Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 20 novembre 2014, n. 48011
Ritenuto in fatto
La Corte d’Appello de L’Aquila con sentenza 11.5.2012 ha confermato il giudizio colpevolezza di F.K. in ordine al delitto di concorso in acquisto, con D.T.S., separatamente giudicato e per fini diversi dall’uso personale, di 95 pasticche di ecstasy vendute poi a più riprese a Riccione (artt. 110 cp e 73 DPR n. 309/1990, ipotesi di lieve entità di cui al quinto comma) osservando – per quanto interessa – che il prestito del danaro concesso al compagno di viaggio (il De Tulio) agevolò ed anzi fu determinante per l’acquisto delle pasticche, per cui non ricorreva l’ipotesi della mera connivenza non punibile su cui aveva insistito la difesa dell’appellante.
Il difensore ricorre per cassazione denunziando due motivi.
Considerato in diritto
1. Col primo motivo denunzia illogicità della motivazione con riferimento alle dichiarazioni del prevenuto osservando che la Corte ha malamente valutato la prova indiziaria fondando la sua decisione su una congettura senza considerare il comportamento tenuto dall’imputato alla presenza dei Carabinieri e il mancato rinvenimento di sostanza stupefacente indosso. La Corte, dunque, non ha fatto corretta applicazione dei principi su cui si fonda la distinzione tra concorso nel reato e mera connivenza.
Col secondo motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 533 cpp e manifesta illogicità nonché contraddittorietà della motivazione dolendosi della mancata assoluzione per mancanza di prova della responsabilità “al di la di ogni ragionevole dubbio”: ritiene che nel caso di specie, le risultanze istruttorie, se valutate attentamente, avrebbero dovuto far sorgere più di un dubbio sulla sussistenza della fattispecie criminosa, avendo il Floriello narrato con estrema veridicità l’effettivo svolgersi dei fatti.
2 Entrambi i motivi di ricorso sono inammissibili sia per difetto di specificità (artt. 581 lett. c e 591 lett. c cpp) che per manifesta infondatezza (art. 606 ultimo comma cpp).
Innanzitutto, è bene ricordare che secondo la costante giurisprudenza di legittimità in tema di detenzione di sostanze stupefacenti, la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto va individuata nel fatto che la prima postula che l’agente mantenga un comportamento meramente passivo, inidoneo ad apportare alcun contributo alla realizzazione del reato, mentre il secondo richiede un contributo partecipativo positivo – morale o materiale – all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente (tra le varie, cfr. Sez. 4, Sentenza n. 4055 del 12/12/2013 Ud. dep. 29/01/2014 Rv. 258186 Sez. 6, Sentenza n. 47562 del 29/10/2013 Cc. dep. 29/11/2013 Rv. 257465).
La Corte di merito nel caso di specie ha ravvisato il concorso nel reato valorizzando il dato – peraltro sottaciuto nei motivi di appello – della conoscenza delle intenzioni del compagno di viaggio (rifornirsi di droga) e del prestito del danaro,
circostanza, questa, che secondo l’apprezzamento del giudice di merito “agevolò ed
anzi fu determinante per l’acquisto delle pasticche stesse”, sicché non si poteva parlare di mera connivenza ma di condotta materiale “addirittura determinante per la commissione del reato dal momento che senza la somma, sia pure data a titolo di prestito, il cui uso il mutuante ben sapeva, il reato stesso non si sarebbe potuto commettere”.
Come si vede il percorso motivazionale si presenta completo privo di fratture logiche e in aderenza ai principi di diritto esposti, per cui si sottrae decisamente alla censura che invece – in violazione del principio di specificità dei motivi – si risolve in
una generica critica senza neppure l’indicazione delle circostanze ritenute “non univoche” sulla partecipazione al reato e della versione dei fatti fornita dall’imputato
che, a dire del ricorrente, avrebbe dovuto quanto meno giustificare l’assoluzione con la formula di cui all’art. 530 comma 2 cpp.
Infine, ma solo per completezza, va rilevato che la pena inflitta dai giudici di merito (anni uno di reclusione €. 3.000 di multa, partendo da una pena base di anni due e mesi tre di reclusione e €. 6.000,00 di multa, poi ridotta per le generiche e per il rito prescelto) non appare illegale anche alla luce della nuova normativa che ha introdotto, per i fatti di lieve entità di cui all’art. 73 quinto comma DPR n. 309/1990 l’ipotesi autonoma di reato punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni e la multa da €. 1.032 a €. 10.329,00 (cfr. art. 2 D.L. n. 146/2913 convertito in legge n. 10/2014).
Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sentenza 13.6.2000 n. 186), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 616 cpp nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè della somma di €. 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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