GIORNALI

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III

SENTENZA 18 febbraio 2014, n. 7504

Ritenuto in fatto

 1.1 Con sentenza del 27 settembre 2012 la Corte di Appello di Napoli in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Napoli – Sezione Distaccata di Pozzuoli – del 30 settembre 2009 emessa nei riguardi di P.D. (imputato del reato di cui all’art. 167 comma 2 del D. L.vo 196/03), riconosceva allo stesso le circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 1 cod. pen. e, per l’effetto, riduceva la originaria pena di mesi otto di reclusione a mesi cinque e giorni dieci confermando nel resto, anche con riguardo alle statuizioni civili.
1.2 La Corte partenopea, nel condividere le diffuse argomentazioni del Tribunale in punto di integrazione della fattispecie delittuosa contestata al P. , ribadiva la rilevanza penale della sua condotta, richiamando non soltanto le disposizioni contenute nell’art. 4 del detto D. L.vo in merito alla nozione di trattamento dei dati personali identificativi sensibili, ma anche le modalità di trattamento di tali dati (nella specie non osservate) previste dall’art. 17 dello stesso D. L.vo e, infine, le disposizioni contenute nel successivo art. 137 (riguardante le esclusioni collegate all’esercizio dell’attività giornalistica) in correlazione con l’art. 7 del Codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica.
1.3 Alla stregua di tali elementi la Corte distrettuale riteneva pienamente integrata la fattispecie contestata, risultando provata sia la portata individualizzante delle notizie diffuse dal giornale, sia l’eccentricità e sproporzionalità delle notizie diffuse sul conto del minore deceduto in occasione di un sinistro stradale rispetto al diritto di cronaca, sia il nocumento oltre che al minore a soggetti terzi a lui affettivamente legati (genitori e fratello).
1.4 Ricorre avverso la detta sentenza l’imputato personalmente deducendo due motivi. Con il primo lamenta violazione di legge per inosservanza della legge penale (art. 167 D. L.vo 196/03) in particolare rilevando l’inconfigurabilità della violazione con riferimento alla condotta tenuta in concreto, posto che i dati pubblicati non erano in grado di far riconoscere il minore. Lamenta poi il ricorrente, nell’ambito del medesimo motivo, la contraddittorietà della decisione nella parte in cui, per un verso non include la diffusione dei dati relativi al minore nell’esercizio del diritto di cronaca e, per altro verso, applica la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 1 cod. pen. Rivendica, infine, la legittimità del proprio operato censurando la decisione della Corte territoriale per non aver tenuto conto del movente particolare che aveva indotto la pubblicazione del servizio e dei dati sul minore, movente costituito dalla volontà di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni per un radicale intervento atto a modificare lo stato della strada onde evitare il ripetersi di incidenti mortali. Con il secondo motivo il ricorrente si duole dell’omessa inclusione nel dispositivo della sentenza del beneficio della sospensione condizionale della pena enunciato nella parte motiva.

 Considerato in diritto

 1. È fondato nei limiti che seguono il secondo motivo, mentre non può essere accolto il motivo principale per le specifiche ragioni che qui di seguito si enunciano.
2. Si ritiene di riepilogare, per estrema sintesi, la vicenda processuale in esame, al fine di meglio verificare l’aspetto contenutistico del ricorso. Al P. è stato contestato il reato di cui all’art. 167 comma 2 del D. L.vo 30.6.2003 n. 196 ‘perché, al fine di trame per sé o per altri profitto, pubblicando su (omissis) del (omissis) , senza il consenso degli esercenti la potestà genitoriale, le generalità e le foto del minore Pa.Vi. , nonché le sole generalità del minore Pa.Br. , – coinvolti in un incidente stradale nel quale decedeva Pa.Vi. – procedeva al trattamento dei dati personali dei minori, fatto dal quale derivava nocumento’ [reato commesso in (omissis) ]. La Corte di Appello, nel riportare i passi più salienti dell’articolo pubblicato dall’imputato, evidenziava alcuni punti critici quali: a) una foto in prima pagina, di ampio formato, raffigurante il minore deceduto; b) il nominativo completo di prenome e patronimico; c) la didascalia sottostante ad altra foto effigiante il minore deceduto riportata in una pagina interna; d) l’età anagrafica (16 anni) della vittima; e) l’attività lavorativa del genitore del minore e l’indicazione dell’ubicazione dell’esercizio commerciale – una pescheria – di Pozzuoli, molto noto nel detto centro abitato; f) altra foto della vittima completa di didascalia figurante in altro articolo pubblicato il giorno 16 marzo, corredata di plurimi riferimenti al minore e di una indicazione del fratello – pur esso minore, rimasto coinvolto nell’incidente con l’enunciazione del solo nome di battesimo – Br. . Sulla base di tale messe di elementi la Corte distrettuale ha ritenuto integrata la fattispecie contestata.
3. Ciò premesso il ricorrente, senza contestare il fatto storico così come riportato dalla Corte di Appello, né i contenuti dei due articoli pubblicati, ha ritenuto che l’interpretazione normativa data dalla Corte territoriale non sia rispettosa delle prescrizioni contenute nel comma 2 dell’art. 167 citato che elenca una serie di condotte vietate richiamate negli artt. 17, 20, 21, 22 commi 8 e 11, 25, 26, 27 e 45), affermando che la condotta da lui tenuta ed allo stesso contestata, non rientra in nessuna delle ipotesi espressamente richiamate dalla norma speciale.
3.1 Quest’ultima, al comma 2, recita testualmente: ‘Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di trame per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 17, 20, 21, 22, commi 8 e 11, 25, 26, 27 e 45, è punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da uno a tre anni”.
4. Pare utile, a questo punto, fare cenno degli altri riferimenti normativi indispensabili ai fini di una esatta comprensione delle regole da osservare per la diffusione dei dati riguardanti soggetti minori.
5. Anzitutto occorre ricordare la norma quadro di cui all’art. 4 del detto D. L.vo che, al primo comma, indica i significati da attribuire ad alcune espressioni chiave contenute nel testo normativo. In particolare, per quel che rileva in questa sede, si prevede che ‘Ai fini del presente codice si intende per…..omissis…… b) dato personale, qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale; c) dati identificativi, i dati personali che permettono l’identificazione diretta dell’interessato; d) dati sensibili, i dati personali idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, filoso fiche o di altro genere, le opinioni politiche, l’adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale; e) dati giudiziari, i dati personali idonei a rivelare provvedimenti di cui all’articolo 3, comma 1, lettere da a) a o) e da r) a u), del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, o la qualità di imputato o di indagato ai sensi degli articoli 60 e 61 del codice di procedura penale;…..omissis…… m) ‘diffusione’, il dare conoscenza dei dati personali a soggetti indeterminati, in qualunque forma, anche mediante la loro messa a disposizione o consultazione;………..omissis…….. q) ‘Garante’, l’autorità di cui all’articolo 153, istituita dalla legge 31 dicembre 1996, n. 675”.
6. Il concetto di dati identificativi enunciato nella lettera e) dell’art. 4 porterebbe a ritenere che il legislatore abbia inteso riferirsi esclusivamente ai dati tradizionali anagrafici completi (nome, cognome, luogo e data di nascita completa; indirizzo, professione, fotografia), come si ricava dall’espressione ‘dati personali che permettono l’identificazione diretta dell’interessato’.
6.1 Ma anche a non volere seguire, stante il tipo di ‘cautele’ osservate dall’imputato, la tesi della non coincidenza dei dati diffusi nell’articolo con la nozione di dati identificativi enunciata nel testo normativo, non vi alcun dubbio che la condotta contestata rientra certamente nella previsione normativa di cui alla lettera b) dell’art. 4 che fa riferimento, invece, alla nozione di dato personale, di portata ben più ampia. L’espressione adoperata nel testo di legge riferibile ai dati personali (‘qualunque informazione relativa a persona fisica, persona giuridica, ente od associazione, identificati o identificabili, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale’) lascia chiaramente intendere che, laddove vengano diffuse notizie o informazioni tali da consentire di risalire facilmente alla identità di una persona, senza il consenso dell’interessato, si ricadrà nell’ambito di previsione della lettera b), posto che la ratio legis presuppone l’intenzione a largo raggio del legislatore di offrire una copertura integrale alla riservatezza di una persona.
6.2 Se così è, risulta evidente che l’avere il giornalista indicato nell’articolo del 15 marzo 2006 il nome, il cognome, l’età anagrafica (16 anni) e la foto del minore deceduto; quella del di lui fratello (indicato come ‘il fratello più piccolo di Vi. , Br. ‘); l’attività commerciale svolta dal genitore e la relativa ubicazione del negozio di pescheria e, nell’articolo del giorno successivo, ancora una volta la foto della vittima ed il nominativo del fratello minore (‘indicato con il solo prenome’ – così pag. 2 della sentenza), ha comportato una diffusione di dati imponente, tale da rendere facilmente identificabile il minore.
6.3 È vero che nell’articolo non risultano riportate le generalità complete o l’indicazione del giorno mese ed anno di nascita o l’indicazione della abitazione: ma si tratta di ‘cautele’ che, solo in apparenza, sembrerebbero rispettare la prescrizione di legge. Invero, tenuto conto della messe di elementi in grado di orientare immediatamente il lettore sulla identità del minore deceduto nell’incidente, appare corretta la conclusione della Corte distrettuale di ritenere integrata, sotto l’aspetto oggettivo, la fattispecie contestata. In questo senso si è, del resto, orientata la giurisprudenza civile di questa Corte Suprema affermando che ‘L’immagine di una persona, pur possedendo capacità identificativa del soggetto, quando viene trattata non integra automaticamente la nozione di dato personale, agli effetti del d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, ma lo diviene qualora chi esegue il trattamento la correli espressamente ad una persona mediante didascalia od altra modalità, quale un’enunciazione orale, da cui sia possibile identificarla, restando invece irrilevante, in mancanza di tali indicazioni, la circostanza che chi percepisce l’immagine sia in grado, per le sue conoscenze personali, di riconoscere la persona ritratta”. (Fattispecie relativa a trasmissione con il mezzo televisivo dell’immagine di una persona non nota al pubblico, senza l’indicazione dei dati personali identificativi). (Sez. 3^ civ. Ord. 5.6.2009 n. 12997, Rv. 608520).
6.4 Sostiene il ricorrente che nel caso in esame la Corte non avrebbe tenuto conto del corretto esercizio del diritto di cronaca (oltre che di critica) in termini di aperta e dura censura verso le istituzioni pubbliche e private, necessitata dalla esigenza di segnalare la persistente inerzia delle istituzioni pubbliche nella mancata soluzione del problema viario alla radice dei tanti sinistri (mortali e non) verificatisi in quel tratto di strada in cui aveva trovato la morte, da ultimo, il minore Pa.Vi. . Riservando al prosieguo l’esame in ordine alla fondatezza delle ragioni e finalità che – a detta del ricorrente – avrebbero ispirato la sua azione, occorre soffermarsi sulle modalità di diffusione dei dati, onde verificare se i limiti connaturati al diritto di cronaca siano stati, nel caso in esame, effettivamente rispettati.
6.5 Muovendo dalla considerazione che si tratta di dati personali diversi da quelli c.d. ‘sensibili’ (lett. d) dell’art. 4 cit. e da quelli ‘giudiziari’ (lett. e) del medesimo art. 4, può darsi per certo che la loro diffusione – come esattamente ricordato dalla Corte distrettuale – sarebbe dovuta avvenire con l’osservanza delle modalità prescritte dall’art. 17 del suddetto D. L.vo il quale, al primo comma, dispone testualmente che ‘il trattamento dei dati diversi da quelli sensibili e giudiziari che presenta rischi specifici per i diritti e le libertà fondamentali, nonché per la dignità dell’interessato, in relazione alla natura dei dati o alle modalità del trattamento o agli effetti che può determinare, è ammesso nel rispetto di misure ed accorgimenti a garanzia dell’interessato, ove prescritti’.
6.6 È evidente il senso di tale disposizione che detta regole specifiche da osservare per la diffusione dei dati personali. Trattasi, peraltro, di disposizione che non rientra nelle ipotesi di esclusione previste per l’esercizio delle attività giornalistiche al comma 1 dell’art. 137 D. L.vo in discorso, il quale testualmente recita: ‘Ai trattamenti indicati nell’articolo 136 non si applicano le disposizioni del presente codice relative: a) all’autorizzazione del Garante prevista dall’articolo 26; b) alle garanzie previste dall’articolo 27 per i dati giudiziari; c) al trasferimento dei dati all’estero, contenute nel Titolo VII della Parte I’.
6.7 Ne consegue che il trattamento di dati personali come intesi nell’art. 4 del D. L.vo in parola riguardanti persone minori, comporta l’applicazione dell’art. 7 del codice deontologico per i giornalisti relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio di detta attività: tale norma, in particolare, intitolata ‘Tutela del minore’ dispone: ‘1. Al fine di tutelarne la personalità, il giornalista non pubblica i nomi dei minori coinvolti in fatti di cronaca, né fornisce particolari in grado di condurre alla loro identificazione. 2. La tutela della personalità del minore si estende, tenuto conto della qualità della notizia e delle sue componenti, ai fatti che non siano specificamente reati. 3. Il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca; qualora, tuttavia, per motivi di rilevante interesse pubblico e fermo restando i limiti di legge, il giornalista decida di diffondere notizie o immagini riguardanti minori, dovrà farsi carico della responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell’interesse oggettivo del minore, secondo i principi e i limiti stabiliti dalla Carta di Treviso’.
6.8 Le norme sulla tutela della riservatezza introdotte dal D. L.vo 196/03 dedicano uno spazio ben preciso al trattamento dei dati effettuato dai giornalisti (e dai soggetti a tale fine equiparati) negli artt. 136, 137, 138 e 139. In particolare la formula legislativa contenuta nell’art. 137 citato conferma che, in tanto il giornalista potrà andare esente dal consenso dell’interessato, in quanto il trattamento, oltre che essere effettuato per il perseguimento delle finalità giornalistiche, sia rispettoso dei limiti del diritto di cronaca e soprattutto di quello della essenzialità dell’informazione. In questo senso si è espressa, come ricordato nella sentenza impugnata, la giurisprudenza di questa Corte Suprema affermandosi in particolare che ‘In tema di tutela della riservatezza, l’esonero (art. 137 D.Lgs. n. 196 del 2003), per il trattamento dei dati sensibili nell’esercizio della professione di giornalista, dall’autorizzazione del Garante e dal consenso dell’interessato, non può prescindere dal rispetto, oltre che del diritto di cronaca e dell’essenzialità dell’informazione, anche dei principi stabiliti dal codice deontologico delle attività giornalistiche, cui deve riconoscersi natura di fonte normativa’. (Sez. 3A 5.3.2008 n. 16145, P.C. in proc. Amorosi e altro, Rv. 239897).
6.9 Tale norma si pone in continuità normativa con l’art. 35 comma 3 della L. 675/96 che sanzionava penalmente la condotta di illecito trattamento dei dati senza il consenso dell’interessato, stante l’identità sia dell’elemento soggettivo (caratterizzato dal dolo specifico della finalità di profitto proprio o altrui), sia degli elementi oggettivi, posto che le condotte già incriminate di ‘comunicazione’ o ‘diffusione’ dei dati sensibili sono ora ricomprese nella una condotta più ampia di ‘trattamento dei dati personali’ e che il ‘nocumento’ per la persona offesa, che si configurava nella fattispecie previgente come circostanza aggravante, oggi è strutturato in termini di condizione obiettiva di punibilità, (vds. oltre a Sez. 3^ n. 16145/08 cit. anche Sez. 5^ 28.9.2011 n. 44940, C. e altro, Rv. 251448; Sez. 3^ 9.10.2008, n. 38406, Fallarli Rv. 241381; idem 1.7.2O04, n. 28680, Modena, Rv. 226495).
7. Sotto altro profilo, e sempre con riferimento alla attività giornalistica, a detta del ricorrente, ingiustificatamente ed illogicamente compressa, va segnalata ancora una volta la decisione di questa Suprema Corte n. 16145/08 nei punti in cui affronta funditus il problema della natura della fonte normativa secondaria rappresentata dal codice deontologico e dei contenuti della direttiva Europea.
7.1 Si tratta di affermazioni che questo Collegio condivide e che vanno ribadite, precisandosi, quanto al primo dei profili accennati, che costituisce jus receptum, dopo varie oscillazioni giurisprudenziali, quello secondo cui ‘nell’ambito della violazione di legge va compresa anche la violazione delle norme dei codici deontologici degli ordini professionali, trattandosi di norme giuridiche obbligatorie valevoli per gli iscritti all’albo, che integrano il diritto oggettivo ai fini della configurazione dell’illecito disciplinare’. Al codice deontologico va quindi ormai pacificamente riconosciuta valenza normativa ed integrativa di clausole generali, con la conseguenza che le norme in esso contenute vanno considerate vere e proprie norme di diritto aventi una funzione vincolante non solo per il singolo professionista, ma per lo stesso ordine professionale (vds. per tali concetti Sez. Un. Civ. 20.12.2007 n. 26810, Rv. 601011, nonché la giurisprudenza citata nella decisione n. 16145/08).
7.2 Mentre con riferimento al secondo profilo in esame concernente la direttiva n. 95/46CE del Parlamento Europeo e del Consiglio di Europa del 24.10.1995 relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, è stato incisivamente sottolineato che, ai fini della non rilevanza penale del trattamento dei dati, non basta che il giornalista persegua le finalità della sua professione (come invece si sostiene nel ricorso), costituendo parametri inderogabili, nel trattamento dei dati sensibili, anche il rispetto del diritto di cronaca, e segnatamente, quello della essenzialità dell’informazione (Sez. 3^ n. 16145/08 cit.).
7.3 Da quanto sopra deriva quindi che l’esercizio dell’attività giornalistica – laddove si tratti della diffusione di notizie o dati concernenti minori – debba sempre avvenire nel rispetto di determinati limiti e, segnatamente, in quello della essenzialità della informazione, la cui valutazione è affidata all’apprezzamento del giudice di merito censurabile soltanto ove lo stesso sia affetto da vizi logici manifesti o contraddittorietà o carenza di motivazione.
7.4 Numerose, in questo senso le pronunce rese dalle Sezioni Civili di questa Corte Suprema che, non solo hanno richiamato costantemente il concetto della essenzialità della informazione, ma che hanno anche indicato i criteri da seguire ed i limiti da osservare nella pubblicazione dei dati personali concernenti minori. Degna di particolare nota, in proposito, Sez. 3^ civ. 12.10.2012 n. 17408, Rv. 624082, secondo la quale ‘al giornalista è consentito divulgare dati sensibili senza il consenso del titolare né l’autorizzazione del Garante per la tutela dei dati personali, a condizione che la divulgazione sia essenziale ai sensi dell’art. 6 del codice deontologico dei giornalisti (approvato con provvedimento del Garante per la tutela dei dati personali del 29 luglio 1998, tuttora vigente), e cioè indispensabile in considerazione dell’originalità del fatto o dei modi in cui è avvenuto. La valutazione della sussistenza di tale requisito costituisce accertamento in fatto, che il giudice di merito deve compiere caso per caso, indicando analiticamente le ragioni per le quali ritiene che sussista o meno il suddetto requisito dell’essenzialità’.
7.5 Può dunque concludersi che, per effetto di quanto previsto dall’art. 137 cit., la diffusione o la comunicazione dei dati per finalità giornalistiche può essere effettuata anche senza il consenso dell’interessato previsto dagli artt. 23 e 26, restando tuttavia fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti di cui all’art. 2 e, in particolare, quello dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. Come già esposto, tale formula ricalca il previgente testo dell’art. 20 della L. 675/96, ove era previsto che ‘la comunicazione e la diffusione dei dati personali da parte di privati e di enti pubblici economici sono ammesse, senza il consenso espresso dell’interessato;… d) nell’esercizio della professione di giornalista e per l’esclusivo perseguimento delle relative finalità, nei limiti al diritto di cronaca posti a tutela della riservatezza ed in particolare dell’essenzialità dell’informazione riguardo a fatti di interesse pubblico e nel rispetto del codice di deontologia di cui all’art. 25’.
7.6 Anche in questo caso la decisione della Corte territoriale è in linea con il precetto normativo e l’interpretazione data dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, essendosi affermato che la pubblicazione della fotografia del minore con tanto di didascalia; del nome e cognome; dei componenti il suo nucleo familiare è ‘del tutto disomogenea in relazione all’esercizio del diritto di cronaca risultando queste assolutamente sovrabbondanti rispetto al fatto storico costituito dall’incidente stradale, dalla dinamica di esso, dal luogo in cui esso era avvenuto e dal dato storico costituito dal fatto che nello stesso tratto di strada si erano verificati altri incidenti mortali probabilmente da farsi risalire ai non affrontati problemi di sicurezza stradale’ (pag. 3 della sentenza impugnata). Prosegue la Corte partenopea, affermando che si tratta di ‘temi tutti in relazione ai quali la conoscenza da parte dei lettori dei dati personali e della immagine della vittima appaiono del tutto privi di rilievo, non fornendo siffatte notizie alcun apporto conoscitivo in grado di diversamente orientare l’opinione dei lettori in ordine a ciascuno di essi’ (pag. 3 cit.)
8. Secondo la tesi del ricorrente il senso dell’articolo e soprattutto, la diffusione dei dati inerenti al minore ed al suo nucleo familiare, lungi dal mirare ad un profitto personale (elemento che la Corte partenopea ha ravvisato sussistere ritenendo la pubblicazione un espediente attraverso il quale incrementare, sfruttando la potenziale curiosità dei lettori e la diffusività limitata del giornale, le vendite di esso – vds. pag. 4 della sentenza impugnata), voleva costituire ‘l’unico sistema per smuovere le coscienze e richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica a una mobilitazione urgente e improcrastinabile pena il verificarsi di ulteriori tragedie’ (vds. pagg. 2-3 del ricorso).
8.1 Si tratta di una tesi non condivisibile, non foss’altro perché è lo stesso ricorrente a riconoscere che la sua denuncia dai toni forti era costretta a sacrificare sia pure parzialmente – ma per un ottima causa – i diritti della famiglia colpita dalla tragedia (pag. 2 cit.), dando quindi per scontato il superamento dei limiti imposti dall’art. 17 del D. L.vo citato e soprattutto dall’art. 7 del Codice deontologico.
8.2 Ma, indipendentemente da tale rilievo, non è accettabile dal punto di vista logico che una denuncia dai toni forti dovesse necessariamente presupporre la veicolazione di dati riguardanti la vittima ed il proprio nucleo familiare, in quanto a dare voce alla stigmatizzazione delle inerzie istituzionali ed alla coscienza della collettività, sarebbe stato ben più adatto un articolo che mettesse in evidenza le colpevoli omissioni – ove esistenti – degli organismi preposti alla vigilanza delle strade ed alla gestione della sicurezza della circolazione, usando, nei limiti del lecito, toni duri e frasi forti, senza alcuna necessità di ricorrere ad immagini e dati eccedenti tali scopi.
8.3 Seppure non possa contestarsi – e la decisione della Corte di Appello di mitigare la pena attraverso la concessione della circostanza di cui all’art. 62 n. 1 costituisce la riprova che il P. intendeva perseguire comunque un intento lodevole volto a sensibilizzare l’opinione pubblica – che implicitamente è stata riconosciuta la sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza del fatto divulgato, non può non ribadirsi che nei termini in cui la notizia è stata diffusa, essa non aveva alcuna utilità per scopi informativi, risultando superato il limite di contemperamento tra la necessità del diritto di cronaca e la tutela della riservatezza del minore.
8.4 Come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte ‘il sacrificio della riservatezza trova giustificazione soltanto nell’ambito della essenzialità della condotta ricollegantesi al diritto-dovere di informazione, secondo una nozione che va inquadrata nel generale parametro della continenza, individuato dalla giurisprudenza anche costituzionale quale argine del legittimo esercizio del diritto di cronaca. Detta continenza significa moderazione, proporzione e misura in relazione alle modalità espositive della notizia e trova i suoi parametri di riferimento in regole di costume e nella deontologia del giornalista’ (Sez. 3A 17.2.2011 n. 17215, L, Rv. 249991).
8.5 Si tratta di affermazioni che questo Collegio condivide integralmente, sottolineandosi come, nel raffronto tra i diritti del minore ed il diritto di cronaca e di critica debba comunque prevalere, per espresso dettato legislativo l’interesse oggettivo del minore alla riservatezza, dovendosi piegare i motivi di rilevante interesse pubblico giustificanti la diffusione di dati all’osservanza di determinati limiti normativi e dovendosi rimettere alla senso di responsabilità del giornalista la valutazione dell’interesse oggettivo del minore a che la notizia o i dati che lo possano riguardare debbano essere pubblicati, così come imposto dall’art. 7 comma 3 del codice deontologico.
8.6 Dunque non solo travalicamento dei limiti della essenzialità e continenza, ma anche mancato rispetto della tutela del prioritario diritto di riservatezza del minore.
9. Si afferma, poi, nel ricorso che da parte della Corte di Appello sarebbe stato erroneamente valutato l’aspetto del profitto in realtà insussistente visto l’intento ‘nobile’ perseguito dal ricorrente e che il riconoscimento dell’attenuante comune si pone in antitesi con la teoria della Corte della limitazione del diritto di cronaca.
9.1 Sull’elemento soggettivo del reato la valutazione della Corte appare coerente con la premessa della non essenzialità delle informazioni dalla quale è correttamente partito il giudice di appello: una volta chiarita la portata del superamento dei limiti della continenza e della essenzialità della notizia, è del tutto logica la conclusione della Corte territoriale che le modalità seguite dal P. nella pubblicazione potevano costituire un espediente per incrementare, sia pure di riflesso, le vendite del giornale. E tanto basta per ritenere integrato l’aspetto soggettivo del reato caratterizzato dal dolo specifico.
9.2 La Corte, peraltro, mostrando di analizzare a tutto campo la condotta incriminata, si è anche soffermata sul profilo del nocumento, costituente, come già esplicitato, condizione obiettiva di punibilità: anche su tale punto la decisione impugnata va condivisa in quanto, come già chiarito dalla menzionata decisione n. 17215/11, il nocumento, previsto dall’art. 167 del D. L.vo in parola ‘non è esclusivamente riferibile a quello derivato alla persona fisica o giuridica alla quale si riferiscono i dati illecitamente trattati, ma – in carenza di un’esplicita indicazione normativa – anche a quello causato a soggetti terzi quale conseguenza dell’illecito trattamento dei dati’. Conclusivamente il primo motivo va disatteso con rigetto del ricorso sul punto.
10. È fondato, di contro il secondo motivo basato sulla mancata enunciazione nel dispositivo della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, menzionato espressamente nella parte motiva della sentenza.
10.1 Come ripetutamente affermato da questa Corte Suprema, con orientamento pressoché consolidato, nel caso in cui il contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza dipenda da un errore materiale relativo all’indicazione della pena nel dispositivo, e dall’esame della motivazione sia chiaramente ricostruibile il procedimento seguito dal giudice per determinare la pena, la motivazione prevale sul dispositivo con la conseguente possibilità di rettifica dell’errore secondo la procedura prevista dall’art. 619 cod. proc. pen. (Sez. 6^ 8.2.2011 n. 8916, P., Rv. 249654; Sez. 3^ 20.2.2013 n. 19462, Dong, Rv. 255478; Sez. 1^ 4.12.2012 n. 4035, Mancini, Rv. 254218).
10.2 Nel caso in esame il complessivo impianto motivazionale autorizza a ritenere che l’omissione della sospensione condizionale della pena sia frutto di un mero refuso emendabile attraverso il procedimento di rettifica ex art. 619 cod. proc. pen..

 P.Q.M.

 Rettifica il dispositivo della sentenza impugnata con l’aggiunta dell’espressione ‘Dispone la sospensione condizionale della pena’.
Rigetta, nel resto, il ricorso.

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