Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 22 dicembre 2015, n. 25746
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRUTI Giuseppe Maria – Presidente
Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere
Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere
Dott. RUBINO Lina – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6668-2012 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente-
contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 535/2011 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 24/08/2011, R.G.N. 158/10;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/10/2015 dal Consigliere Dott. AMBROSIO ANNAMARIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Celentano Carmelo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(OMISSIS) ricorre per cassazione svolgendo due motivi, avverso la sentenza n. 535 del 24.08.2011 con la quale la Corte di appello di Trieste, rigettando l’appello dell’odierno ricorrente, ha confermato la sentenza del Tribunale di Trieste n. 1103/2009 di rigetto della domanda di pagamento della somma di euro 3.450,00 proposta dal (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) a titolo risarcimento danni per l’inesatto adempimento di un incarico professionale legale.
Nessuna attivita’ difensiva e’ stata svolta da parte intimata cui il ricorso e’ stato notificato ai sensi dell’articolo 143 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La controversia si riferisce all’espletamento di un mandato professionale che il (OMISSIS) conferi’ all’avv. (OMISSIS) nella dichiarata qualita’ di amministratore del complesso residenziale “(OMISSIS)” per il recupero di spese nei confronti dei partecipanti alla comunione, in ragione del quale il legale chiese ed ottenne decreti ingiuntivi di pagamento, a nome dell’odierno ricorrente e nella indicata qualita’: decreti ingiuntivi successivamente opposti e, quindi, revocati per l’assenza della qualifica di amministratore da parte del (OMISSIS), con condanna di costui al pagamento di spese processuali.
Sia il primo Giudice che quello di appello hanno rigettato la pretesa risarcitoria del (OMISSIS) per responsabilita’ professionale del (OMISSIS), sebbene la decisione qui impugnata abbia integrato e, in parte, corretto la decisione di prime cure.
2. I motivi di ricorso si incentrano sul punto della decisione impugnata in cui la Corte territoriale, pur ritenendo sussistente la colpa dell’appellato – per la considerazione che il professionista avrebbe avuto l’obbligo di accertare la natura giuridica dei poteri vantati dal (OMISSIS) – ha, tuttavia, osservato che, nella specie, era applicabile l’articolo 2236 c.c., che limita la responsabilita’ del prestatore d’opera nel caso di risoluzione di problemi tecnici di speciale difficolta’, qual era ravvisabile nella specie, con riguardo alla natura del complesso residenziale (e, cioe’, alla sua qualificazione come condominio, supercondominio o comunione ordinaria), oggettivamente amministrato dal (OMISSIS) in base a titolo di difficile individuazione giuridica, attesa la complessita’ della questione, come esposta nella sentenza di revoca dei decreti ingiuntivi. In particolare, a parere della Corte di appello, si trattava di un’imperizia di grado medio, che non assurgeva al rango di colpa grave, perche’ la risoluzione del quesito non era semplice per un giovane professionista, qual era all’epoca il (OMISSIS).
2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli articoli 1176, 2236 e 2697 c.c.: onere della prova a carico del professionista, eccezione non rilevabile di ufficio. Osserva il ricorrente che, una volta acclarata la colpa del professionista ex articolo 1176 c.c., sarebbe spettato a quest’ultimo allegare e dimostrare che la prestazione affidatagli comportava la soluzione di problemi tecnici di particolare difficolta’. Di conseguenza la Corte territoriale avrebbe errato a rilevare di ufficio, prima, e a valutare, poi, in violazione dell’articolo 112 c.p.c., la difficolta’ della prestazione del (OMISSIS).
2.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli articoli 101 e 115 c.p.c.: nullita’ della sentenza impugnata. Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia rilevato solo con la sentenza qui impugnata la questione della particolare difficolta’ della prestazione professionale, con sostanziale violazione del disposto dell’articolo 101 c.p.c., omettendo una preventiva segnalazione della stessa questione che, ove effettuata, avrebbe consentito ad esso ricorrente di dedurre e provare che la prestazione non poteva essere qualificata di speciale difficolta’ e che, in ogni caso, l’eccezione non poteva essere rilevata di ufficio e andava provata dal professionista.
3. Il ricorso non merita accoglimento.
3.1. Relativamente al primo motivo si osserva, innanzitutto, che erra il ricorrente a ritenere che la difficolta’ della prestazione dovesse essere oggetto di eccezione di parte. Cio’ in quanto nel nostro ordinamento le eccezioni in senso stretto, cioe’ quelle rilevabili soltanto ad istanza di parte, si identificano o in quelle per le quali la legge espressamente riservi il potere di rilevazione alla parte o in quelle in cui il fatto integratore dell’eccezione corrisponde all’esercizio di un diritto potestativo azionabile in giudizio da parte del titolare e che, quindi, per svolgere l’efficacia modificativa, impeditiva od estintiva di un rapporto giuridico, suppone il tramite di una manifestazione di volonta’ della parte (da sola o realizzabile attraverso un accertamento giudiziale).
Non puo’, dunque, ritenersi eccezione in senso stretto, quella relativa alla “speciale difficolta’” della prestazione, con l’ulteriore conseguenza che il giudice ben puo’ accertarne l’esistenza o l’inesistenza in concreto, ex officio, in base alle risultanze ritualmente acquisite. Ed e’ cio’ che e’ avvenuto, nella specie, avuto riguardo alla problematicita’ della questione della natura giuridica del compendio immobiliare amministrato dal (OMISSIS), quale e’ stata desunta dalla relativa disamina nella sentenza di revoca dei decreti ingiuntivi.
Invero il principio dell’onere della prova va coordinato con quello di acquisizione processuale, per cui, quando la parte e’ gravata di un certo onere probatorio, non e’ necessario che l’onere venga assolto necessariamente dalla stessa, dovendo essa solo sopportare le conseguenze negative del mancato assolvimento, dal momento che le risultanze istruttorie, comunque, ottenute, e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale siano formate, concorrono tutte indistintamente alla formazione del convincimento del giudice (ex plurimis cfr. Cass. 12 luglio 2011, n. 15300).
Il motivo va, dunque, rigettato.
3.2. Relativamente al secondo motivo di ricorso si osserva che la denuncia di vizi di attivita’ del giudice, qual e’ quella in esame, che comportino la nullita’ della sentenza o del procedimento, non tutela l’interesse all’astratta regolarita’ dell’attivita’ giudiziaria, ma garantisce soltanto l’eliminazione del pregiudizio concretamente subito dal diritto di difesa della parte in dipendenza del denunciato error in procedendo, con la conseguenza che, ove il ricorrente non indichi la specifica lesione subita, il lamentato vulnus procedurale non acquista rilievo idoneo a determinare l’annullamento della sentenza impugnata (confr. ex plurimis, Cass. civ. 12 settembre 2009, n. 18635). In sostanza, tutte le deduzioni concernenti l’osservanza delle regole processuali, ivi comprese quelle volte a garantire il rispetto del principio del contraddittorio, soggiacciono al principio dell’interesse al gravame, e cioe’ alla verifica dell’utilita’ concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del mezzo azionato (confr. Cass. civ. 23 maggio 2008, n. 13373), il che comporta che l’impugnante, a pena di inammissibilita’ della censura, deve indicare quale sia stato il danno arrecato alle proprie attivita’ difensive dalla invocata nullita’ processuale (confr. Cass. civ. 4 giugno 2007, n. 12952).
Cio’ posto e precisato che l’articolo 101 c.p.c., comma 2 (introdotto dalla Legge n. 69 del 2009, articolo 45, comma 13) non e’ norma direttamente applicabile al giudizio in oggetto siccome proposto prima della data di entrata in vigore della novella (4 luglio 2009), la censura, pur riportata nell’alveo dell’osservanza del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, risulta, comunque, inammissibile. Invero il ricorrente si limita ad allegare che, ove la questione fosse stata preventivamente segnalata, avrebbe potuto sostenere e dimostrare che non si trattava di prestazione difficoltosa, ma non dice come, ne’ tantomeno oppone alcun argomento in senso contrario a quelli svolti nella decisione impugnata.
Anche la circostanza che non sia stato consentito di eccepire che la difficolta’ della prestazione non era suscettibile di rilievo di ufficio e avrebbe dovuto essere provata dalla controparte si palesa come un dato assolutamente indifferente, una volta che si e’ dimostrato, con le considerazioni svolte con riguardo al primo motivo, l’erroneita’ della prima asserzione e l’inconferenza della seconda.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio di legittimita’ non avendo parte intimata svolto attivita’ difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
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