Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 22 novembre 2013, n. 26225
Svolgimento del processo
Con ricorso del 22.10.2004 N.S. e N.V. intimavano a P.S. licenza per finita locazione relativamente ad un loro immobile condotto ad uso diverso da quello abitativo e lo convenivano in giudizio chiedendo la convalida dell’intimazione. L’intimato non si opponeva alla convalida chiedendo in via riconvenzionale la corresponsione dell’indennità di avviamento commerciale. Il giudice adito ordinava il rilascio dell’immobile e disponeva il mutamento del rito. In esito al giudizio il Tribunale di Caltagirone dichiarava la cessazione del contratto di locazione, condannava i ricorrenti al pagamento della indennità di avviamento nella misura di Euro 4.500,00 oltre interessi fino al soddisfo e quindi provvedeva al governo delle spese. Avverso tale decisione i locatori proponevano appello ed in esito al giudizio, in cui si costituiva il P. , la Corte di Appello di Catania con sentenza depositata in data 14.5.2007 rigettava l’impugnazione proposta e condannava gli appellanti alla rifusione delle spese.
Avverso la detta sentenza i soccombenti hanno quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi, illustrato da memoria. Resiste con controricorso il P. .
Motivi della decisione
Con il primo motivo di doglianza i ricorrenti, deducendo la violazione e la falsa applicazione degli artt. 24 e 25 legge n. 426/71, degli artt. 5 e 4 lettera F legge n. 443/85, dell’art. 2697 cc, tutte in relazione all’art. 360 co. 1 n.3 cpc, hanno censurato la sentenza di secondo grado per aver la Corte di merito disatteso l’appello sulla base della erronea considerazione secondo cui “non è (era) stato dimostrato che l’attività effettivamente esercitata dal P. (vendita diretta di porte ed infissi realizzati dallo stesso conduttore) richiedesse il rilascio di una specifica autorizzazione”.
In tal modo, la Corte di appello aveva sbagliato trascurando che nell’azione volta al conseguimento dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale l’onere di provare il possesso delle prescritte autorizzazioni amministrative compete all’attore, trattandosi di una questione che attiene ad un fatto costitutivo del diritto azionato.
Hanno concluso il motivo con il seguente quesito di diritto: “se sia conforme all’ordinamento giuridico il riconoscimento dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale di cui all’art. 34 della L. 392/78 a soggetto che eserciti il commercio e la vendita in locale sprovvisto di autorizzazione amministrativa o ad artigiano non iscritto all’apposito albo presso la competente Camere ad Commercio, o anche se iscritto all’albo, eserciti il commercio e la vendita di beni anche non di sua produzione in locale non adiacente sprovvisto di autorizzazione amministrativa o che comunque non provi di essere di essere nell’una o nell’altra condizione abilitante”.
La censura è fondata e merita accoglimento.
A riguardo, mette conto di premettere che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la tutela dell’avviamento commerciale, apprestata dagli artt. 34 – 40 della legge 27 luglio 1978, n. 392, per gli immobili adibiti ad uso diverso dall’abitazione, utilizzati per un’attività commerciale comportante contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori, non può essere riconosciuta al conduttore che eserciti quell’attività senza le prescritte autorizzazioni, poiché il presupposto della tutela risiede nella liceità dell’esercizio dell’attività medesima, in quanto si fornirebbe altrimenti protezione a situazioni abusive (frustrando l’applicazione di norme imperative che regolano le attività economiche) e lo stesso scopo premiale della disciplina posta a fondamento della predetta legge, che, quanto all’avviamento ed alla prelazione, consiste nella conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese considerate (Cass. n. 7501/2007, conformi Cass. n.635/07, Cass. n. 10187/2005, Cass. n. 1235/2003; Cass. n. 12966/2000, Cass. n. 5265/1993, tra le tantissime).
Giova aggiungere che, giusta i principi fondamentali del vigente ordinamento processuale, il giudice adito è tenuto, anche d’ufficio, e, pertanto, anche nell’eventualità in cui la parte convenuta fosse stata contumace, a verificare la sussistenza, in concreto, dei requisiti di fondatezza della domanda avanti a lui proposta (cfr. Cass. n.635/2005 in motivazione, conformi Cass. n. 1014/2003, Cass. n. 10280/2002 tra le tantissime).
Ne deriva che, trattandosi di un requisito di fondatezza della domanda riconvenzionale, volta ad ottenere la corresponsione dell’indennità di avviamento commerciale ex art. 34 legge n. 392/78, a fronte della specifica contestazione dei locatori, l’attore in riconvenzionale aveva l’onere di provare il possesso delle prescritte autorizzazioni, onde la censurabilità della decisione della Corte di appello.
Tutto ciò premesso, considerato che la sentenza impugnata non si è uniformata ai suddetti principi, pienamente condivisi dal Collegio ed applicabili nella fattispecie, il ricorso per cassazione in esame deve essere accolto e la sentenza impugnata, che ha fatto riferimento, in modo non corretto, ad una regula iuris diversa, deve essere cassata.
Con l’ulteriore conseguenza che, occorrendo un rinnovato esame da condursi nell’osservanza del principio richiamato, la causa va rinviata alla Corte di Appello di Catania, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte di Appello di Catania, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.
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