Suprema Corte di Cassazione
sezione III
Sentenza 19 dicembre 2013, n. 28469
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MASSERA Maurizio – Presidente
Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8454/2008 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale notarile del Dott. Notaio (OMISSIS) in Parma del 27/11/2009 rep. n. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 247/2007 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 21/03/2007 R.G.N. 835/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/11/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MASSERA Maurizio – Presidente
Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere
Dott. CIRILLO Francesco Maria – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8454/2008 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale notarile del Dott. Notaio (OMISSIS) in Parma del 27/11/2009 rep. n. (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 247/2007 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 21/03/2007 R.G.N. 835/06;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/11/2013 dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. (OMISSIS), proprietario di un appartamento da lui locato a (OMISSIS) e dal medesimo utilizzato come studio legale, otteneva dal Pretore di Parma, con sentenza poi confermata dal Tribunale della medesima citta’, il rilascio dell’immobile siccome destinato ad abitazione del figlio del (OMISSIS).
Alcuni anni dopo il (OMISSIS), sul rilievo che l’unita’ immobiliare non era stata destinata in conformita’ al titolo per il quale ne era stata ottenuta la disponibilita’, ricorreva al Tribunale di Parma, ai sensi della Legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 31, chiedendo il risarcimento del relativo danno.
Il Tribunale accoglieva la domanda, con pronuncia confermata dalla Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 21 marzo 2007.
Osservava la Corte territoriale che le prove raccolte dimostravano, alla luce delle norme in tema di prova per presunzioni, che al momento della proposizione del ricorso del (OMISSIS) il figlio del locatore (OMISSIS) non abitava ancora nell’immobile, il che si poteva desumere dal certificato anagrafico, dalla intestazione delle utenze e dalla mancanza di ogni prova contraria. E, d’altra parte, non aveva alcun rilievo il fatto che – come asseriva il (OMISSIS) – i lavori si fossero protratti fino a circa due o tre anni prima dell’introduzione del giudizio, perche’ cio’, al contrario, costituiva dimostrazione del fatto che l’esecuzione dei lavori non poteva considerarsi “giusta” causa della mancata utilizzazione.
2. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna propone ricorso (OMISSIS), con atto affidato ad un unico motivo.
Resiste (OMISSIS) con controricorso.
Le parti hanno presentato memorie.
Alcuni anni dopo il (OMISSIS), sul rilievo che l’unita’ immobiliare non era stata destinata in conformita’ al titolo per il quale ne era stata ottenuta la disponibilita’, ricorreva al Tribunale di Parma, ai sensi della Legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 31, chiedendo il risarcimento del relativo danno.
Il Tribunale accoglieva la domanda, con pronuncia confermata dalla Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 21 marzo 2007.
Osservava la Corte territoriale che le prove raccolte dimostravano, alla luce delle norme in tema di prova per presunzioni, che al momento della proposizione del ricorso del (OMISSIS) il figlio del locatore (OMISSIS) non abitava ancora nell’immobile, il che si poteva desumere dal certificato anagrafico, dalla intestazione delle utenze e dalla mancanza di ogni prova contraria. E, d’altra parte, non aveva alcun rilievo il fatto che – come asseriva il (OMISSIS) – i lavori si fossero protratti fino a circa due o tre anni prima dell’introduzione del giudizio, perche’ cio’, al contrario, costituiva dimostrazione del fatto che l’esecuzione dei lavori non poteva considerarsi “giusta” causa della mancata utilizzazione.
2. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna propone ricorso (OMISSIS), con atto affidato ad un unico motivo.
Resiste (OMISSIS) con controricorso.
Le parti hanno presentato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione della Legge n. 392 del 1978, articolo 31, comma 1.
Rileva il ricorrente che l’immobile in questione non era idoneo, nell’immediato, all’uso di abitazione, essendo necessari importanti lavori di ristrutturazione. L’intero edificio, inoltre, e’ soggetto al vincolo di cui alla Legge 1 giugno 1939, n. 1089, sicche’ nessuna modificazione poteva avere luogo senza l’autorizzazione della competente Autorita’. Ne consegue che non sarebbe invocabile la Legge n. 392 del 1978, articolo 31, perche’ entro il termine di sei mesi fissato da detta norma era stato presentato il relativo progetto alla Sovrintendenza dei beni ambientali della Regione; e, una volta terminati i lavori, l’appartamento e’ stato immediatamente occupato dal figlio del (OMISSIS). Pertanto, fermo restando che la sanzione di cui all’articolo 31 si fonda su di una presunzione iuris tantum e non regola un’ipotesi di responsabilita’ oggettiva, la Corte di merito avrebbe errato nell’applicare tale norma, poiche’ nel caso in esame il locatore ha rispettato il dettato legislativo, avendo richiesto nel termine di sei mesi il rilascio delle autorizzazioni necessarie per lo svolgimento dei lavori di ristrutturazione dell’immobile.
2. Il motivo non e’ fondato.
Occorre innanzitutto rilevare che la Corte d’appello ha precisato che nel caso di specie il (OMISSIS) aveva ottenuto la restituzione dell’immobile in base alla previsione di cui alla Legge n. 392 del 1978, articolo 29, comma 1, lettera a), siccome destinato ad abitazione del proprio figlio, e non in previsione dell’ipotesi di ristrutturazione di cui al medesimo articolo 29, lettera d). Tale particolare assume uno speciale rilievo in considerazione delle censure contenute nell’odierno ricorso e formalizzate nei due quesiti formulati alle pagine 9 e 10 dello stesso.
Ora, e’ esatto – secondo quanto il ricorrente afferma – che la giurisprudenza di questa Corte ha in piu’ occasioni ribadito che le sanzioni previste dalla Legge n. 392 del 1978, articolo 31, non sono connesse ad un criterio di responsabilita’ oggettiva, o secondo una presunzione assoluta di colpa, bensi’ sulla base di una presunzione iuris tantum, come tale suscettibile di prova contraria (sentenze 16 gennaio 1997, n. 391, 18 maggio 2000, n. 6462, 14 dicembre 2004, n. 23296, e 19 maggio 2011, n. 11014). Tali sanzioni, secondo la citata giurisprudenza, configurano una forma di responsabilita’ per inadempimento inquadrabile nella generale disciplina degli articoli 1176 e 1218 c.c.; con la conseguenza che esse non sono applicabili qualora la tardiva destinazione dell’immobile medesimo sia in concreto giustificata da esigenze, ragioni o situazioni meritevoli di tutela e non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore stesso.
E’ altrettanto pacifico, pero’, che l’onere del superamento di tale presunzione grava sul locatore, cui spetta dimostrare l’esistenza a suo favore di una giusta causa, meritevole di tutela, che abbia impedito o ritardato l’utilizzo della res locata in modo conforme al motivo assunto per il rilascio dal titolo giudiziale, cui e’ stata data esecuzione (cosi’ la sentenza n. 6462 del 2000 cit.).
3. Nella specie, nulla di cio’ e’ stato dimostrato dal (OMISSIS). Egli tenta, nel ricorso, di sostenere la tesi – sulla quale formula il primo dei due quesiti di diritto – secondo cui la previsione dell’articolo 31 non dovrebbe trovare applicazione ove il locatore dimostri di avere, entro il termine di sei mesi ivi indicato, richiesto alle competenti autorita’ le autorizzazioni necessarie allo svolgimento dei lavori finalizzati a rendere l’immobile adatto alle esigenze abitative del proprio figlio.
Ora, a prescindere dal carattere evidentemente fantasioso di tale ricostruzione del sistema, la pretesa del ricorrente e’ smentita, in punto di fatto, dalle argomentazioni corrette e convincenti della sentenza impugnata.
La Corte bolognese, infatti, ha accertato che “al momento di proposizione del ricorso il figlio del locatore non risultava ancora abitare nell’immobile, come univocamente desumibile dal certificato anagrafico e dall’intestazione delle utenze, oltreche’ dalla mancanza di qualsiasi emergenza probatoria” di segno contrario; ed ha giustamente ritenuto del tutto irrilevante la circostanza, addotta dal (OMISSIS), per cui i lavori di restauro dell’immobile si erano protratti “fino a due o tre anni prima”. Poiche’, infatti, lo stesso ricorrente chiarisce (p. 6 del ricorso) che il rilascio dell’immobile da parte del (OMISSIS) era avvenuto in data 12 febbraio 1994, mentre l’odierno giudizio e’ stato introdotto il 31 maggio 2000, ossia oltre sei anni dopo, e’ evidente che, ove pure i lavori si fossero protratti fino a due o tre anni prima, il locatore non avrebbe ugualmente dimostrato di aver rispettato il termine semestrale di cui alla Legge n. 392 del 1978, articolo 31.
Ne consegue che l’accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale esclude in modo pacifico – senza sostanziali contestazioni sul punto – che il (OMISSIS) abbia fornito una qualche prova tale da giustificare la mancata applicazione della Legge n. 392 del 1978, articolo 31.
4. Il ricorso, quindi, e’ rigettato.
A tale esito segue la condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in conformita’ ai soli parametri introdotti dal Decreto Ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
Rileva il ricorrente che l’immobile in questione non era idoneo, nell’immediato, all’uso di abitazione, essendo necessari importanti lavori di ristrutturazione. L’intero edificio, inoltre, e’ soggetto al vincolo di cui alla Legge 1 giugno 1939, n. 1089, sicche’ nessuna modificazione poteva avere luogo senza l’autorizzazione della competente Autorita’. Ne consegue che non sarebbe invocabile la Legge n. 392 del 1978, articolo 31, perche’ entro il termine di sei mesi fissato da detta norma era stato presentato il relativo progetto alla Sovrintendenza dei beni ambientali della Regione; e, una volta terminati i lavori, l’appartamento e’ stato immediatamente occupato dal figlio del (OMISSIS). Pertanto, fermo restando che la sanzione di cui all’articolo 31 si fonda su di una presunzione iuris tantum e non regola un’ipotesi di responsabilita’ oggettiva, la Corte di merito avrebbe errato nell’applicare tale norma, poiche’ nel caso in esame il locatore ha rispettato il dettato legislativo, avendo richiesto nel termine di sei mesi il rilascio delle autorizzazioni necessarie per lo svolgimento dei lavori di ristrutturazione dell’immobile.
2. Il motivo non e’ fondato.
Occorre innanzitutto rilevare che la Corte d’appello ha precisato che nel caso di specie il (OMISSIS) aveva ottenuto la restituzione dell’immobile in base alla previsione di cui alla Legge n. 392 del 1978, articolo 29, comma 1, lettera a), siccome destinato ad abitazione del proprio figlio, e non in previsione dell’ipotesi di ristrutturazione di cui al medesimo articolo 29, lettera d). Tale particolare assume uno speciale rilievo in considerazione delle censure contenute nell’odierno ricorso e formalizzate nei due quesiti formulati alle pagine 9 e 10 dello stesso.
Ora, e’ esatto – secondo quanto il ricorrente afferma – che la giurisprudenza di questa Corte ha in piu’ occasioni ribadito che le sanzioni previste dalla Legge n. 392 del 1978, articolo 31, non sono connesse ad un criterio di responsabilita’ oggettiva, o secondo una presunzione assoluta di colpa, bensi’ sulla base di una presunzione iuris tantum, come tale suscettibile di prova contraria (sentenze 16 gennaio 1997, n. 391, 18 maggio 2000, n. 6462, 14 dicembre 2004, n. 23296, e 19 maggio 2011, n. 11014). Tali sanzioni, secondo la citata giurisprudenza, configurano una forma di responsabilita’ per inadempimento inquadrabile nella generale disciplina degli articoli 1176 e 1218 c.c.; con la conseguenza che esse non sono applicabili qualora la tardiva destinazione dell’immobile medesimo sia in concreto giustificata da esigenze, ragioni o situazioni meritevoli di tutela e non riconducibili al comportamento doloso o colposo del locatore stesso.
E’ altrettanto pacifico, pero’, che l’onere del superamento di tale presunzione grava sul locatore, cui spetta dimostrare l’esistenza a suo favore di una giusta causa, meritevole di tutela, che abbia impedito o ritardato l’utilizzo della res locata in modo conforme al motivo assunto per il rilascio dal titolo giudiziale, cui e’ stata data esecuzione (cosi’ la sentenza n. 6462 del 2000 cit.).
3. Nella specie, nulla di cio’ e’ stato dimostrato dal (OMISSIS). Egli tenta, nel ricorso, di sostenere la tesi – sulla quale formula il primo dei due quesiti di diritto – secondo cui la previsione dell’articolo 31 non dovrebbe trovare applicazione ove il locatore dimostri di avere, entro il termine di sei mesi ivi indicato, richiesto alle competenti autorita’ le autorizzazioni necessarie allo svolgimento dei lavori finalizzati a rendere l’immobile adatto alle esigenze abitative del proprio figlio.
Ora, a prescindere dal carattere evidentemente fantasioso di tale ricostruzione del sistema, la pretesa del ricorrente e’ smentita, in punto di fatto, dalle argomentazioni corrette e convincenti della sentenza impugnata.
La Corte bolognese, infatti, ha accertato che “al momento di proposizione del ricorso il figlio del locatore non risultava ancora abitare nell’immobile, come univocamente desumibile dal certificato anagrafico e dall’intestazione delle utenze, oltreche’ dalla mancanza di qualsiasi emergenza probatoria” di segno contrario; ed ha giustamente ritenuto del tutto irrilevante la circostanza, addotta dal (OMISSIS), per cui i lavori di restauro dell’immobile si erano protratti “fino a due o tre anni prima”. Poiche’, infatti, lo stesso ricorrente chiarisce (p. 6 del ricorso) che il rilascio dell’immobile da parte del (OMISSIS) era avvenuto in data 12 febbraio 1994, mentre l’odierno giudizio e’ stato introdotto il 31 maggio 2000, ossia oltre sei anni dopo, e’ evidente che, ove pure i lavori si fossero protratti fino a due o tre anni prima, il locatore non avrebbe ugualmente dimostrato di aver rispettato il termine semestrale di cui alla Legge n. 392 del 1978, articolo 31.
Ne consegue che l’accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale esclude in modo pacifico – senza sostanziali contestazioni sul punto – che il (OMISSIS) abbia fornito una qualche prova tale da giustificare la mancata applicazione della Legge n. 392 del 1978, articolo 31.
4. Il ricorso, quindi, e’ rigettato.
A tale esito segue la condanna della parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in conformita’ ai soli parametri introdotti dal Decreto Ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 5.200, di cui euro 200 per spese, oltre accessori di legge.
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