La massima

In tema di danni determinati dall’esistenza di un cantiere stradale, qualora l’area di cantiere risulti completamente enucleata, delimitata ed affidata all’esclusiva custodia dell’appaltatore, con conseguente assoluto divieto su di essa del traffico veicolare e pedonale, dei danni subiti all’interno di questa area risponde esclusivamente l’appaltatore, che ne è l’unico custode. Allorquando, invece, l’area su cui vengono eseguiti i lavori e insiste il cantiere risulti ancora adibita al traffico e, quindi, utilizzata a fini di circolazione, denotando questa situazione la conservazione della custodia da parte dell’ente titolare della strada, sia pure insieme all’appaltatore, consegue che la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. sussiste sia a carico dell’appaltatore che dell’ente, salva l’eventuale azione di regresso di quest’ultimo nei confronti del primo a norma dei comuni principi sulla responsabilità solidale.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

SENTENZA 23 luglio 2012, n.12811

Ritenuto in fatto

Con atto di citazione del 24 febbraio 1989 V.S. conveniva in giudizio il Comune di Roma chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, fisici e materiali, da lui subiti a seguito di un incidente avvenuto in data (OMISSIS). A sostegno della domanda, esponeva che il giorno del fatto, intorno alle ore 21,00, mentre percorreva la suddetta strada a bordo della sua autovettura Fiat 127 tg. Roma XXXXXX era sprofondato in una buca presente sul manto stradale e non segnalata. A causa del colpo, si erano rotti il cerchione di una ruota e, soprattutto, i bracci dell’avantreno, per cui aveva perso il controllo della vettura che, sbandando, aveva invaso l’opposta corsia di marcia ed era entrata in collisione frontale con l’autovettura Fiat Ritmo tg. XXXXXX che procedeva in senso contrario, condotta dal proprietario Fi.Fa. . Sul luogo del sinistro erano in corso lavori stradali ed a causa della pioggia si erano formate numerose buche, tra le quali quella che aveva cagionato l’incidente di cui era rimasto vittima. Con autonomo atto di citazione del 4 luglio 1989, C.R. , terzo trasportato sull’autovettura Fiat 127 condotta dal V. , conveniva in giudizio quest’ultimo, la sua Compagnia di assicurazione SAI spa, l’italgas in qualità di ente appaltante dei lavori stradali, le società CTS srl e LUNA srl quali imprese appaltatrici delle opere, la Lloyd Adriatico spa in qualità di Compagnia di assicurazione del Fi. e, da ultimo, G.L. , quale direttore dei lavori, chiedendo la loro condanna in solido a risarcirgli i danni subiti. All’udienza del 30 marzo 1990 i due giudizi venivano riuniti. Il contraddittorio, peraltro, si completava con la chiamata in causa della Soles spa. società incaricata della manutenzione della strada, dell’Assitalia, Compagnia di assicurazione della CTS srlr della Ticino Ass. spa, Compagnia di assicurazione della Luna srl e di Fi.Fa. . Tutte le parti si costituivano e ciascuna chiedeva il rigetto delle domande proposte nei suoi confronti. Il F. presentava inoltre riconvenzionale per ottenere la condanna dei convenuti, in solido, al risarcimento dei danni da lui subiti.
Nel corso del giudizio, la SAI spa versava al C. la somma di L. 150.000.000 senza pregiudizio dei propri diritti e con riserva di rivalersi nei confronti delle parti delle quali sarebbe stata riconosciuta la responsabilità nella produzione dell’evento dannoso. In esito al giudizio, il Giudice di primo grado dichiarava che il sinistro si era verificato per colpa concorrente di V.S. nella misura del 60% nonché, in solido tra loro, del Comune di Roma, dell’Italgas, della Soles spa, del Fallimento CTS, della Luna 85 srl e di G.L. nella residua misura del 40% e, conseguentemente, li condanna al risarcimento dei danni in favore di C.R. , Fi.Fa. e dello stesso V.S. , salvo regresso ai sensi dell’art. 2055 c.c..
Avverso tale sentenza proponevano autonomi atti di appello, successivamente riuniti, il Comune di Roma e la Luna 85 srl chiedendo, per motivi diversi, l’esclusione delle rispettive responsabilità. Si costituivano tutte le altri parti, ad eccezione del Fallimento CTS srl, spiegando, a loro volta, appello incidentale. In esito al giudizio, la Corte di Appello di Roma con sentenza n. 4959/06 depositata in data 14 novembre 2006 accoglieva gli appelli incidentali della SOLES spa, ITALGAS spa, ASSITALIA spa, rigettava l’appello principale del Comune di Roma e, parzialmente, l’appello principale della LUNA srl e rigettati gli appelli incidentali di C.R. , Fi.Fa. , G.L. , V.S. , SAI spa e LLOYD Adriatico spa, così provvedeva: dichiarava che il sinistro di cui è causa si era verificato per colpa concorrente di V.S. nella misura del 60% nonché, in solido tra loro, del Comune di Roma, della Luna srl e di G.L. nella misura del restante 40%; condannava V.S. , salvo regresso nei confronti della SAI spa entro il massimale della polizza assicurativa, il Comune di Roma, la Luna 85 srl, salvo regresso nei confronti della Ticino spa, e G.L. al risarcimento dei danni in favore di C.R. e Fi.Fa. come quantificati nella sentenza di primo grado; condannava il Comune di Roma, la Luna 85 srl, salvo regresso nei confronti della Ticino spa e G.L. al risarcimento dei danni in favore ai V.S. come quantificati nella sentenza del Tribunale di Roma nr. 33856/2002; dichiarava che le Assicurazioni d’Italia spa era la compagnia assicuratrice del Fallimento CTS; compensava tra le parti le spese processuali del grado. Avverso la detta sentenza hanno quindi proposto ricorso per cassazione, in via principale, articolato in quattro motivi C.R. ; ricorso incidentale affidato ad un unico motivo la Montepaschi Assicurazione Danni Spa; ricorso incidentale affidato a due motivi il Comune di Roma. Resistono con controricorsi l’Ina Assitalia, la Società Italiana per il gas, la Allianz Spa., G.L. , il C. , la Soles srl., il Comune di Roma, la Montepaschi. La Soles Sri, l’Ina-Assitalia, il C. ed il G. hanno depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione

In via preliminare, deve rilevarsi che il ricorso principale e quelli incidentali sono stati riuniti, in quanto proposti avverso la stessa sentenza.

Sempre, in via preliminare, nell’inquadrare il complesso delle doglianze contenute nei vari ricorsi, mette conto di sottolineare che i vizi motivazionali, dedotti, sia dal ricorrente principale sia dai ricorrenti incidentali, non sono stati accompagnati dal prescritto momento di sintesi, (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, oltre a richiedere sia l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assuma l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione (Cass. ord. n. 16002/2007, n. 4309/2008 e n. 4311/2008).

Ne deriva l’inammissibilità sia del terzo e quarto motivo proposti dal ricorrente principale sia dei vari submotivi svolti da tutti i ricorrenti, contenuti esattamente nelle prime due doglianze proposte dal ricorrente principale ed in tutte le complessive tre doglianze proposte dai due ricorrenti incidentali.

E ciò, alla luce dell’orientamento di questa Corte secondo cui ‘in caso di proposizione di motivi di ricorso per cassazione formalmente unici, ma in effetti articolati in profili autonomi e differenziati di violazioni di legge diverse, sostanziandosi tale prospettazione nella proposizione cumulativa di più motivi, affinché non risulti elusa la ‘ratio’ dell’art. 366-bis cod. proc. civ., deve ritenersi che tali motivi cumulativi debbano concludersi con la formulazione di tanti quesiti per quanti sono i profili fra loro autonomi e differenziati in realtà avanzati, con la conseguenza che, ove il quesito o i quesiti formulati rispecchino solo parzialmente le censure proposte, devono qualificarsi come ammissibili solo quelle che abbiano trovato idoneo riscontro nel quesito o nei quesiti prospettati, dovendo la decisione della Corte di Cassazione essere limitata all’oggetto del quesito o dei quesiti idoneamente formulati, rispetto ai quali il motivo costituisce l’illustrazione. (S.U.5624/09, Cass. 5471/08).

Procedendo all’esame del ricorso principale, proposto dal C. , si deve evidenziare che con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto (artt. 32 Costituzione, 2043, 1223, 1226, 2059 cc, 185 cp) ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di Appello ha ritenuto corretto il procedimento logico – giuridico seguito dal giudice di primo grado nella liquidazione di alcune voci di danno, senza chiarire sulla base di quali elementi avesse accertato che il giudice di prime cure aveva fondato le proprie conclusioni sulla base delle risultanze peritali. L’assunto della Corte sarebbe stato del tutto generico, non condividibile, sostanziandosi in una motivazione apparente.

Ha chiesto quindi che la Corte di Cassazione volesse ‘accogliere il seguente quesito di diritto. In materia di risarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale, la liquidazione deve tenere conto della effettiva sofferenza patita dall’offeso, della gravità dell’illecito e di tutti gli elementi peculiari della fattispecie concreta (età, sesso, grado di istruzione, prospettive di vita future, aspirazioni etc.) tali da non rendere la suddetta liquidazione irrisoria e/o simbolica e/o comunque correlata all’effettivo pregiudizio subito dal danneggiato, anche in considerazione alle prospettive di vita futura. Inoltre, nella determinazione del danno, il Giudice di merito deve tenere conto della documentazione versata in atti ovvero, qualora la liquidazione avvenga in via equitativa, indicare con chiarezza l’iter logico giuridico seguito per formare il libero convincimento, inclusa l’indicazione dei documenti considerati per giungere alla decisione’. Con la seconda doglianza, svolta per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, n.3 cpc) in relazione agli artt. 1223 e 1277 cod. civ. omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360, n. 5, c.p.c.), il ricorrente deduce che la sentenza impugnata è, inoltre, censurabile anche per un ulteriore e differente motivo, costituito dal fatto che i giudici di merito, nel calcolo della somma liquidata, non hanno tenuto conto della rivalutazione monetaria e degli interessi compensativi dalla data del sinistro sino alla data di pubblicazione della sentenza di primo grado, liquidando la somma ai valori attuali senza indicare i canoni adottati ma attraverso un generico ed incomprensibile riferimento all’equità ed ‘ai rendimenti delle forme più comuni di investimento in uso tra i piccoli risparmiatori”.

Ha chiesto quindi che la Corte di Cassazione volesse ‘accogliere il seguente quesito di diritto. Nella determinazione del quantum dovuto a titolo di risarcimento dei danni extracontrattuali da fatto illecito gli interessi e la rivalutazione monetaria si determinano a decorrere dalla data del sinistro ovvero, in alternativa, dalla domanda ed il giudice deve indicare puntualmente I canoni applicativi utilizzati’.

Entrambe le doglianze sono inammissibili; la seconda è altresì infondata. Ed invero, in primo luogo, deve rilevarsi che i quesiti di diritto non soddisfano le prescrizioni di legge.

Invero, il quesito di diritto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ‘deve compendiare: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal quel giudice; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. È, pertanto, inammissibile il ricorso contenente un quesito di diritto che si limiti a chiedere alla S.C. puramente e semplicemente di accertare se vi sia stata o meno la violazione di una determinata disposizione di legge’ (Cass., ord. n. 19769 del 2008; Cass., S.U., n. 6530 del 2008).

Né il quesito può risolversi in un generico invito alla Corte a tenere conto della documentazione versata in atti; a tenere conto della sofferenza patita dall’offeso, della gravità dell’illecito e di tutti gli elementi peculiari della fattispecie concreta tali da non rendere la liquidazione irrisoria e/o simbolica; a pronunziarsi su determinate questioni, così come è avvenuto nella specie. Occorre invece che il ricorrente nella redazione del quesito proceda all’enunciazione di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato e, perciò, tale da implicare un ribaltamento della decisione adottata dal giudice a quo, indicandone l’errore o gli errori compiuti e specificando la regola da applicare’ (cfr S.U. n. 3519/2008, Cass. n. 19769/08).

L’inammissibilità del primo motivo di impugnazione deriva inoltre dal rilievo che le ragioni di doglianza, formulate dal ricorrente, come risulta di ovvia evidenza dal loro stesso contenuto e dalle espressioni usate, non concernono violazioni o false applicazioni del dettato normativo bensì la valutazione della realtà fattuale, come è stata operata dal giudice di primo grado e fatta propria dalla Corte di merito; né evidenziano effettive carenze o contraddizioni nel percorso motivazionale della sentenza impugnata ma, riproponendo l’esame degli elementi fattuali già sottoposti al giudice di primo grado, riproposti alla Corte del merito e da entrambi disattesi, mirano ad un’ulteriore valutazione delle risultanze processuali, tentando di trasformare il giudizio di legittimità in un terzo ed inammissibile giudizio di merito.

Il secondo motivo di doglianza è altresì infondato alla luce del rilievo che la Corte di merito ha disatteso la doglianza, avanzata dal C. avverso la liquidazione del primo giudice, sulla base della considerazione che il giudice di primo grado aveva determinato i danni, all’attualità, e calcolato quindi, correttamente, sugli importi totali l’ulteriore danno da lucro cessante e gli interessi legali a decorrere dalla sentenza all’effettivo soddisfo.

Ora, la decisione non merita affatto censura in quanto, qualora la liquidazione del danno da fatto illecito extracontrattuale sia effettuata con riferimento ai valori monetari esistenti alla data della liquidazione, non occorre tener conto della svalutazione verificatasi a partire dal giorno dell’insorgere del danno né degli interessi compensativi maturati a decorrere dalla data del sinistro, essendo dovuto al danneggiato soltanto il risarcimento del mancato guadagno (o lucro cessante) provocato dal ritardo nella liquidazione.

Passando all’esame delle due successive doglianze, entrambe svolte per vizio motivazionale (la terza articolata per omessa motivazione, la quarta per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione),va evidenziato che il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata perché la Corte di merito non avrebbe argomentato in ordine alla determinazione della riduzione della capacità lavorativa specifica né avrebbe spiegato i motivi che l’avevano portato alla liquidazione delle spese mediche ed odontoiatriche in misura inferiore a quanto documentato ed accertato dal Consulente del Tribunale.

Nessuna delle due doglianze è accompagnata da momento di sintesi, onde la loro inammissibilità alla luce delle considerazioni espresse in precedenza.

Passando all’esame del ricorso incidentale proposto dalla Montepaschi Assicurazione Danni Spa, va osservato che con l’unica doglianza svolta, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di legge nonché della motivazione erronea, la ricorrente lamenta che il giudice di appello avrebbe ‘commesso un grave errore circa il punto decisivo della vertenza riguardante sia i limiti della copertura assicurativa offerta dall’istituto assicuratore sia della mancanza di prove in ordine alla titolarità dell’erroneo riempimento della buca sia, in subordine, delle cause che provocarono l’abbassamento del terreno di riempimento”.

Ha chiesto quindi che la Corte di Cassazione si pronunciasse sul seguente quesito di diritto: ‘nel caso di incidente stradale la colpa di un’impresa appaltatrice, va provata in concreto sia in rapporto alla titolarità dei lavori eseguiti mentre l’obbligo dell’istituto assicuratore di tenere indenne il proprio assicurato va circoscritto ai soli rischi garantiti senza possibilità alcuna di interpretazione estensiva degli stessi’.

La doglianza è inammissibile in entrambi i suoi profili. In primo luogo, deve rilevarsi l’inammissibilità del profilo, attinente al vizio motivazionale,non accompagnato dal prescritto momento di sintesi.

In secondo luogo, va rilevata l’inammissibilità del profilo afferente la dedotta violazione di legge in quanto il quesito non soddisfa le prescrizioni dettate dall’art.366 bis del CPC.

Ed invero, deve sottolinearsi che l’ammissibilità del motivo di impugnazione è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta ed autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione (Sez. Un. 28054/08) e deve escludersi che il quesito possa essere integrato dalla Corte attraverso un’interpretazione della motivazione (Cass. 14986/09). Nel caso di specie, il quesito formulato, non contiene la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti all’attenzione del giudice né consiste in un interrogativo che contenga, sia pure sintetizzandola, l’indicazione della questione di diritto controversa e la formulazione del diverso principio di diritto rispetto a quello che è alla base del provvedimento impugnato, di cui il ricorrente, in relazione al caso concreto, chiede l’applicazione, in modo da circoscrivere l’oggetto della pronuncia nei limiti di un accoglimento o di rigetto del quesito stesso (Sez. Un. n.23732/07, n. 20360 e n. 36/07).

Resta da esaminare il ricorso incidentale proposto dal Comune di Roma. A tal fine, occorre evidenziare che con il primo motivo per ‘violazione e falsa applicazione delle norme che disciplinano l’illecito civile, violazione e falsa applicazione del principio generale di responsabilità, difetto assoluto di motivazione su un punto decisivo della controversia’, il ricorrente, premesso che nell’atto di appello aveva dedotto ed argomentato il proprio difetto di legittimazione passiva, in ragione dell’esistenza, in capo alla società Italgas di una autorizzazione ad apertura di cavi, comportante una piena assunzione di responsabilità per i danni connessi all’attività autorizzata, ha censurato la sentenza impugnata per essersi il giudice di secondo grado limitato a richiamare la consolidata giurisprudenza del Comune come proprietario della strada. Ha quindi concluso il motivo chiedendo che la Corte si pronunciasse positivamente sul seguente quesito: ‘Dica la Corte di legittimità che la responsabilità del Comune come proprietario della strada pubblica è esclusa allorché, come nella specie, il sinistro sia stato determinato dall’esistenza di un’attività autorizzata che sia e/o sia stata di per sé autonoma causa di danno. Dica inoltre la Corte che è insufficiente la motivazione della sentenza di merito allorché non esamini un punto decisivo, dedotto e controverso del giudizio’.

Inoltre – ed il rilievo sostanzia il secondo motivo di impugnazione per ‘violazione e falsa applicazione delle regole contrattuali con forza di legge tra le parti. Omessa e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo e controverso’ – la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere la responsabilità del Comune, come proprietario della strada, trascurando che, per effetto del contratto concluso con la So.le.s Spa, quest’ultima era tenuta alla sorveglianza ed alla manutenzione della strada ed esso Comune era pertanto esonerato da ogni responsabilità per i danni derivanti dall’omessa vigilanza e manutenzione. Ha quindi concluso il motivo chiedendo che la Corte si pronunciasse positivamente sul seguente quesito: ‘Dica la Corte di legittimità che la responsabilità del Comune come proprietario della strada pubblica è esclusa allorché, come nella specie, il sinistro sia riconducibile alla responsabilità di altro soggetto contrattualmente tenuto alla vigilanza ed alla manutenzione della strada pubblica. Dica inoltre la Corte che è insufficiente e contraddittoria la motivazione della sentenza di merito allorché non esamini un punto decisivo, dedotto e controverso del giudizio ed allorché smentisca, in tutto o in parte, affermazioni contenute nella sentenza stessa’.

I motivi in questione, che vanno esaminati congiuntamente per l’intima connessione che li unisce, sono inammissibili, in rapporto ai profili di doglianza riguardanti i vizi motivazionali, e sono infondati in relazione alle dedotte violazioni di legge.

Ed invero sono inammissibili i profili di doglianza afferenti ai vizi motivazionali, posto che il momento di censura, in cui deve essere riassunta la censura, come è stato già sottolineato in precedenza, deve contenere, sia pure in sintesi, l’indicazione del fatto controverso, riguardo al quale si assume l’omissione, la contraddittorietà o l’insufficienza della motivazione sia l’indicazione delle ragioni per cui la motivazione sarebbe inidonea a sorreggere la decisione laddove, nel ricorso in esame, il ricorrente ha esaurito il momento di sintesi nella richiesta alla Corte di dire che è insufficiente e contraddittoria la motivazione della sentenza di merito allorché non esamini un punto decisivo, dedotto e controverso del giudizio, senza indicare né quale sia il fatto controverso né le ragioni di sussistenza del vizio motivazionale.

Sono invece infondati i profili di censura, relativi alle violazioni di legge. A riguardo, è opportuno premettere che la Corte territoriale ha escluso ogni responsabilità della Italgas Spa, società titolare dell’autorizzazione comunale per l’effettuazione dei lavori di scavo necessari per la posa in opera dei cavi, in quanto mera committente dei lavori affidati in appalto alla CTS, che a sua volta aveva poi affidato i medesimi lavori in sub appalto ad altra impresa, Luna 85. Ciò posto, doveva escludersi la responsabilità della Italgas in ordine ai danni arrecati ai terzi posto che in tema di appalto vige il principio, secondo cui l’appaltatore esplica l’attività contrattualmente prevista in piena autonomia, a proprio rischio, e nella specie non era emerso il minimo elemento che consentisse di ritenere che l’Italgas si fosse ingerita nei lavori con direttive vincolanti tali da ridurre l’appaltatore al rango di nudus minister.

Ugualmente, doveva escludersi ogni responsabilità della Soles Spa, impresa contrattualmente obbligata alla sorveglianza del piano viario della zona, perché i suoi compiti di vigilanza riguardavano il solo ambito di manutenzione ordinaria arrestandosi invece davanti ai cantieri all’interno dei quali erano in corso lavori dei quali erano responsabili altre società.

Tutto ciò premesso, la Corte territoriale ha concluso il suo iter motivazionale deducendo che, a parte ogni problema di concorrente responsabilità dell’impresa appaltatrice – nel caso di specie la Luna srl – la responsabilità dell’ente proprietario della strada derivava dalla stessa titolarità della medesima e dalla destinazione di essa al pubblico uso che comporta il dovere per l’ente di far si che quell’uso si svolga senza pericolo per gli utenti.

La decisione della Corte territoriale merita di essere condivisa essendo assolutamente in linea con l’orientamento di questa Corte secondo cui, in tema di danni determinati dall’esistenza di un cantiere stradale, qualora l’area di cantiere risulti completamente enucleata, delimitata ed affidata all’esclusiva custodia dell’appaltatore, con conseguente assoluto divieto su di essa del traffico veicolare e pedonale, dei danni subiti all’interno di questa area risponde esclusivamente l’appaltatore, che ne è l’unico custode. Allorquando, invece, l’area su cui vengono eseguiti i lavori e insiste il cantiere risulti ancora adibita al traffico e, quindi, utilizzata a fini di circolazione, denotando questa situazione la conservazione della custodia da parte dell’ente titolare della strada, sia pure insieme all’appaltatore, consegue che la responsabilità ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. sussiste sia a carico dell’appaltatore che dell’ente, salva l’eventuale azione di regresso di quest’ultimo nei confronti del primo a norma dei comuni principi sulla responsabilità solidale (Cass. n. 12425/08).

Ed è appena il caso di sottolineare come la presenza di un cantiere stradale, affidato necessariamente alla custodia dell’appaltatore dei lavori – nella specie, l’esecuzione dei lavori di scavo per la posa in opera dei tubi del gas – comportava inevitabilmente la sospensione di ogni attività di vigilanza a carico della Soles Spa, vale a dire la società contrattualmente obbligata con l’ente proprietario della strada alla sorveglianza del piano viario della zona. E ciò, al fine di consentire alla società, che aveva ricevuto l’appalto dei lavori di scavo, l’adozione delle modalità operative che erano state concordate in contratto ovvero che ritenesse tecnicamente più utili ed opportune per il raggiungimento del risultato contrattualmente convenuto.

Considerato che la sentenza impugnata appare esente da tutte le censure dedotte, ne consegue che sia il ricorso proposto in via principale sia quelli proposti in via incidentale, siccome infondati, devono essere rigettato.

Sussistono giusti motivi per compensare fra tutte le parti costituite le spese di questo giudizio, dovendosi tener conto, per una parte, della reciproca soccombenza dei ricorrenti, per un’altra, dell’obiettiva controvertibilità di alcune delle questioni trattate, ed infine, per un’ultima parte, del fatto che l’orientamento giurisprudenziale, in materia di quesiti ex art. 366 bis del C.P.C., si è consolidato soltanto dopo la proposizione dei ricorsi per cassazione in questione.

P.Q.M.

La Corte decidendo sui ricorsi riuniti li rigetta. Compensa tra tutte le parti costituite le spese di questo giudizio di legittimità.

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