Corte_de_cassazione_di_Roma

Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 19 maggio 2014, n. 20492

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 22 gennaio 2013 il Tribunale di Termini Imerese, sezione distaccata di Cefalù, ha imputato per il delitto di cui all’articolo 6, comma 1, lettera a), l. 210/2008 per avere  2.000 di multa,  riqualificando il reato nella fattispecie di cui agli articoli 184, 256 e 192 d.lgs. 152/2006.
2. Ha presentato ricorso il difensore sulla base di due motivi. Il primo motivo denuncia violazione degli articoli 2 c.p., 3, comma 2, e 13, comma 1, d.lgs. 209/2003, 184, 256 e 192 d.lgs. 152/2006, 530 c.p.p., nonché vizio motivazionale, contestando la qualificazione del reato operata dal giudice. Il secondo motivo denuncia violazione degli articoli 162 bis c.p., 178, lettera c), 516, 517, 522, 525, comma 3, c.p.p. e 141, comma 4 bis, disp. att. c.p.p., non essendo stato l’imputato ammesso ad oblazione, nonostante la riqualificazione da delitto a contravvenzione oblabile, ex articolo 141, comma 4 bis, disp. att. c.p.p.

Considerato in diritto

3. Il ricorso è manifestamente infondato.

3.1 Il primo motivo contesta la riqualificazione dei reato operata dal giudice di merito, avendo quest’ultimo definito la carcassa dell’auto abbandonata in modo incontrollato nel settembre 2008 quale “veicolo fuori uso” e “rifiuto speciale” con conseguente richiamo al d.lgs. 152/2006. Su questo argomenta il ricorrente, omettendo però uno specifico confronto con quanto correttamente evidenziato nella motivazione della sentenza impugnata, che ha richiamato una pertinente giurisprudenza di questa Suprema Corte per qualificare il veicolo come “fuori uso” e quindi come “rifiuto speciale”, così da applicare appunto la fattispecie di cui agli articoli 184, 256 e 192 d.lgs. 152/2006 (abbandono incontrollato di veicoli fuori uso costituenti rifiuti speciali), come vigente nel settembre 2008 quando fu consumato il reato, e precisamente applicando l’articolo 256, comma 1, lettera a), del citato decreto non avendo ritenuto certa la natura pericolosa del rifiuto.

Nel caso di specie, invero, si trattava di un’automobile, risultata di proprietà dell’imputato, trovata in pessimo stato di conservazione e priva di vari componenti il 17 settembre 2010 presso il parcheggio di un campo sportivo. Al riguardo, dunque, il giudice di merito ha richiamato la giurisprudenza di legittimità in ordine appunto alla categorizzazione in rifiuto speciale, che insegna come, per qualificare un veicolo “fuori uso” e quindi “rifiuto speciale”, rilevano la volontà di abbandono da parte del proprietario e la oggettiva inidoneità del veicolo a svolgere la sua funzione (oltre a Cass. sez. III, 20 20 febbraio 2012 n. 6667 e a Cass. sez. III, 13 aprile 2010 n. 22035, citate dal Tribunale, si veda la recente Cass. sez. III, 2 aprile 2013 n. 40747, per cui “in tema di gestione dei rifiuti, deve essere considerato “fuori uso” in base alla disciplina di cui all’art. 3 D.Lgs. 209/2003, sia il veicolo di cui il proprietario si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi, sia quello destinato alla demolizione, ufficialmente privo delle targhe di immatricolazione, anche prima della materiale consegna a un centro di raccolta, sia quello che risulti in evidente stato di abbandono, anche se giacente in area privata”).

La conseguentemente esatta applicazione, alla luce della giurisprudenza nomofilattica, della normativa pertinente operata dal Tribunale rende quindi inconsistente il primo motivo.

3.2 Il secondo motivo lamenta la mancata fruizione dell’oblazione come conseguenza della riqualificazione del delitto di cui al capo di imputazione in una fattispecie contravvenzionale oblabile. Ad avviso del ricorrente, operata la riqualificazione il Tribunale avrebbe dovuto sospendere la decisione e con ordinanza ad hoc applicare a suo favore il combinato disposto di cui agli articoli 162 bis c.p.p. e 141, comma 4 bis, disp. att. c.p.p., rimettendo in termini l’imputato perché si avvalesse dell’oblazione. Ciò tanto più considerato il fatto che la riqualificazione era stata espletata dal giudice in modo del tutto autonomo nella sentenza, senza specifica istanza in tal senso della difesa.

La prospettazione del ricorrente non tiene conto della giurisprudenza di questa Suprema Corte sull’argomento. In particolare, quanto all’ammissione all’oblazione a seguito di modifica dell’originaria imputazione, S.U. 28 febbraio 2006 n. 7645 impongono per adire alla procedura oblativa la specifica istanza della parte, che nel caso di specie, come ammette lo stesso ricorrente, non è stata mai proposta prima della decisione del giudice (“Nel caso in cui l’imputato, nel corso dell’istruttoria dibattimentale, abbia presentato istanza di oblazione subordinata ad una diversa e più favorevole qualificazione giuridica del fatto, dalla quale discenda la possibilità di essere ammesso all’oblazione stessa, il giudice, se effettivamente procede a tale modifica, deve attivare il meccanismo di cui all’art. 141, comma quarto bis, c, p. p., anche all’esito dell’istruttoria dibattimentale; nel caso in cui ometta di pronunciarsi sull’istanza o si pronunci applicando
erroneamente la legge penale, tale omissione o errore potrà essere fatta rilevare in appello, attraverso il meccanismo di cui all’art. 604, comma settimo, c, p. p., ovvero, in caso di sentenza inappellabile, con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo lett. c), c.p.p.”; cfr. pure Cass. sez. III, 26 agosto 1999 n. 10634).

Se, dunque, il giudice opera la riqualificazione giuridica del fatto nella sentenza, anche in difetto di preventiva istanza in tal senso dell’imputato, non si configurano i presupposti della restituzione nel termine dell’imputato stesso per la richiesta di oblazione, il che non integra, d’altronde, alcuna lesione 2 aprile 2012 n. 12284, che per un caso di tal specie ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 162, 62 bis c.p., 521 c.p.p. e 141 disp. att. c.p.p. in relazione agli articoli 3 e 24 Cost. laddove non prevedono tale restituzione nel termine).

Anche il secondo motivo risulta pertanto manifestamente infondato.

Sulla base delle considerazioni fin qui svolte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art.616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende

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