Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 23 marzo 2015, n. 12019
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato ad (OMISSIS);
avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Lucca in data 10/6/2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni;
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SELVAGGI Eugenio, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10/6/2013, il Tribunale di Lucca giudicava (OMISSIS) colpevole della contravvenzione di cui all’articolo 674 cod. pen. e lo condannava alla pena di 200 euro di ammenda; allo stesso, nella qualita’ di legale rappresentante della ” (OMISSIS) s.r.l..”, era ascritto di aver provocato emissioni in atmosfera che, sebbene conformi ai valori limite di cui alle autorizzazioni, provocavano odori nauseabondi tali da molestare gravemente le persone residenti nella zona.
2. Propone ricorso per cassazione il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo quattro motivi:
– inosservanza o erronea applicazione di legge penale con riferimento all’articolo 674 cod. pen.. Il Tribunale avrebbe condannato l’imputato pur a fronte del pacifico rispetto dei valori limite di cui alle autorizzazioni, si’ che la condotta avrebbe dovuto esser collocata in ambito esclusivamente civilistico;
– mancanza, contraddittorieta’ o manifesta illogicita’ della motivazione con riguardo all’elemento soggettivo. Il Tribunale avrebbe dovuto negare il profilo psicologico della condotta, atteso che l’imputato – attenendosi alle prescrizioni di cui all’autorizzazione – sarebbe caduto in errore sul fatto che costituisce reato. La buona fede del (OMISSIS), ancora, sarebbe stata rafforzata dall’esito positivo dei sopralluoghi piu’ volte compiuti dalle autorita’ di protezione ambientale;
– mancanza, insufficienza e/o contraddittorieta’ della motivazione con riguardo alla prova delle molestie. Il Giudice avrebbe posto a fondamento della condanna le dichiarazioni testimoniali, che avrebbero riferito soltanto di sensazioni, peraltro non supportate da certificati medici o perizie;
– mancanza, insufficienza e/o contraddittorieta’ della motivazione con riguardo alla prova dell’avvenuto superamento della normale tollerabilita’ delle emissioni, invero mai accertata.
3. Il ricorso e’ infondato.
Con riguardo al primo e terzo motivo, da esaminare congiuntamente, osserva il Collegio che, per costante indirizzo di legittimita’, il reato di cui all’articolo 674 cod. pen. (Getto pericoloso di cose) e’ configurabile anche in presenza di “molestie olfattive” promananti da impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera (e rispettoso dei relativi limiti, come nel caso di specie), e cio’ perche’ non esiste una normativa statale che preveda disposizioni specifiche – e, quindi, valori soglia – in materia di odori (Sez. 3, n. 37037 del 29/5/2012, Guzzo, Rv. 253675); con conseguente individuazione del criterio della “stretta tollerabilita’” quale parametro di legalita’ dell’emissione, attesa l’inidoneita’ ad approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana di quello della “normale tollerabilita’”, previsto dall’articolo 844 cod. civ. in un’ottica strettamente individualistica (Sez. 3, n. 2475 del 9/10/2007, Alghisi, Rv. 238447).
Ne’ vale, in senso contrario, l’assunto difensivo per il quale, in alcune occasioni, questa Corte ha invece affermato che la configurabilita’ dell’articolo 674 cod. pen. e’ esclusa in presenza di immissioni provenienti da attivita’ autorizzata e contenute nei limiti di legge, o dell’autorizzazione; osserva il Collegio, infatti, che queste pronunce si riferiscono a casi ben diversi dal presente, nei quali vi era piena corrispondenza “qualitativa” e “tipologica” tra le immissioni riscontrate e quelle oggetto del provvedimento amministrativo o disciplinate dalla legge, tra quelle accertate e quelle che l’agente si era impegnato a contenere entro determinati limiti; situazione nella quale, invero, il rispetto di questi ultimi implica una presunzione di legittimita’ del comportamento, concepita dall’ordinamento come necessaria per contemperare le esigenze di tutela pubblica con quelle della produzione economica (Sez. 3, n. 37495 del 13/7/2011, Dradi, Rv. 251286; Sez. 3, n. 40849 del 21/10/2010, Rocchi, Rv. 248672; Sez. 3, n. 15707 del 9/1/2009, Abbaneo, Rv. 243433).
Da quanto precede, dunque, deriva che, nel caso in esame, trovano applicazione i seguenti principi, enunciati dalla giurisprudenza sopra richiamata: a) l’evento del reato consiste nella molestia, che prescinde dal superamento di eventuali valori soglia previsti dalla legge, essendo sufficiente quello del limite della stretta tollerabilita’; b) qualora difetti la possibilita’ di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensita’ delle emissioni, il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilita’ delle stesse ben puo’ basarsi sulle dichiarazioni di testimoni, specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica, ma consistano nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti (per tutte, Sez. 3, n. 19206 del 27/3/2008, Crupi, Rv. 239874).
Orbene, tutto cio’ premesso, osserva la Corte che la sentenza gravata ha fatto buon governo di questi principi, con motivazione adeguata, priva di contraddizioni e dal logico percorso argomentativo.
Ed invero, la stessa ha dato atto che, pur nel rispetto dei valori limite autorizzati di immissioni, non riferiti ne’ riferibili agli odori, proprio questi ultimi si erano presentati con caratteri pacificamente molesti; che, in particolare, numerosi testi – abitanti nelle vicinanze della torrefazione – avevano indicato un odore terribile di caffe’ bruciato che, specie all’ora di pranzo, si diffondeva nelle loro case, provocando nausea e, talvolta, anche vomito ed iniziale immissione di un fumo nero nelle loro abitazioni.
Deposizioni – osserva la Corte – la cui attendibilita’ non e’ stata mai posta in dubbio, neppure nel presente ricorso.
Ne deriva, quindi, l’infondatezza dei motivi.
4. Negli stessi termini, poi, conclude il Collegio quanto alla quarta doglianza, connessa alle precedenti.
Il ricorrente lamenta che il Giudice 1) non avrebbe disposto alcun accertamento tecnico in ordine al contestato superamento della normale tollerabilita’ delle immissioni e 2) non avrebbe neppure tenuto conto degli accertamenti invece effettuati dagli organi competenti. Orbene, rileva il Collegio che, quanto al primo profilo, lo stesso risulta irrilevante, atteso che – per emergenza pacifica, come sopra riportato – la molesta olfattiva non puo’ esser “accertata” in via scientifica, con qualsivoglia esame, ma deve esser affidata -come nel caso di specie – alla prova testimoniale ed alla verifica della sua attendibilita’; quanto poi al secondo aspetto, lo stesso sovrappone impropriamente le immissioni autorizzate (ed oggetto di limiti) con quelle estranee all’autorizzazione, come le olfattive, e cosi’ pretende che gli esami compiuti sulle une riverberino i propri effetti, anche in termini probatori, pur sulle altre. Il che, come piu’ volte affermato dalla sentenza impugnata, non e’ affatto consentito.
5. Da ultimo, per sequenza logica, il secondo motivo, anch’esso infondato.
Con riguardo all’elemento soggettivo, infatti, la sentenza – con motivazione congrua ed immune da vizi – ha sottolineato che l’imputato aveva proseguito nell’attivita’ senza adottare alcun accorgimento, pur consapevole degli esposti e delle segnalazioni da parte di molti abitanti della zona con riguardo agli odori nauseabondi. Circostanza, peraltro non contestata nel ricorso, del tutto idonea a superare l’assunto difensivo relativo alla presunta buona fede del (OMISSIS), da escludere in forza di quanto precede.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese del procedimento.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
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