Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 20 ottobre 2014, n. 43562
Ritenuto in fatto
1. M.V. ha proposto ricorso, a mezzo dei difensori fiduciari cassazionisti, avverso la sentenza della Corte d’appello di MESSINA emessa in data 18/11/2013, depositata in data 7/01/2014, con cui è stata confermata la sentenza emessa dal tribunale di BARCELLONA P.G. – sez. dist. LIPARI – in data 10/04/2012, di condanna alla pena di anni 1 di reclusione in relazione al delitto paesaggistico di cui all’art. 181, comma I-bis, d. lgs. n. 42/2004 (fatti accertati in data (omissis) ).
2. Con il ricorso, proposto dai difensori di fiducia cassazionisti dell’imputata, vengono dedotti quattro motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Deduce, con il primo motivo, la violazione dell’art. 606, lett. b) c.p.p., per violazione dell’art. 158 c.p..
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte territoriale, con riferimento al termine di decorrenza del dies a quo della prescrizione, fonderebbe il convincimento in ordine alla data di consumazione non su una prova della datazione dell’illecito, ma sull’affermazione che la ricorrente non abbia saputo offrire la prova che i lavori fossero ultimati nel 2006, come dalla stessa sostenuto; diversamente non vi sarebbe alcun elemento, sostiene la difesa, su cui fondare l’assunto che le opere sarebbero state ultimate nel novembre 2007, come ritenuto in sentenza.
Sarebbero, poi, manifestamente incongruenti ed illogiche le argomentazioni della Corte d’appello nel ritenere mancanti elementi di riscontro alle affermazioni sulla datazione antecedente dell’opera, come l’acquisto di materiali o l’impiego di manodopera, ovvero nel ritenere inidonea a fornire tale prova la lettera inviata dal padre della ricorrente con cui la stessa veniva messa a conoscenza dell’esecuzione dell’opera, in quanto mancherebbe la firma per esteso del padre (ma recherebbe la sola dicitura “papa”) in quanto non sarebbe di grafia autentica da parte del padre né recherebbe data certa, in quanto non recapitata dal servizio postale; la Corte, dunque, avrebbe rovesciato il ragionamento motivazionale, ascrivendo alla ricorrente la colpa di non aver provato la datazione dell’intervento, non soffermandosi invece a valutare quali fossero gli elementi a disposizione del giudice per datare l’esecuzione dell’opera nel 2007 anziché nel 2006. Diversamente, sostiene la difesa, alla data dell’accertamento compiuto nel 2009 i lavori erano ultimati e gli accertatori non rilevavano segni di intervento; tra il 2005 – epoca di realizzazione della cisterna interrata oggetto di autorizzazione – ed il 2009 – data dell’accertamento – non era stato compiuto alcun sopralluogo di PG né dal Comune; vi sarebbe in atti la la lettera inviata dal padre, usufruttuario, deceduto nel 2007, con cui informava la figlia, nuda proprietaria, di aver trasformato la cisterna nel 2006; ne discende, dunque, che gli elementi in atti consentivano una datazione tra il 2005 ed il 2006, difettando elementi per ritenere l’esecuzione dei lavori in epoca prossima all’accertamento del 2009.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, la violazione dell’art. 606, lett. b) c.p.p., per mancanza della motivazione in relazione al capo della decisione concernente l’ordine di demolizione e riduzione in pristino.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte territoriale avrebbe omesso di motivare sull’eccezione difensiva, mossa nei motivi di appello, in ordine all’illegittimità dell’ordine di riduzione in pristino e di demolizione, conseguente alla sentenza di condanna, in costanza di ricorso al TAR e del procedimento di sanatoria, assumendo che il giudice penale non può sovrapporsi o sostituirsi all’autorità amministrativa; peraltro, nessun passaggio della sentenza né il complesso della motivazione consentono di ritenere che la Corte d’appello abbia affrontato la questione inerente la legittimità dell’ordine di demolizione.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, la violazione dell’art. 606, lett. b) c.p.p., in relazione all’art. 29, d.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 181, comma I-bis, d. lgs. n. 42/2004.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte territoriale avrebbe ritenuto corresponsabile la ricorrente dell’abuso contestato in base al criterio del cui prodest, essendo inverosimile che il genitore, usufruttuario, abbia assunto l’iniziativa contra legem nel dissenso della figlia, nuda proprietaria; secondo la ricorrente, il proprietario estraneo può essere ritenuto responsabile a titolo di concorso, solo ove risulti un contributo soggettivo da valutare secondo le regole del concorso di persone; nel caso di specie, non risulterebbe alcun elemento concreto che consenta di attribuire alla ricorrente una corresponsabilità concorsuale, non essendo sufficiente la mera esistenza di un interesse ad edificare quale proprietario dell’area, dovendosi accertare se abbia la disponibilità della stessa o se abbia in qualche modo favorito la realizzazione dell’illecito (o se vi sia stata una sua presenza sul luogo, costante, o se abbia impartito disposizioni alle maestranze, o che abbia avuto conoscenza dell’assenza del titolo abilitativo o tenuto, in altri termini, comportamenti da cui sia desumibile una compartecipazione, anche solo morale, alla realizzazione dell’illecito), il tutto da valutarsi secondo le regole sul concorso di persone nel reato, non essendo sufficiente il mero richiamo all’art. 40, comma 2, c.p.. Tale accertamento, peraltro, secondo la ricorrente dovrebbe tanto più valere nei rapporti tra nudo proprietario ed usufruttuario, essendo quest’ultimo il soggetto nella materiale disponibilità dell’immobile, titolare in quanto tale di un onere di controllo e di vigilanza; e ciò varrebbe, in particolare, anche per la violazione dell’art. 181, comma 1-bis, d. lgs. n. 42/2004, che impone ancora più rigorosamente la prova dell’elemento psicologico.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, la violazione dell’art. 606, lett. e) c.p.p., in relazione all’art. 181, comma I-bis, d. lgs. n. 42/2004.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto la Corte territoriale, mentre espone in motivazione le ragioni per cui ritiene configurabile il concorso del nudo proprietario con l’usufruttuario nel reato di cui all’art. 44, d.P.R. n. 380/2001, non espone invece le ragioni per cui detto concorso sia configurabile nel delitto paesaggistico, punito a titolo di dolo.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è fondato per le ragioni di cui si dirà oltre.
4. Al fine di comprendere l’approdo solutorio cui è pervenuto questo Collegio, è necessario sovvertire l’ordine dell’esame dei motivi di ricorso, affrontando per primi il terzo ed il quarto motivo di ricorso, che, attesa l’omogeneità dei profili di doglianza con gli stessi svolti, possono essere oggetto di trattazione unitaria. Con i medesimi, in estrema sintesi, la ricorrente pone due distinte questioni di diritto, unificabili, che attengono alla corretta interpretazione della disciplina dettata dall’art. 29, d.P.R. n. 380/2001 e della fattispecie penale che prevede il c.d. delitto paesaggistico di cui all’art. 181, comma I-bis, D. Lgs. n. 42/2004.
Sostiene, in tal senso, la ricorrente che la medesima quale nuda proprietaria non sarebbe responsabile dell’abuso posto in essere dal padre, usufruttuario dell’immobile sul quale vennero eseguiti gli interventi abusivi.
La Corte d’appello, a confutazione della tesi della ricorrente, richiama il consueto criterio del “cui prodest”, sostenendo l’esistenza di un concorso della ricorrente con il proprio padre, usufruttuario e autore materiale dell’intervento, sia perché la ricorrente era colei che aveva presentato domanda per la realizzazione della cisterna, sia perché era la figlia, attuale ricorrente, ad avere interesse, in quanto dell’abuso edilizio “paterno” ne avrebbe usufruito anche la stessa quando vi si sarebbe recata in vacanza (a tal proposito, si osserva, la ricorrente risulta risiedere, anche all’epoca del fatto, a (…), mentre l’immobile oggetto di intervento abusivo è sito a (…)).
Ritiene il Collegio che la questione da risolvere è se il criterio adottato dalla Corte d’appello, sicuramente corretto per ritenere raggiunta la prova di un concorso in un reato contravvenzionale, possa essere idoneo a sostenere la configurabilità del concorso in un delitto, qual è quello paesaggistico per cui si procede. Vero è, si osserva, che ai fini della configurabilità del delitto in esame è sufficiente il dolo generico (Sez. 3, n. 48478 del 24/11/2011 – dep. 28/12/2011, Mancini, Rv. 251635), ma è altrettanto vero che, nel caso in esame, occorre valutare la peculiare posizione del concorrente, proprietario non committente, costituito dal nudo proprietario, soprattutto in una fattispecie in cui quest’ultimo – come emerge pacificamente dalla stessa sentenza impugnata – non risultava risiedere nello stesso luogo di consumazione dell’illecito. Correttamente, sul punto, la difesa di parte ricorrente ha ricordato quella giurisprudenza che, già con riferimento al reato edilizio di natura contravvenzionale, afferma che il semplice comportamento omissivo da luogo a responsabilità penale solo se l’agente aveva l’obbligo giuridico di impedire l’evento, obbligo che certamente non sussiste in capo al nudo proprietario dell’area interessata dalla costruzione, non essendo esso sancito da alcuna norma di legge (Sez. 5, n. 13812 del 11/11/1999 – dep. 02/12/1999, Giovannella F ed altro, Rv. 214609).
Non va certo dimenticato che la responsabilità per la realizzazione di opere abusive è configurabile anche nei confronti del nudo proprietario che ha la disponibilità dell’immobile ed un concreto interesse all’esecuzione dei lavori, se egli non allega circostanze utili a dimostrare che si tratti di interventi realizzati da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà (Sez. 3, n. 39400 del 21/03/2013 – dep. 24/09/2013, Spataro, Rv. 257676), ma – nel caso in esame – ciò che difetta, a giudizio del Collegio, è nella motivazione dell’impugnata sentenza una adeguata e argomentazione in ordine alle ragioni per le quali fosse ipotizzabile un concorso (colposo o doloso) della ricorrente nel reato, doloso, previsto dall’art. 181, comma I-bis, d. lgs. n. 42/2004.
5. L’accoglimento del ricorso esime questa Corte dall’esame dei restanti motivi di ricorso (ivi compreso quello relativo alla prescrizione, atteso che al termine di prescrizione massima, che maturerebbe alla data del maggio 2015, deve aggiungersi un periodo di sospensione di gg. 60 dal 26 aprile al 5 ottobre 2011, causa rinvio dell’udienza determinato da motivi di salute dell’imputata, con conseguente maturazione del termine di prescrizione alla data del luglio 2015), da ritenersi pertanto assorbiti attesa la valenza pregnante della questione relativa alla configurabilità di una responsabilità concorsuale della ricorrente, con conseguente rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria, cui spetta la cognizione in sede rinvio in ordine alle sentenze della limitrofa Corte territoriale di Messina di cui è disposto l’annullamento da parte di questa Corte di legittimità.
In sede di rinvio, peraltro, la Corte territoriale provvederà anche ad emendare l’omissione del giudice d’appello messinese, provvedendo a revocare l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, ordine non revocato nonostante già in primo grado fosse stata pronunciata sentenza di proscioglimento dai capi a) e c) della rubrica.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Reggio Calabria.
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