Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 18 marzo 2015, n. 11352

Ritenuto in fatto

La Corte di Appello di Venezia, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente M.R. , con sentenza del 28.4.2014, confermava la sentenza del GUP presso il Tribunale di Verona, emessa in data 17.1.2013, con condanna al pagamento delle spese processuali.
Il GUP del Tribunale di Ravenna, all’esito di giudizio abbreviato, aveva dichiarato M.R. colpevole dei seguenti reati previsti:
a) dall’art. 2 D. Lgs. 74/2000 perché, in qualità di titolare della omonima ditta individuale, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, avvalendosi della fattura n, 9568 del 25.12.2005 dell’importo di Euro 248.526,00 + IVA al 4% emessa dalla “D.R.B. s.r.l.” a fronte di operazioni inesistenti, indicava nella dichiarazione relativa alle imposte sui redditi e IVA dell’anno 2005 elementi passivi fittizi di pari importo. In (omissis) .
b) dall’art. 3 D. Lgs. 74/2000 perché, in qualità di titolare della omonima ditta individuale, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie ed avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l’accertamento, in particolare annotando nel partitario intestato al fornitore “D.R.B. s.r.l.” un debito complessivo con tale ditta pari a Euro 449.562,50 per costi in realtà mai sostenuti, nonché annotando nel partitario intestato al fornitore “Agropiave s.r.l.” un debito complessivo con tale ditta pari a Euro 164.736,00 relativo alla fattura n. 2146 del 31.12.2008 che in realtà non è stata mai emessa, indicava nella dichiarazione annuale relativa all’anno di imposta 2008 elementi passivi fittizi pari a Euro 599.322,50 complessivi, essendo le imposte evase superiori a Euro 77.468,53 ed essendo l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti ad imposizione superiore al 5% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione. In (omissis) .
L’imputato veniva condannato, unificati i reati ex art. 81 cod. pen. e concessegli le circostanze attenuanti generiche, considerato più grave il reato di cui al capo b), con la diminuente del rito, alla pena di mesi 10 di reclusione oltre al pagamento delle spese processuali, con applicazione delle pene accessorie, pubblicazione della sentenza e revoca del sequestro preventivo avente ad oggetto l’immobile sito in Comune di (omissis) identificato al NCU al fg. 30 particella 469 di proprietà di M.R. e immediata restituzione del bene all’imputato.
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, M.R. , deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
a. art. 606, co. 1, lett. b) cod. proc. pen. per violazione art. 13 D.Lgs. 74/00 – travisamento della norma e art. 163 cod. pen. – manifesta illogicità.
Il ricorrente deduce che i giudici di merito avrebbero negato l’applicabilità dell’attenuante specifica prevista dall’art. 13 D.Lgs. 74/00, ritenendo insufficienti un piano di ammortamento concordato con l’Agenzia delle Entrate ed il puntuale pagamento delle rate dello stesso, in quanto per l’applicazione dell’attenuante sarebbe richiesta l’estinzione dei debiti tributari.
Ritiene il ricorrente che l’intenzione del legislatore nella previsione normativa “anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie” comprenderebbe nel concetto di estinzione lo stesso piano di ammortamento concordato con l’Agenzia delle Entrate e non, invece, come interpretato arbitrariamente dai giudici di merito, intendendo che tali procedure dovessero essere esauriti o estinti prima dell’apertura del dibattimento di primo grado.
La norma, invece, farebbe riferimento, ad avviso del ricorrente, alle speciali procedure conciliative e ai piani di ammortamento.
b. Mancata concessione della sospensione condizionale della pena.
La Corte di appello, e prima ancora il gup ravennate, avrebbero ritenuto di non concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena sull’esclusiva base del casellario giudiziale, perché il M. aveva già usufruito del beneficio “per ben tre volte”, senza tenere minimamente conto del comportamento processuale dell’imputato, della scelta del rito e del suo comportamento extra-processuale, ovvero dell’aver aderito ad un concordato ed averlo puntualmente rispettato.
Il M. , inoltre avrebbe riconosciuto le proprie responsabilità, rinunciando a proporre ricorso alla commissione tributaria provinciale.
Chiede, pertanto, l’annullamento e/o la riforma della sentenza impugnata con ogni conseguente provvedimento ed effetto di legge.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è manifestamente infondato e, pertanto, va dichiarato inammissibile.
2. Il D.Lgs. n. 74 del 2000, introducendo all’art. 13 la circostanza attenuante speciale del pagamento del debito tributario, prevede che le pene previste per i delitti di cui allo stesso decreto siano diminuite fino alla metà e che non si applichino le pene accessorie indicate nell’articolo 12 se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei delitti medesimi sono stati estinti mediante pagamento, anche a seguito delle speciali procedure conciliative o di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie.
Ciò posto, è il dettato stesso della norma, laddove si richiede appunto la estinzione del debito, a far ritenere che presupposto necessario del trattamento sanzionatorio più favorevole sia l’integrale pagamento di quanto dovuto all’Erario, non essendo dunque sufficiente la mera ammissione al provvedimento di rateazione intervenuta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento.
Del resto – com’è stato ripetutamente sottolineato da questa Corte di legittimità (cfr. ex plurimis sent. 37748/2014) anche sotto il profilo della ratio della norma, la condotta meritevole del trattamento premiale è solo quella effettivamente idonea ad apportare un beneficio in termini patrimoniali all’Erario, non apparendo significativo sotto tale profilo il mero provvedimento di ammissione alla rateazione posto che l’interessato, una volta ammesso alla rateazione, ben potrebbe restare inadempiente rispetto al pagamento della singole rate.
La giurisprudenza di questa Corte di legittimità sul punto, che il Collegio condivide e che intende ribadire, è assolutamente granitica nel ritenere che anche in caso di procedure conciliative o di adesione, presupposto della applicabilità della circostanza attenuante è l’intervenuta integrale estinzione del debito d’imposta (cfr. sez. 3, n. 30580 del 13.5.2004, Pisciotta, rv. 229355; conf. sez. 3, n. 176 del 5.7.2012 dep. 7.1.2013, Zorzi rv. 254146; conf. sez. 3 n. 37748 del 16.7.2014, rv. 260189; sez. 3, n. 5681 del 27.11.2013, Crocco, rv. 258691).
L’attenuante in questione, non è applicabile, in altri termini, in caso di rateizzazione del debito di imposta già iscritto a ruolo e indicato nella cartella di pagamento, atteso che il riconoscimento del beneficio è subordinato all’integrale ed effettiva estinzione dell’obbligazione tributaria. E l’avvenuto puntuale pagamento delle eventuali rate già scadute non garantisce certamente il pagamento delle successive rate a scadere.
3. Assolutamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso atteso che la Corte territoriale ha evidenziato in sentenza come il M. abbia già fruito per ben tre volte della sospensione condizionale della pena – circostanza che il ricorrente non contesta – e che pertanto non vi era possibilità alcuna per il Giudicane tedi concedere nuovamente un beneficio che, evidentemente, era già stato concesso una volta contra legem.
4. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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