Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  23 aprile 2014, n. 9226 

Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 1.2.1990 l’”Arta del dr. ing. R.L. ” s.a.s. citava a comparire innanzi al tribunale di Milano la “Dynapac” s.p.a..
La s.a.s. attrice, agente da oltre trent’anni della s.p.a. convenuta per il territorio dell’Emilia Romagna, esponeva che negli ultimi giorni del mese di aprile dell’anno 1987 aveva avuto modo di riscontrare che nelle province di Parma, Reggio e Modena operava a sua insaputa altro agente della “Dynapac” s.p.a.; che, recatasi presso la sede della società preponente, aveva dall’amministratore delegato ricevuto conferma di quanto informalmente appreso ed, al contempo, assicurazione che sarebbero state pagate le provvigioni anche per gli affari conclusi dal nuovo agente; che successivamente, sollecitato il pagamento anche di tal ultime provvigioni, la “Dynapac” s.p.a. l’aveva resa edotta, sulla scorta di una lettera risalente a tre anni prima e rimasta senza seguito, della revoca dell’esclusiva per le province di Parma, Reggio e Modena; che, nondimeno, la dichiarazione unilaterale di revoca non poteva sortire alcun effetto.
Chiedeva, pertanto, che la “Dynapac” fosse condannata a corrisponderle le provvigioni su tutti gli affari conclusi nel territorio delle province di Parma, Reggio e Modena, a corrisponderle la provvigione in misura non inferiore al 5% relativamente a due operazioni concluse con la ditta “Bologna Scavi”, a corrisponderle le indennità di fine rapporto, a risarcirle i danni tutti sofferti.
Si costituiva la società convenuta che instava per il rigetto delle avverse domande; chiedeva altresì, in via riconvenzionale, che la società attrice fosse condannata a pagarle la somma di L. 500.000, con rivalutazione ed interessi, a saldo di una fattura rimasta parzialmente insoluta nonché la somma di L. 7.576.900 a titolo di risarcimento del danno per il ritardo nel pagamento degli importi di cui a talune ulteriori fatture.
Ammesse ed assunte le prove orali all’uopo invocate, disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza n. 8445/2003 il tribunale di Milano condannava la “Svedala” s.p.a. (già “Dynapac” s.p.a.) a pagare alla s.a.s. attrice la somma di Euro 57.989,20, oltre interessi dal dovuto al saldo, a titolo di provvigioni non corrisposte, di provvigione per un affare concluso con la ditta “Bologna Scavi”, di indennità di fine rapporto e di risarcimento del danno; disponeva che dall’importo anzidetto fosse detratta la somma di lire 7.415.603, dovuta dalla “Arta” s.a.s. alla convenuta; poneva a solidale carico delle parti le spese e competenze di c.t.u.; condannava la “Svedala” s.p.a. a rimborsare alla controparte le spese di lite.
Interponeva appello la “Metso Minerals (Italia)” s.p.a. (già “Svedala” s.p.a., già “Dynapac” s.p.a.), instando, per la riforma della gravata sentenza.
Si costituiva l’”Arta del dr. ing. R.L. ” s.a.s., che invocava il rigetto dell’avverso gravame ed, in via incidentale, la riforma a vario titolo della statuizione di prime cure.
Con sentenza n. 2595 dei 19.9/3.10.2007 la corte d’appello di Milano così statuiva: “in parziale riforma della sentenza impugnata dichiara tenuta e condanna la Metso Minerals Italia s.p.a…. a corrispondere alla Arta s.a.s. la somma complessiva di Euro 2.406,88 con gli interessi legali dalla data del dovuto al saldo oltre accessori come già determinati nella sentenza impugnata; dichiara tenuta e condanna la Arta s.a.s. al pagamento in favore della Metso Minerals Italia s.p.a…. della somma di Euro 3.830,36 con gli interessi legali dalla data della domanda al saldo; dichiara tenuta e condanna la Arta s.a.s. alla restituzione a favore della Metso Minerals Italia s.p.a…. della somma di Euro 113.579,35 in esecuzione provvisoria della sentenza impugnata, con gli interessi legali dalla data delle precisazioni delle conclusioni; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese di C.T.U.; dichiara tenuta e condanna la Arta s.a.s. al pagamento in favore della Metso Minerals Italia s.p.a…. delle spese di entrambi i gradi…” (così sentenza d’appello, pag. 15).
In particolare, in ordine all’appello principale della “Metso Minerals”, premetteva che “il diritto di esclusiva… è elemento non essenziale ma naturale del contratto… derogabile per concorde volontà delle parti… esplicitamente o tacitamente, per facta concludenza” (così sentenza d’appello, pag. 7); indi evidenziava che “nel caso specifico… la Dynapac, fino dal 30 luglio 1984, aveva revocato, come è pacifico, l’esclusiva concessa alla Arta” (così sentenza d’appello, pag. 8); che “a tale inequivoca comunicazione, la Arta non risulta avere in alcun modo replicato, almeno fino al 1987” (così sentenza d’appello, pag. 8); che le risultanze probatorie, sia documentali che testimoniali, non valevano a smentire “il comportamento del tutto passivo, rispetto alla revoca 30 luglio 1984, tenuto dalla Arta fino al 1987, malgrado la chiarezza e gravità del contenuto della lettera citata” (così sentenza d’appello, pag. 8); che, in pari tempo, non rivestiva valenza la circostanza che un nuovo esclusivista fosse stato nominato solo nell’anno 1987, “considerando che anche in assenza di un altro esclusivista, la revoca comportava la perdita delle provvigioni per gli affari conclusi direttamente dalla preponente” (così sentenza d’appello, pag. 9).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’”Arta del dr. ing. R.L. ” s.a.s., chiedendone, sulla scorta di un unico articolato motivo, la cassazione, con il favore delle spese del giudizio di legittimità.
La “Metso Minerals (Italia)” s.p.a. ha depositato controricorso – ricorso incidentale; ha concluso per la conferma dell’impugnata sentenza; con il favore delle spese del giudizio di legittimità.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo che fonda la sua impugnazione la ricorrente principale deduce ai sensi dell’art. 360, 1 co., n. 3), c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 1743, 1362, 1748, 2 co., c.c., 116 c.p.c. in relazione all’art. 2697 c.c; ai sensi dell’art. 360, 1 co., n. 5), c.p.c. il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.
All’uopo adduce che, “ammesso e non concesso che la proposta di modifica del contratto di agenzia possa ritenersi accettata dall’Atta, la Corte ha, comunque, errato nel dichiarare non dovute le provvigioni indirette” (così ricorso, pagg. 4 – 5); che, alla stregua dell’art. 1748, 2 co., c.c., nella formulazione applicabile ratione temporis al caso di specie, “il presupposto del diritto alle provvigioni… è solo ed esclusivamente la circostanza che gli affari debbano avere esecuzione nella zona. Non il diritto di esclusiva” (così ricorso, pag. 5); che “negare… le provvigioni indirette… solo ed esclusivamente perché è stato annullato il diritto… di esclusiva è la conseguenza di… una inammissibile interpretazione ed erronea applicazione della norma di cui al secondo comma dell’art. 1748 c.c.” (così ricorso, pag. 5); che propriamente l’inciso “salvo che sia diversamente pattuito”, figurante nell’abrogato testo del 2 co. dell’art. 1748 c.c., “non sta per salvo che non venga derogata l’esclusiva, come inammissibilmente ritenuto dalla sentenza impugnata: significa semplicemente che le parti possono stabilire liberamente come calcolare, sulla base di criteri diversi dal luogo di esecuzione dell’affare, le provvigioni” (così ricorso, pagg. 6 – 7); che, per altro verso, facta condudentia, cui il secondo giudice ha inteso ancorare la deroga convenzionale all’esclusiva, non potevano esser scorti in un puro e semplice comportamento passivo; che invero, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte di legittimità, “il comportamento passivo può… assumere il valore negoziale di consenso, ma occorre o che il comune modo di agire o la buona fede, nei rapporti instauratisi tra le parti, impongano l’onere o il dovere di parlare” (così ricorso, pag. 8); che nei tre anni successivi alla lettera del 30.7.1984, essa ricorrente ha ricevuto il pagamento delle provvigioni, sicché in difetto di apparenti modifiche non aveva alcuna ragione per protestare; che “il comportamento passivo dell’Arta nei tre anni, dal 1984 al 1987, non ha di per sé significato alcuno e andava, comunque, interpretato in uno con quello della Metso, che soltanto nel 1987 ha nominato nelle tre province un altro agente” (così ricorso, pag. 8).
Va disposta la riunione dei ricorsi.
Occorre dar atto previamente dell’inammissibilità del ricorso incidentale.
Si ribadisce che la controricorrente “Metso Minerals (Italia)”, alla stregua delle conclusioni in questa sede rassegnate, ha invocato la integrale conferma della statuizione di seconde cure.
Ne discende che non può che reiterarsi l’insegnamento per cui il ricorso incidentale diretto ad ottenere non già la cassazione totale o parziale della sentenza impugnata, bensì il mutamento della relativa motivazione è inammissibile, in quanto la correzione della motivazione può conseguirsi mediante la semplice riproposizione delle difese nel controricorso o attraverso l’esercizio del potere correttivo attribuito alla Suprema Corte dall’art. 384, ult. co., c.p.c. (cfr. Cass. 11.12.1990, n. 11773; Cass. sez. lav. 13.3.1996, n. 2067).
Il ricorso (principale) è destituito di fondamento.
Limitatamente, in primo luogo, alla presunta violazione dell’art. 1748 c.c., nella formulazione antecedentemente vigente, è sufficiente ribadire, per un verso, che il diritto di esclusiva costituisce un elemento naturale, non già essenziale, del contratto di agenzia, sicché esso può essere validamente oggetto di deroga ad opera della volontà delle parti, deroga che può desumersi anche in via indiretta, purché in modo chiaro ed univoco dal regolamento pattizio del rapporto, ove in concreto incompatibile con il detto diritto (cfr. Cass. sez. lav. 30.5.1991 n. 6093; Cass. sez. lav. 11.6.1990, n. 5652); per altro verso, che dalla pattuizione con cui le parti abbiano stabilito che il preponente ha diritto di nominare più agenti nella stessa zona è consentito desumere anche l’esclusione della provvigione per l’agente per le vendite concluse dallo stesso proponente, pure nell’ipotesi in cui sia stato convenuto un regime di esclusiva limitato agli affari trattati dagli agenti con determinati clienti, nominativamente indicati (cfr. Cass. sez. lav. 30.5.1991 n. 6093; Cass. sez. lav. 11.6.1990, n. 5652).
Più esattamente, in relazione a tal ultimo profilo, si reputa, siccome correttamente ha ritenuto il secondo giudice, che, a tenor dell’abrogato art. 1748, 2 co., c.c., la pattuizione dell’esclusiva costituiva l’imprescindibile presupposto del diritto alla percezione delle provvigioni cosiddette “indirette”; che l’inciso finale del 2 co. – “salvo che sia diversamente pattuito” – esprimeva la possibilità che, nonostante la pattuizione dell’esclusiva, le parti si accordassero nel senso che non fossero dovute le provvigioni “indirette” per gli affari direttamente conclusi dal preponente e destinati ad aver esecuzione nella zona riservata.
Limitatamente, in secondo luogo, alla pretesa inconfigurabilità dei facta concludenza affermati dal secondo giudice a riscontro della tacita accettazione della revoca, va opportunamente specificato che la deroga all’esclusiva può desumersi anche dal comportamento delle parti successivo alla stipulazione del contratto (cfr. Cass. 7.12.1960, n. 3198).
Su tale scorta è indubitabile che il riscontro della tacita – per facta concludentia – accettazione della revoca dell’esclusiva si risolve in una quaestio facti, per sua natura riservata al giudice del merito ed esposta a censura di legittimità sol in ipotesi di inadeguatezza, di incongruenza della motivazione.
In ogni caso si rimarca che non si tratta, propriamente, di attribuire tout court valenza di accettazione tacita, di assenso al supposto silenzio dell’accomandita agente.
Si tratta, piuttosto, di attender alla “lettura” del contegno delle parti all’insegna del paradigma della buona fede, non solo e non tanto, nel solco della previsione dell’art. 1375 c.c., in sede di esecuzione del contratto, quanto, precipuamente, in sede di interpretazione delle intese a valenza modificativa di pregressi accordi, nel solco, evidentemente, della previsione dell’art. 1366 c.c..
In tal guisa si evidenzia, da un canto, che nell’ambito del processo interpretativo l’espressione “deve”, di cui all’art. 1366 c.c., attribuisce al principio di buona fede particolare importanza, in quanto vale a connotarlo alla stregua di un passaggio imprescindibile e necessario (cfr. Cass. sez. lav. 6.10.2008, n. 24652); dall’altro, che il criterio della buona fede nella interpretazione dei contratti è di certo funzionale ad escludere il ricorso a significati unilaterali o contrastanti con un criterio di affidamento dell’uomo medio (cfr. Cass. 15.3.2004, n. 5239).
In questi termini è difficile immaginare che nel cospicuo lasso temporale compreso tra il mese di luglio del 1984 ed il mese di aprile del 1987 la società in accomandita ricorrente, imprenditore per sua stessa natura e, dunque, sollecitata ad operare alla stregua di un parametro di diligenza senza dubbio superiore a quello medio, nell’ambito di un rapporto che la correlava ad altro imprenditore, al cospetto di un’evenienza sopravvenuta – la lettera in data 30.7.1984 – inequivoca e di peculiare gravità (siccome la corte distrettuale ha posto in risalto: cfr. sentenza d’appello, pag. 8), abbia ignorato la revoca dell’esclusiva disposta dalla s.p.a. preponente.
L’assunto di parte ricorrente secondo cui, nei tre anni successivi alla lettera del 30.7.1984, la “Metso… non ha dato segno alcuno dal quale poter desumere che si era avvalsa della revoca dell’esclusiva” (così ricorso, pag. 8), non può esser condiviso e, correttamente, non è stato – dalla corte distrettuale – condiviso.
Il rigetto del ricorso principale giustifica la condanna della s.a.s. ricorrente a rimborsare alla s.p.a. controricorrente le spese del giudizio di legittimità.
La liquidazione segue come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale; condanna la s.a.s. ricorrente a rimborsare alla s.p.a. controricorrente, le spese del presente giudizio che liquida in Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

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