cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 2 aprile 2014, n. 15093

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CASUCCI Giulian – Presidente
Dott. FIANDANESE F. – rel. Consigliere
Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Consigliere
Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere
Dott. CARRELLI PALOMBI Roberto – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del Tribunale di Lecce, in data 1 ottobre 2013;
Visti gli atti, l’ordinanza denunziata e il ricorso;
Sentita in camera di consiglio la relazione svolta dal consigliere Dott. FIANDANESE Franco;
Sentito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. CEDRANGOLO Oscar, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
Sentito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento dei motivi dei ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCEDIMENTO
Il Tribunale di Lecce, con ordinanza in data 1 ottobre 2013, rigettava l’appello proposto da (OMISSIS) avverso l’ordinanza della Corte di Appello di Lecce, in data 22 agosto 2013, che aveva respinto la richiesta di sostituzione della custodia cautelare in carcere. Il Tribunale rilevava che il (OMISSIS) era stato condannato dalla Corte di Appello di Lecce ad anni nove di reclusione in relazione ai reati di cui all’articolo 416 bis c.p., Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articoli 74 e 73, ma, non essendo definitiva la relativa sentenza, l’unico titolo di detenzione allo stato era l’ordinanza applicativa della custodia cautelare e relativamente a tale titolo di detenzione non era possibile imputare parte del presofferto all’articolo 416 bis c.p. e la restante parte agli altri reati, in quanto il giudizio di pericolosita’ sociale sul quale si fonda la misura cautelare personale e’ indistinto; pertanto, doveva ritenersi operante la presunzione ex articolo 275 c.p.p., comma 3, in relazione al reato di cui all’articolo 416 bis c.p. e dagli atti non emergevano elementi tali da indurre a ritenere che fossero cessate le esigenze cautelari.
Propongono ricorso per cassazione, con distinti atti, l’imputato personalmente e il suo difensore, deducendo motivi analoghi, che possono essere congiuntamente sintetizzati.
I ricorrenti osservano che il (OMISSIS) e’ stato condannato alla suddetta pena considerando come pena base quella relativa al delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, con un aumento ex articolo 81 c.p. di anni uno e mesi tre di reclusione per i residui delitti di cui all’articolo 416 bis c.p. e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, senza precisare quale parte di pena sia attribuita all’uno o all’altro reato, ma si tratterebbe, in ogni caso, di porzione di sanzione detentiva coperta dal presofferto cautelare. I ricorrenti contestano l’affermazione del Tribunale che non sia possibile scorporare il delitto associativo ai fini della valutazione delle esigenze cautelari, ricordando che tale scorporo e’ previsto, sia in caso di cumulo materiale che di cumulo giuridico, in sede di espiazione di pena con riferimento al reato ostativo ai fini della concessione delle misure alternative alla detenzione; anche in sede cautelare il medesimo meccanismo e’ posto a fondamento del disposto di cui all’articolo 300 c.p.p., comma 4, quando il titolo custodiale sia relativo ad un solo reato satellite, dovendosi in tal caso avere riguardo all’aumento di pena per tale reato previsto. In definitiva, secondo i ricorrenti, non puo’ piu’ dirsi operante la presunzione di cui all’articolo 275 c.p.p., comma 3, allorquando la pena irrogata per il reato che tale presunzione determina sia interamente espiata per effetto del presofferto cautelare.
Nel caso in cui non venisse accolta tale interpretazione, dovrebbe sollevarsi questione di costituzionalita’ dell’articolo 275 c.p.p., comma 3, nella parte in cui impone la misura della custodia cautelare in carcere in relazione al delitto di cui all’articolo 416 bis c.p. in continuazione con altri reati ritenuti in sentenza piu’ gravi di questo, con riferimento all’articolo 3 Cost., articolo 13 Cost., comma 1 e articolo 27 Cost., comma 2.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I motivi del ricorso sono infondati e devono essere rigettati.
La tesi difensiva si basa sull’accostamento della fattispecie in esame, da un lato, a quella della scindibilita’, nel corso dell’esecuzione, del cumulo giuridico delle pene irrogate per il reato continuato ai fini della fruizione dei benefici penitenziari (Sez. U, n. 14 del 30/06/1999, Ronga, Rv. 214355, che richiama Corte cost., sent. n. 361 del 1994), dall’altro lato, a quella relativa al calcolo dei termini di cui all’articolo 303 c.p.p., comma 1 e articolo 300 c.p.p., comma 4, in relazione al quale, nel caso di condanna per piu’ reati avvinti dalla continuazione, per alcuni dei quali soltanto mantenga efficacia la custodia cautelare, per “condanna” e per “pena inflitta” devono essere intese quelle relative a reati per i quali mantenga la sua efficacia la custodia cautelare, e non la condanna e la pena inflitte per l’intero reato continuato (Sez. U, n. 1 del 26/02/1997, Mammoliti, Rv. 207939).
Deve, pero’, osservarsi che la prima delle citate fattispecie attiene alla fase esecutiva di espiazione della pena e il principio affermato in materia riguarda le modalita’ di imputazione della pena espiata, che tengano conto della necessita’ che il cumulo giuridico non si risolva in danno del condannato: si tratta, quindi, di fattispecie non paragonabile, neppure analogicamente, a quella in esame che attiene alle modalita’ di valutazione delle esigenze cautelari in caso di piu’ reati avvinti dal vincolo della continuazione. Peraltro, neppure la seconda fattispecie richiamata dal ricorrente a sostegno della sua tesi e’ “spendibile” nel caso in esame; infatti, essa, sebbene attenga al tema della durata e della perdita di efficacia della custodia cautelare, si riferisce all’ipotesi in cui il titolo cautelare e’ stato applicato soltanto per un reato satellite, nel qual caso si impone il riferimento esclusivo alla pena inflitta come aumento per tale titolo (Sez. U, n. 25956 del 26/03/2009, Vitale, Rv. 243588).
La particolarita’ del caso in esame e’, invece, che la misura cautelare e’ indistintamente riferita a tutti i reati contestati, fra i quali e’ compreso anche quello di cui all’articolo 416 bis c.p., con la conseguenza che, non trattandosi, come nelle fattispecie sopra citate, di un mero criterio di calcolo ai fini dell’applicazione di norme di favore per il condannato o per l’indagato/imputato, ma di un complessivo giudizio di pericolosita’, questo giudizio non puo’ essere scisso, nell’ambito dell’unico titolo custodiale, nelle sue componenti delittuose ed e’, pertanto, corretto e logico, che la presunzione di pericolosita’ ex articolo 275 c.p.p., comma 3, non possa essere estrapolata dal complesso della valutazione.
Le rilevate differenze tra le fattispecie citate dal ricorrente a sostegno della sua tesi e quella in esame conducono a ritenere manifestamente infondata la dedotta questione di legittimita’ costituzionale.
Deve, dunque, affermarsi il seguente principio di diritto: in tema di valutazione delle esigenze cautelari, se la misura della custodia in carcere e’ stata applicata in relazione a plurimi reati, per uno dei quali e’ prevista la presunzione ex articolo 275 c.p.p., comma 3, quando sia stata pronunciata condanna per tali reati unificati dal vincolo della continuazione, configurando come satellite quello per il quale la legge prevede la suddetta presunzione, non e’ possibile, in sede di valutazione della richiesta di sostituzione della misura cautelare, scorporare il reato satellite e considerare la corrispondente porzione di sanzione detentiva coperta dal presofferto cautelare, eliminando dalla valutazione la relativa presunzione di pericolosita’.
I ricorsi, dunque, devono essere rigettati, con la conseguenza della condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Copia del presente provvedimento deve essere
trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario, affinche’ provveda a quanto previsto dall’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Si provveda a norma dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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