna specifica richiesta dei relativi danni già, quindi, manifestatesi nel corso di quel grado; ne consegue che é corretta la decisione della Corte di merito al riguardo.
11. Il ricorso deve essere, pertanto, accolto per quanto di ragione.
La sentenza va quindi cassata in relazione alle censure accolte.
La sentenza è rinviata alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione.

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