Le massime

1. Se la ospitalità – anche non temporanea e protratta nel tempo – di un soggetto nell’appartamento in locazione non concreta ipotesi di presunzione di sublocazione e se da essa neppure è dato presumere una detenzione autonoma dell’immobile locato derivante da un concesso comodato, devesi necessariamente ritenere che la semplice durata di tale permanenza, in assenza di altre circostanze, non possa essere assunta ad indizio grave e determinante idoneo a provare che il conduttore abbia accordato agli ospiti i diritti propri del comodatario.

2. E’ nulla la clausola di un contratto di locazione nella quale, oltre alla previsione del divieto di sublocazione, sia contenuto il riferimento al divieto di ospitalità non temporanea di persone estranee al nucleo familiare anagrafico, siccome confliggente proprio con l’adempimento dei doveri di solidarietà che si può manifestare attraverso l’ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà, oltre che con la tutela dei rapporti sia all’interno della famiglia fondata sul matrimonio sia di una convivenza di fatto tutelata in quanto formazione sociale, o con l’esplicazione di rapporti di amicizia.

3. La legge 17 luglio 1978, n. 392, che, all’articolo 2 detta nuove disposizioni sulla sublocazione, ha implicitamente abrogato, ai sensi dell’art. 84 della medesima legge, le precedenti norme in materia degli artt. 20, 23 e 24 della legge 23 maggio 1950, n. 253, ma non anche l’art, 21, che, prevedendo la presunzione di sublocazione nei casi in cui l’immobile sia occupato da persone che non sono al servizio o ospiti del conduttore né a questo legate da vincoli di parentela o affinità entro il quarto grado, determina solo una inversione dell’onere della prova a favore del locatore, giustificata dalla generale difficoltà di prova della sublocazione, non essendo tale norma incompatibile con la nuova disciplina in materia di sublocazione stabilita dalla legge n. 392 del 1978, ancorché in questa legge analoga presunzione è prevista, dall’art. 59 n. 7, solo ai fini dell’azione di recesso dai rapporti di locazione in regime transitorio, atteso che la ratio della detta norma, che è quella di agevolare la posizione del locatore, senza essere strumentale alla disciplina specifica dei soli contratti in regime transitorio, è comune ai contratti soggetti al regime ordinario.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

SENTENZA 18 giugno 2012, n.9931

Ritenuto in fatto

L’Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza Medici (E.N.P.A.M.) chiese al Tribunale di Roma di dichiarare l’avvenuta risoluzione del contratto di locazione stipulato con la conduttrice B.M. per inadempimento di quest’ultima. Il Tribunale di Roma rigettò la domanda considerando che:
a) l’ente aveva concesso in locazione alla B. un immobile sito in Roma;
b) non era stato dimostrato il fatto costitutivo dell’addotto inadempimento, consistente nell’abbandono e nella sublocazione dell’immobile a lei locato da parte della conduttrice;
c) M.B. aveva, invece, per un periodo di circa tre anni, ospitato nell’appartamento la sorella e il di lei figlio minore e tale comportamento non costituiva violazione degli accordi contrattuali.
Avverso la relativa decisione propose appello la Fondazione E.N.P.A.M. (già E.N.P.A.M.).
Sostenne che il primo giudice non aveva correttamente valutato le risultanze istruttorie in ordine all’abbandono dell’immobile da parte della conduttrice ed alla sublocazione dello stesso a terzi.
Aggiunse che, anche se non avesse definitivamente abbandonato l’appartamento, la B. avrebbe comunque violato le pattuizioni contrattuali concedendo in comodato l’immobile (in tutto o in parte) alla sorella ed al nipote.
La Corte d’appello di Roma accolse il gravame e dichiarò risolto il contratto, ritenendo che la conduttrice – ove anche si fosse potuto aderire alla tesi che la stessa non aveva abbandonato l’appartamento né lo aveva concesso in sublocazione totale ai suoi congiunti – aveva, comunque, violato l’art. 5 del contratto, che la obbligava a non sublocare né a dare in comodato in tutto o in parte l’unità immobiliare, dovendosi escludere che la consentita durata di circa tre anni della consentita occupazione stabile dell’immobile da parte della sorella e del nipote potesse essere considerata una semplice ospitalità e non piuttosto vero e proprio comodato del medesimo bene.
Per la cassazione della sentenza ricorre M. B. con unico motivo, illustrato anche da memoria.
L’intimata Fondazione non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

Con l’unico mezzo di doglianza la ricorrente censura la denunciata sentenza per vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia e per violazione delle norme di cui agli articoli 21 della legge 253/1950, 1453, 1455 e 1571 cod. civ. e, con il quesito di diritto, chiede a questa Corte di stabilire ‘se l’ospitalità concessa dal conduttore a soggetti ricompresi nel novero delle persone di servizio e/o dei parenti o affini entro il 4^ grado concreta presunzione iuris et de iure volta ad escludere la ricorrenza della fattispecie della sublocazione e/o del comodato, fatta salva la eventuale prova di segno contrario, incombente in capo al locatore il quale, senza che possa assumere rilievo alcuno la durata, in concreto, del rapporto di ospitalità e/o del concesso diritto di utilizzazione, è tenuto a fornire prova certa ed univoca degli elementi conducenti ai fini della configurazione di un diverso rapporto sinallagmatico, tale da condurre alla declaratoria di inadempimento del contratto di locazione: nel caso di specie, devono ritenersi alla stregua di elementi conducenti di segno contrario, rispetto al prospettato inadempimento, la circostanza che la conduttrice ha provveduto ad onorare le obbligazioni derivanti dal contratto di locazione nonché la circostanza che non è emerso alcun elemento, neppure a livello indiziario e/o presuntivo, idoneo a far ritenere sussistente la cessione del godimento in favore del terzo’.

Il motivo è fondato.

Deve, anzitutto, premettersi che questa Corte (Cass., n. 5690/1993) ha già stabilito che la legge 17 luglio 1978, n. 392, che, all’articolo 2 detta nuove disposizioni sulla sublocazione, ha implicitamente abrogato, ai sensi dell’art. 84 della medesima legge, le precedenti norme in materia degli artt. 20, 23 e 24 della legge 23 maggio 1950, n. 253, ma non anche l’art, 21, che, prevedendo la presunzione di sublocazione nei casi in cui l’immobile sia occupato da persone che non sono al servizio o ospiti del conduttore né a questo legate da vincoli di parentela o affinità entro il quarto grado, determina solo una inversione dell’onere della prova a favore del locatore, giustificata dalla generale difficoltà di prova della sublocazione, non essendo tale norma incompatibile con la nuova disciplina in materia di sublocazione stabilita dalla legge n. 392 del 1978, ancorché in questa legge analoga presunzione è prevista, dall’art. 59 n. 7, solo ai fini dell’azione di recesso dai rapporti di locazione in regime transitorio, atteso che la ratio della detta norma, che è quella di agevolare la posizione del locatore, senza essere strumentale alla disciplina specifica dei soli contratti in regime transitorio, è comune ai contratti soggetti al regime ordinario.

Occorre, inoltre, aggiungere che questa Corte ha anche ritenuto che è nulla la clausola di un contratto di locazione nella quale, oltre alla previsione del divieto di sublocazione, sia contenuto il riferimento al divieto di ospitalità non temporanea di persone estranee al nucleo familiare anagrafico, siccome confliggente proprio con l’adempimento dei doveri di solidarietà che si può manifestare attraverso l’ospitalità offerta per venire incontro ad altrui difficoltà, oltre che con la tutela dei rapporti sia all’interno della famiglia fondata sul matrimonio sia di una convivenza di fatto tutelata in quanto formazione sociale, o con l’esplicazione di rapporti di amicizia (Cass., n. 14343/2009).

Orbene, se la ospitalità – anche non temporanea e protratta nel tempo – non concreta ipotesi di presunzione di sublocazione e se da essa neppure è dato presumere una detenzione autonoma dell’immobile locato derivante da un concesso comodato, devesi necessariamente ritenere che la semplice durata di tale permanenza, in assenza di altre circostanze, non poteva essere assunta ad indizio grave e determinante idoneo a provare che ai suoi congiunti la conduttrice B. avesse accordato diritti propri del comodatario.

Appare, di conseguenza, carente la statuizione del giudice del merito, che ha assunto a base del preteso comodato a favore della sorella e del nipote della  B. la sola durata dell’accertata ospitalità, neppure accertando se la detenzione derivante dal comodato abbia riguardato la totalità dell’immobile, per avvenuto abbandono del conduttore, ovvero una parte soltanto di esso, del quale il conduttore abbia continuato ad abitare la restante parte.

L’impugnata sentenza deve, perciò, essere cassata con rinvio per nuovo esame alla medesima Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che, in aderenza a quanto innanzi esposto, procederà a rinnovata valutazione del materiale probatorio raccolto.

Al giudice del rinvio è rimessa anche la statuizione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento del motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

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