Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 17 marzo 2015, n. 11283

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:

  • (OMISSIS), n. (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del Tribunale della liberta’ di CATANIA in data 24/04/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CANEVELLI Paolo, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. (OMISSIS), che ha chiesto accogliersi il ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 24/04/2014, depositata in data 23/07/2014, il tribunale della liberta’ di CATANIA accoglieva parzialmente – in particolare escludendo l’aggravante di cui all’articolo 80, Testo Unico Stup. contestata al capo a) – l’istanza di riesame presentata nell’interesse di (OMISSIS) avverso l’ordinanza 25/03/2014 con cui il GIP del tribunale di CATANIA applicava nei confronti del medesimo la misura cautelare della custodia in carcere, in quanto gravemente indiziato del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74, comma 1 e 2, (capo a) nonche’ del delitto di cui agli articoli 81 e 110 c.p., e articolo 73, commi 1, 4 e 6, Testo Unico Stup. (capo b), secondo le modalita’ esecutive e spazio temporali meglio descritte nei capi dell’imputazione cautelare (fatti commessi dal giugno 2011 ad oggi).
2. Ha proposto ricorso (OMISSIS), a mezzo del difensore fiduciario cassazionista Avv. (OMISSIS), impugnando la predetta ordinanza e deducendo quattro motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b), per erronea applicazione dell’articolo 74 Testo Unico Stup. e dell’articolo 378 c.p., nonche’ per violazione dell’articolo 273 c.p.p..
In sintesi, la censura investe l’ordinanza impugnata per l’errata qualificazione del fatto-reato da parte del tribunale, che ha ritenuto che gli indizi tendenti a ritenere integrata la cessione di un unico quantitativo di sostanza stupefacente prima pretesamente detenuto dal (OMISSIS) (padre del ricorrente) dovesse configurarsi come elemento di intraneita’ alla presunta associazione e non come favoreggiamento personale o concorso nella detenzione dello stupefacente, come sostenuto dalla difesa; il tribunale, si precisa in ricorso, avrebbe respinto la tesi difensiva del favoreggiamento personale sostenendo che “nei reati permanenti qualunque agevolazione del colpevole, posta in essere prima che la condotta di questi sia cessata (e ben puo’ dirsi che (OMISSIS) continuava anche da detenuto a mantenere la disponibilita’ della sostanza stupefacente) si risolve….in un concorso nel reato, quantomeno a carattere morale”; diversamente, si sostiene in ricorso, l’arresto del detentore dallo stupefacente ne fa cessare immediatamente la disponibilita’, atteso che – nel caso in esame – la sfera di custodia in capo al (OMISSIS), padre del ricorrente, sarebbe cessata nel momento stesso del suo arresto, soprattutto perche’ lo stupefacente prima detenuto era occultato in un posto che altri conoscevano, non potendo piu’ dunque il padre determinarne le modalita’ di occultamento (a sostegno di tale assunto, si riporta anche un passo di un’intercettazione in cui il figlio afferma che il padre non saprebbe dove lo stupefacente e’ nascosto); alla luce di quanto sopra, pertanto, venendo meno la disponibilita’ dello stupefacente in capo al padre del ricorrente, non sarebbe piu’ inquadrabile giuridicamente la condotta del figlio nel delitto associativo, configurandosi invece l’articolo 378 c.p., essendo infatti incompatibile con un giudizio di intraneita’ del ricorrente all’associazione; in particolare, non sarebbe possibile attribuire al ricorrente il ruolo di partecipe venendo meno la realizzazione della condizione necessaria rappresentata dal concorso in uno dei reati fine dell’associazione, donde la necessita’ di una diversa qualificazione come favoreggiamento personale o come concorso nella detenzione.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera e), sub specie per mancanza di motivazione sul carattere episodico della condotta prospettato dalla difesa in sede di riesame.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza per non aver fornito adeguata motivazione rispetto alle doglianze difensive poste in sede di riesame nelle quali venivano sollevati dubbi in ordine alla possibilita’ di integrazione della fattispecie associativa; la difesa aveva sollevato in sede di riesame censure su tale questione, evidenziando il carattere episodico della vicenda, scansionata in un arco temporale di tre mesi, che avrebbe riguardato sempre la necessita’ di disfarsi di una singola partita di droga; il tribunale avrebbe, invece, valorizzato alcune intercettazioni che confermerebbero l’ipotesi associativa, laddove dalla loro lettura emergerebbe l’interesse a disfarsi dello stupefacente; l’ordinanza nulla direbbe sul rilievo mosso, non spiegando perche’ il tentativo di liberarsi di una singola partita di droga sia idoneo ad integrare l’ipotesi associativa ne’ come sia spiegabile la circostanza – dedotta dalla difesa – per la quale l’inattivita’ del presunto sodalizio per oltre tre anni dopo il sequestro dello stupefacente fosse indice rivelatore dell’unicita’ della condotta ne’ come si sia arrivati ritenere come stabile l’organizzazione criminosa.
2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera e), sub specie per mancanza di motivazione sulla partecipazione del ricorrente al sodalizio criminale.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza per non aver motivato circa la presunta partecipazione del ricorrente al sodalizio, a fronte dell’unicita’ ed episodicita’ dell’attivita’ posta in essere dal ricorrente; l’apporto del ricorrente rispetto alla detenzione dello stupefacente sarebbe del tutto marginale, al punto tale da considerarsi ininfluente, non conoscendo questi il nascondiglio dello stupefacente ed essendo preoccupato solo di aiutare il padre nella difficile attivita’ di eliminazione delle tracce di un reato, elementi, questi, pero’ insufficienti per poterlo qualificare come associato; l’adesione ad un’associazione criminosa, sostiene il ricorrente, in tanto puo’ dirsi provata in quanto nega dimostrata e spiegata la consapevolezza e la volonta’ di ciascun associato di far parte di tale sodalizio, partecipando con un contributo causale alla realizzazione del programma criminoso.
2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), sub specie per motivazione apparente sul pericolo di reiterazione del reato ex articolo 274 c.p.p., lettera c), nonche’ per l’erronea applicazione dell’articolo 275 c.p.p., comma 3, e correlato vizio di mancanza di motivazione.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza per aver ritenuto sussistere il pericolo di recidiva nel reato, nonostante la natura “puntuale” e non continuativa dell’evento considerato alla base del procedimento in corso; in altri termini, trattandosi di un evento unico, consistente nella detenzione di un quantitativo di stupefacente assolutamente determinato, non sussisterebbe alcun pericolo di reiterazione del reato; i giudici non avrebbero tenuto della condotta del ricorrente successiva al reato, ne’ avrebbero tenuto conto dello stato di incensuratezza; la motivazione dell’ordinanza, poi, si rivelerebbe viziata anche sul punto dell’esclusiva adeguatezza della misura carceraria ex articolo 275 c.p.p., comma 3, nona vendo motivato la ragione per la quale i richiesti arresti domiciliari con applicazione del c.d. braccialetto elettronico, non fossero adeguati a salvaguardare detta esigenza cautelare, a fronte del decorso del tempo, della condotta del ricorrente successiva al reato e della volonta’ di quest’ultimo di sottoporsi alla misura del braccialetto elettronico.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso e’ manifestamente infondato e dev’essere pertanto dichiarato inammissibile.
4. Deve premettersi che le valutazioni compiute dal giudice ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale devono essere fondate, secondo le linee direttive della Costituzione, con il massimo di prudenza su un incisivo giudizio prognostico di “elevata probabilita’ di colpevolezza”, tanto lontano da una sommaria delibazione e tanto prossimo a un giudizio di colpevolezza, sia pure presuntivo, poiche’ di tipo “statico” e condotto, allo stato degli atti, sui soli elementi gia’ acquisiti dal pubblico ministero, e non su prove, ma su indizi (Corte Cost., sent. n. 121 del 2009, ord. n. 314 del 1996, sent. n. 131 del 1996, sent. n. 71 del 1996, sent. n. 432 del 1995).
La specifica valutazione prevista in merito all’elevata valenza indiziante degli elementi a carico dell’accusato, che devono tradursi in un giudizio probabilistico di segno positivo in ordine alla sua colpevolezza, mira, infatti, a offrire maggiori garanzie per la liberta’ personale e a sottolineare l’eccezionalita’ delle misure restrittive della stessa.
Il contenuto del giudizio da farsi da parte del giudice della cautela e’ evidenziato anche dagli adempimenti previsti per l’adozione dell’ordinanza cautelare.
L’articolo 292 c.p.p., come modificato dalla Legge n. 332 del 1995, prevedendo per detta ordinanza uno schema di motivazione vicino a quello prescritto per la sentenza di merito dall’articolo 546 c.p.p., comma 1, lettera e), impone, invero, al giudice della cautela sia di esporre gli indizi che giustificano in concreto la misura disposta, di indicare gli elementi di fatto da cui sono desunti e di giustificare l’esito positivo della valutazione compiuta sugli stessi elementi a carico, sia di esporre le ragioni per le quali ritiene non rilevanti i dati conoscitivi forniti dalla difesa, e comunque a favore dell’accusato (comma 2, lettera c) e e bis).
4.1. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, in tema di misure cautelari personali, per gravi indizi di colpevolezza devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che – contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova – non valgono di per se’ a dimostrare, oltre ogni dubbio, la responsabilita’ dell’indagato e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso la futura acquisizione di ulteriori elementi, saranno idonei a dimostrare tale responsabilita’, fondando nel frattempo una qualificata probabilita’ di colpevolezza (Sez. U, n. 11 del 21/04/1995, dep. 01/08/1995, Costantino e altro, Rv. 202002, e, tra le successive conformi, Sez. 2, n. 3777 del 10/09/1995, dep. 22/11/1995, Tomasello, Rv. 203118; Sez. 6, n. 863 del 10/03/1999, dep. 15/04/1999, Capriati e altro, Rv. 212998; Sez. 6, n. 2641 del 07/06/2000, dep. 03/07/2000, Dascola, Rv. 217541; Sez. 2, n. 5043 del 15/01/2004, dep. 09/02/2004, Acanfora, Rv. 227511).
A norma dell’articolo 273 c.p.p., comma 1 bis, nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza per l’adozione di una misura cautelare personale si applicano, tra le altre, le disposizioni contenute nell’articolo 192 e.p.p., commi 3 e 4, (Sez. F, n. 31992 del 28/08/2002, dep. 26/09/2002, Desogus, Rv. 222377; Sez. 1, n. 29403 del 24/04/2003, dep. 11/07/2003, Esposito, Rv. 226191; Sez. 6, n. 36767 del 04/06/2003, dep. 25/09/2003, Grasso Rv. 226799; Sez. 6, n. 45441 del 07/10/2004, dep. 24/11/2004, Fanara, Rv. 230755; Sez. 1, n. 19867 del 04/05/2005, dep. 25/05/2005, Cricchio, Rv. 232601).
Relativamente alle regole da seguire, questo Collegio ritiene che, alla stregua del condivisibile orientamento espresso da questa Corte, dell’articolo 273 c.p.p., comma 1 bis, nel delineare i confini del libero convincimento del giudice cautelare con il richiamo alle regole di valutazione di cui all’articolo 192 c.p.p., commi 3 e 4, pone un espresso limite legale alla valutazione dei “gravi indizi”.
4.2. Si e’, inoltre, osservato che, in tema di misure cautelari personali, quando sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimita’ e’ limitato, in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 2050 del 17/08/1996, dep. 24/10/1996, Marseglia, Rv. 206104; Sez. 6, n. 3529 del 12/11/1998, dep. 01/02/1999, Sabatini G., Rv. 212565; Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828; Sez. 2, n. 9532 del 22/01/2002, dep. 08/03/2002, Borragine e altri, Rv. 221001; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, Terranova, Rv. 237012), senza che possa integrare vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre, Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391; Sez. 1, n. 1496 del 11/03/1998, dep. 04/07/1998, Marrazzo, Rv. 211027; Sez. 1, n. 6972 del 07/12/1999, dep. 08/02/2000, Alberti, Rv. 215331). Il detto limite del sindacato di legittimita’ in ordine alla gravita’ degli indizi riguarda anche il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della cautela valutare “in concreto” la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998, Martorana, Rv. 210019).
Peraltro, secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, in tema di misure cautelari, “l’ordinanza del tribunale del riesame che conferma il provvedimento impositivo recepisce, in tutto o in parte, il contenuto di tale provvedimento, di tal che l’ordinanza cautelare e il provvedimento confermativo di essa si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze motivazionali di un provvedimento possono essere sanate con le argomentazioni addotte a sostegno dell’altro” (Sez. 2, n. 774 del 28/11/2007, dep. 09/01/2008, Beato, Rv. 238903; Sez. 6, n. 3678 del 17/11/1998, dep. 15/12/1998, Panebianco R., Rv. 212685).
5. Tanto premesso e’ quindi possibile affrontare i primi tre motivi di ricorso – che attesa l’omogeneita’ dei profili di doglianza, possono essere congiuntamente trattati -, con cui il ricorrente deduce violazione di legge e vizi motivazionali in ordine alla ritenuta configurabilita’, nel caso in esame, del delitto associativo di cui all’articolo 74, Testo Unico Stup., censurando, anzitutto, l’impugnata ordinanza per non aver ritenuto sussistente il reato di cui all’articolo 378 c.p., o la fattispecie di concorso nel delitto di cui all’articolo 73, t.u. stup.; si sostiene, in particolare, che l’arresto del padre del ricorrente avrebbe, di fatto, cessare la disponibilita’ dello stupefacente e, quindi, determinato il venir meno del delitto associativo.
La tesi, pur suggestiva, non ha pregio.
Ed infatti, premesso che in tema di reati concernenti gli stupefacenti, il termine “detenzione” non implica necessariamente un contatto fisico immediato tra il soggetto attivo e la sostanza, ma deve essere inteso nel senso di disponibilita’ di fatto della sostanza stupefacente, realizzata attraverso l’attrazione della stessa nell’ambito della propria sfera di custodia, anche in difetto dell’esercizio continuo e/o immediato di un potere manuale da parte del soggetto attivo (v., tra le tante: Sez. 3, n. 3114 del 21/11/2013 – dep. 23/01/2014, Gallo, Rv. 259095), e’ indubbio da quanto risulta dall’impugnata ordinanza che il ricorrente avesse la disponibilita’ di fatto dello stupefacente, come emerge in maniera inequivoca dai colloqui in carcere. Analizzando il percorso argomentativo dell’impugnata ordinanza, in particolare, si nota come a pag. 13 i giudici del riesame chiariscono perfettamente che era stato il padre a dire al figlio, attuale ricorrente, di riferire agli “albanesi” che il padre non sapeva dove lo stupefacente fosse nascosto (v., in particolare, il colloquio carcerario 6/10/2011), sicche’ era evidente che si trattava di uno stratagemma concertato tra padre e figlio, non certo espressione di una presunta mancanza di consapevolezza da parte di quest’ultimo del luogo ove lo stupefacente fosse detenuto.
Quanto, poi, alla partecipazione del ricorrente all’associazione, plurimi sono i riferimenti argomentativi sviluppati nell’ordinanza impugnata da cui risulta chiaro il ruolo assunto dal figlio del (OMISSIS) nel sodalizio. A tal proposito, si segnala quanto esposto alle pagg. 3/4 (in cui si dato atto che il ruolo del (OMISSIS) emerge successivamente all’arresto di (OMISSIS) e (OMISSIS), in data 10/06/2011, e quello del padre, (OMISSIS), in data 21/07/2011, quando proprio l’attuale ricorrente diviene tramite essenziale tra il padre e gli altri affiliati liberi, essendo il soggetto attraverso cui il padre (OMISSIS), in occasione dei colloqui carcerari, comunica le direttive in ordine alle attivita’ illecite da porre in essere, ricevendo dettagliati resoconti); nonche’, segnatamente, quanto emerge alla pag. 9 (con riferimento alla conversazione 10/06/2011 in cui il ricorrente esprimeva i suoi timori per la sorte del padre, all’evidenza ritenuta correlata a quella dei due coindagati (OMISSIS) e (OMISSIS) appena arrestati “capace che questa sera si portano a mio padre, allora”), alla pag. 11 (in particolare, riferendosi ad una conversazione registrata all’interno della casa circondariale di (OMISSIS) nell’agosto 2011 in cui il padre raccomanda al figlio, attuale ricorrente, di non recarsi ad un appuntamento e di cedere l’intera partita di stupefacente ancora nella disponibilita’ dell’associazione), alla pag. 15 (con particolare riferimento alla conversazione intercorsa il 23/08/2011, il cui contenuto, ad avviso dei giudici del riesame, conforterebbe la conclusione per cui il ruolo rivestito dal figlio non fosse circoscritto ad una forma di agevolazione del padre, sussumibile nella fattispecie di cui all’articolo 378 c.p., atteso che in tale conversazione il detenuto (OMISSIS), (OMISSIS), parlando con la moglie (OMISSIS), la invita a contattare il figlio del vecchio, ossia l’attuale ricorrente, per presentarlo ad alcuni soggetti, anche di nazionalita’ albanese, per raccordarsi evidentemente sulla gestione del sodalizio dopo gli arresti del padre (OMISSIS), del medesimo (OMISSIS) e dell’altro complice (OMISSIS)).
I giudici etnei, peraltro, si preoccupano anche di confutare la tesi difensiva in ordine alla ritenuta insussistenza degli elementi indiziari circa la configurabilita’ del reato associativo, in particolare (v. pag. 16 dell’impugnata ordinanza) chiarendo come soprattutto le intercettazioni dei colloqui carcerari lasciano emergere continue direttive impartite dal (OMISSIS) “padre” agli altri associati per tramite del figlio, attuale ricorrente, e del nipote (OMISSIS), ovviamente riguardanti la partita di droga occultata nell’azienda vivaistica del (OMISSIS), ma che non mancano di afferire al recupero di denaro, alla necessita’ che questo affluisse al (OMISSIS), ai rapporti con gli albanesi e con gli “sciclitani”, donde non solo non appariva condivisibile ai giudici etnei, da un lato, la tesi difensiva secondo cui la condotta ascrivibile al padre del ricorrente fosse limitata ad un unico episodio ci compravendita di stupefacente, ma anche, e soprattutto, per quanto qui di interesse, dall’altro, che l’apporto dell’attuale ricorrente fosse riconducibile ad un’ipotesi di favoreggiamento personale, tenuto conto della materialita’ delle condotte da quest’ultimo tenute, di certo non circoscritte all’intento di aiutare il padre ad eludere le investigazioni dell’Autorita’ ovvero ad assicurare il prodotto o il profitto del reato; analogamente, non appariva condivisibile, per converso, la sussistenza di una semplice ipotesi di concorso nel reato Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, ex articolo 73, avendo infatti il ricorrente partecipato con il fungere “da tramite” tra il padre detenuto e gli associati, ruolo correlato alla necessita’ del mantenimento dei contatti tra il primo e gli altri affiliati ( (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS)), ma non solo, come emerge dal colloquio carcerario tra il (OMISSIS) e la moglie che vede individuare il (OMISSIS) quale interlocutore privilegiato.
6. Conclusivamente, le osservazioni difensive di cui al ricorso – le quali mirano a censurare la valutazione del tribunale del riesame che non avrebbe motivato adeguatamente in ordine alla consistenza della gravita’ indiziaria quanto all’esistenza del sodalizio e al ruolo assunto dal (OMISSIS), -, in realta’ prospettano una diversa e, per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini, fornendo una personale esegesi fondata, esemplificativamente, anche su un’interpretazione piu’ favorevole del significato delle conversazioni intercettate diversa da quella proposta dal giudice di merito, possibilita’ questa senza alcun dubbio concessa in sede di legittimita’, ma solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformita’ risulti decisiva ed incontestabile, circostanza non rilevabile nel caso in esame (v., ad es.: Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012 – dep. 22/03/2012, Asaro, Rv. 252190). In conclusione, dal provvedimento del tribunale del riesame emerge l’adeguatezza e congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, con conseguente manifesta infondatezza del ricorso.
7. Ad analoga soluzione, infine, deve pervenirsi quanto al quarto motivo di ricorso, con cui il ricorrente svolge considerazioni riguardanti la sussistenza delle esigenze cautelari ed il giudizio di adeguatezza in ordine alla misura cautelare applicata. In sintesi, come anticipato in sede di illustrazione del motivo, secondo il ricorrente non vi sarebbe alcun pericolo di reiterazione del reato ne’ sarebbero stati valutati altri elementi (quali il decorso del tempo; la condotta susseguente al reato, la volonta’ di sottoporsi al controllo mediante il c.d. braccialetto elettronico).
Anche detti profili di censura sono privi di pregio.
Ed invero, sul punto l’ordinanza impugnata fornisce a pag. 19 una spiegazione congrua ed immune da vizi, osservando, quanto alle esigenze cautelari, che sia il decorso del tempo che l’incensuratezza dell’indagato apparivano recessivi rispetto alla descritta modalita’ delle condotte criminose, tenuto conto del ruolo di “tramite” tra il padre detenuto e gli altri associati assunto dal ricorrente, del quantitativo di stupefacente oggetto del traffico e della complessita’ dell’organizzazione a tale scopo costituita, elementi, questi, valutati dai giudici della cautela per ritenere sussistente il pericolo concreto ed attuale di recidiva, ossia il pericolo che se rimesso in liberta’ o sottoposto a misura meno afflittiva il ricorrente possa tornare a delinquere, ponendo in essere condotte di spaccio o detenzione di stupefacenti. Del resto, si osserva, in tema di misure coercitive, ai fini della configurabilita’ della esigenza cautelare del pericolo di reiterazione criminosa di cui all’articolo 274 c.p.p., lettera c), gli elementi apprezzabili possono essere tratti anche dalle specifiche modalita’ e circostanze del fatto, considerate nella loro obiettivita’, giacche’ la valutazione negativa della personalita’ dell’indagato puo’ desumersi dagli elementi tutti di cui all’articolo 133 cod.pen. e la condotta tenuta in occasione del reato costituisce un elemento specifico significativo per valutare la personalita’ dell’agente (Sez. 4, n. 11179 del 19/01/2005 – dep. 22/03/2005, Miranda ed altri, Rv. 231583), come avvenuto nel caso di specie.
Quanto, poi, alla adeguatezza della misura applicata, i giudici etnei sottolineano come non emergano dagli atti del procedimento elementi specifici in relazione al caso concreto da cui risulti che la pregnante esigenza cautelare di reiterazione di condotte della stessa indole di quelle per cui si procede possa essere adeguatamente soddisfatta con misure meno afflittive di quella inframuraria, non essendo stata fornita peraltro alcuna allegazione che consentisse di superare la presunzione relative prevista dall’articolo 275 c.p.p., comma 3, per il delitto associativo contestato, sicche’, pur tenuto conto di quanto statuito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 231 del 2011, e’ stata ritenuta proporzionata all’entita’ dei fatti ed adeguata a salvaguardare la segnalata esigenza cautelare, la misura custodiale detentiva carceraria.
Trattasi di motivazione, anche su tale profilo del tutto coerente ed immune da vizi logico – argomentativi, che si sottrae in quanto tale ad ogni censura. Del resto, va qui ancora una volta sottolineato che i limiti della cognizione della Corte di Cassazione, anche in relazione ai provvedimenti riguardanti l’applicazione di misure cautelari, sono individuabili nell’ambito della specifica precisione normativa contenuta nell’articolo 606 c.p.p.. Ne consegue che, qualora venga denunciato il vizio di motivazione di un’ordinanza, tale vizio, per poter essere rilevato, deve assumere i connotati indicati nell’articolo 606, lettera e) -, e cioe’ riferirsi alla mancanza della motivazione o alla sua manifesta illogicita’ (Sez. U, n. 19 del 25/10/1994 – dep. 12/12/1994, De Lorenzo, Rv. 199391).
8. Il ricorso dev’essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in euro 1.000,00 (mille/00). Segue la comunicazione ex articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Dispone inoltre che copia del presente provvedimento sia trasmessa al Direttore dell’Istituto Penitenziario competente, a norma dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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