Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 13 febbraio 2014, n. 3355
Svolgimento del processo
1. A.T. , M. , A. , A. e Mi. convenivano in giudizio l’avvocato Z.L. davanti al Tribunale di Caltanissetta, chiedendo il risarcimento dei danni asseritamente patiti a causa di negligenze professionali del medesimo.
Il convenuto si costituiva chiedendo il rigetto della domanda e chiamando in garanzia due società di assicurazioni.
Il Tribunale rigettava la domanda, dichiarando compensate le spese di lite, mentre condannava l’avv. Z. al pagamento delle spese nei confronti delle due società di assicurazione.
2. La sentenza veniva appellata dagli A. in via principale e dall’avv. Z. in via incidentale e la Corte d’appello di Caltanissetta, con sentenza del 19 luglio 2007, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava interamente compensate le spese del giudizio di primo grado tra il professionista e le società di assicurazione, confermando nel resto l’impugnata sentenza.
Osservava la Corte territoriale, per quanto ancora di interesse in questa sede, che l’avv. Z. aveva difeso gli appellanti in due diversi giudizi, l’uno davanti alla Corte di cassazione e l’altro davanti al TAR di Palermo, entrambi conclusi con una pronuncia di inammissibilità per difetto di una valida procura alle liti, avendo il difensore utilizzato un mandato generale alle liti anziché un mandato speciale per ogni singolo ricorso.
In relazione ad un entrambi i giudizi, tuttavia, il Tribunale aveva dichiarato di non poter emettere una pronuncia di condanna nei confronti del professionista, in quanto né l’uno né l’altro ricorso avrebbero avuto, ove esaminati nel merito, significative possibilità di accoglimento. Tanto valeva sia per il giudizio di cassazione, avente ad oggetto una domanda di riscatto agrario respinta sia in primo che in secondo grado, sia per il giudizio amministrativo, avente ad oggetto l’impugnativa di un provvedimento di sospensione e di un provvedimento di annullamento di una concessione edilizia.
Rilevava la Corte territoriale che, per quanto concerneva le presunte negligenze relative al giudizio di cassazione, l’atto di appello aveva censurato solo una delle argomentazioni sulle quali si fondava il rigetto della domanda risarcitoria degli A. , ossia l’effettiva sussistenza del diritto di proprietà del dante causa degli A. su di una particella di terreno, diritto dal quale sarebbe derivato quello di riscatto. Pertanto, non essendo state oggetto di confutazione le altre argomentazioni addotte dal Tribunale, il merito dell’appello non doveva essere esaminato, in quanto il rigetto della domanda risarcitoria avrebbe tratto ugualmente il proprio fondamento dalle altre ragioni di cui alla sentenza di primo grado.
In riferimento, poi, alle presunte negligenze nell’ambito del giudizio davanti al TAR, la Corte nissena concordava col giudice di primo grado nel senso che, poiché la concessione edilizia di cui si trattava nel giudizio amministrativo si fondava su di un evidente errore di fatto consistente in una falsa rappresentazione della realtà, l’esame nel merito del ricorso giurisdizionale proposto dall’avv. Z. non avrebbe avuto alcuna concreta possibilità di essere accolto.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta propongono ricorso A.T. , M. , A. , A. e Mi. , con un unico atto affidato a due motivi.
Resiste l’avv. Z. con controricorso.
I ricorrenti hanno presentato memoria.
Motivi della decisione
1. Rileva la Corte che i ricorrenti hanno preliminarmente posto in evidenza che la sentenza di primo grado, con accertamento da ritenere ormai passato in giudicato in quanto non fatto oggetto di appello, avrebbe accertato l’esistenza di una prova documentale del colpevole inadempimento dell’avv. Z. in relazione all’incarico professionale ricevuto; sicché il giudizio sarebbe poi proseguito al solo scopo di accertare l’esistenza di un danno risarcibile, e ciò sulla base delle probabilità che i giudizi promossi dal professionista potessero avere, o meno, un esito favorevole ove esaminati nel merito.
Tale rilievo preliminare, che non costituisce motivo di ricorso, non trova, comunque, alcun riscontro nella sentenza impugnata, la quale ha accertato il dato obiettivo della irregolarità della procura che l’avv. Z. si era fatto rilasciare dagli odierni ricorrenti, senza che da tale elemento – fuori discussione – possa trarsi l’esistenza di un giudicato su alcun punto relativo alla responsabilità professionale del medesimo. Sicché l’osservazione compiuta dai ricorrenti è priva di qualsivoglia valore ai fini che oggi interessano.
2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 324 del codice di procedura civile.
Rilevano i ricorrenti, innanzitutto, che nell’unico motivo di appello essi avevano fatto presente alla Corte territoriale, in relazione alla causa di riscatto agrario patrocinata dall’avv. Z. , che il ricorso da questi proposto avrebbe avuto la sostanziale certezza di essere accolto, anche perché non sussisteva alcun contrasto di giurisprudenza sul punto.
Nonostante ciò, la Corte nissena non aveva esaminato il merito del gravame, sul rilievo che i ricorrenti non avevano confutato, nell’atto di appello, le argomentazioni ulteriori poste a fondamento del rigetto della domanda. In tal modo, però, la sentenza impugnata avrebbe dimenticato che il giudicato si forma sui capi di una pronuncia non sottoposti a tempestiva impugnazione, e non sulle singole argomentazioni esposte nell’unico capo di domanda.
Quanto al difetto di motivazione, i ricorrenti osservano che la pronuncia della Corte d’appello avrebbe omesso ogni motivazione circa il punto controverso, oggetto della causa di riscatto agrario patrocinata dall’avv. Z. , relativo al momento in cui si colloca l’acquisto della proprietà da parte di chi esercita il diritto di prelazione agraria.
3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., insufficiente motivazione su di un punto decisivo della controversia.
Si afferma, in proposito, che la sentenza impugnata non avrebbe dato conto in modo adeguato del perché il giudizio amministrativo promosso dall’avv. Z. davanti al TAR si sarebbe concluso comunque in modo negativo per i ricorrenti. In particolare, la motivazione sarebbe insufficiente in ordine al punto costituito dal diritto dei ricorrenti di costruire in aderenza, sul confine o a distanza inferiore da quella legale.
In altre parole, quindi, non poteva affatto dirsi pacifico che, ove il professionista si fosse fatto rilasciare una valida procura, ciò non avrebbe comunque condotto all’accoglimento del ricorso giurisdizionale dal medesimo proposto davanti al TAR.
4. I due motivi, da trattare congiuntamente poiché affrontano i medesimi problemi, sono entrambi privi di fondamento.
4.1. Questa Corte, con giurisprudenza ormai consolidata, ha affermato che la responsabilità del prestatore di opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell’attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente e, in particolare, trattandosi dell’attività dell’avvocato, l’affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell’azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita; tale giudizio, da compiere sulla base di una valutazione necessariamente probabilistica, è riservato al giudice di merito, con decisione non sindacabile da questa Corte se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici (così, fra le altre, le sentenze 9 giugno 2004, n. 10966, 27 marzo 2006, n. 6967, 26 aprile 2010, n. 9917, e 5 febbraio 2013, n. 2638).
Occorre soltanto aggiungere, in proposito, che nelle cause di responsabilità professionale nei confronti degli avvocati, la motivazione del giudice di merito in ordine alla valutazione prognostica circa il probabile esito dell’azione giudiziale che è stata malamente intrapresa o proseguita è una valutazione in diritto, fondata su di una previsione probabilistica di contenuto tecnico giuridico. Ma nel giudizio di cassazione tale valutazione, ancorché in diritto, assume i connotati di un giudizio di merito, il che esclude che questa Corte possa essere chiamata a controllarne l’esattezza in termini giuridici.
Alla luce di questa giurisprudenza – che merita integrale conferma nella sede odierna – la sentenza della Corte territoriale non è affatto incorsa nella violazione di legge che i ricorrenti prospettano col primo motivo di ricorso.
4.2. Va osservato, intanto, che, avendo il presente giudizio ad oggetto la responsabilità professionale relativa a due diverse cause promosse dall’avv. Z. in favore degli odierni ricorrenti, la violazione di legge di cui al primo motivo riguarda solo uno di tali giudizi, ossia quello di riscatto agrario. La sentenza impugnata, secondo i ricorrenti, avrebbe violato le norme in tema di giudicato, in quanto non avrebbe tenuto presente che il medesimo si forma sui singoli capi di una pronuncia e non sulle singole argomentazioni ivi contenute.
In realtà, invece, la Corte territoriale non è affatto incorsa in tale errore. Essa ha affermato – con motivazione correttamente argomentata e priva di vizi logici – che nell’atto di appello gli odierni ricorrenti si erano limitati a censurare solo una delle rationes decidendi contenute nella pronuncia di primo grado, ossia quella relativa al momento in cui avviene l’acquisto del diritto di proprietà in favore del soggetto che esercita la prelazione agraria. Ed infatti su tale argomento i ricorrenti ritornano ampiamente anche nella sede odierna; non tenendo presente che la sentenza impugnata, nel condividere quella di primo grado, ha evidenziato che la scarsa probabilità di accoglimento del ricorso per cassazione redatto dall’avv. Z. derivava anche da una serie di ulteriori ed autonome circostanze, quali la presenza sul terreno in oggetto di un mezzadro che non aveva rinunciato alla prosecuzione del rapporto nonché la mancanza di prova, da parte degli odierni ricorrenti, del possesso degli altri requisiti di legge per esercitare il riscatto agrario. Non avendo gli appellanti censurato tali ulteriori argomentazioni della sentenza di primo grado, la Corte di Caltanissetta ha ritenuto di potersi esimere dall’esame del relativo motivo di gravame.
Non c’è, quindi, alcuna lesione dei principi in tema di giudicato; la Corte d’appello non ha sostenuto che si fosse formato il giudicato sulle argomentazioni poste dal giudice di primo grado, ma solo che l’appello conteneva una contestazione parziale delle ragioni sulle quali il Tribunale aveva respinto la domanda contro il professionista, sicché essa si poteva esimere dall’esaminare il merito della censura. Da quanto detto deriva l’infondatezza del primo motivo, perché la censura in diritto – come si è visto – è insussistente, come pure non esiste alcun vizio di motivazione, giacché la Corte non è incorsa in una omissione totale, come pretendono i ricorrenti.
5. Quanto, invece, alle censure di cui al secondo motivo di ricorso – avente ad oggetto il giudizio promosso dall’avv. Z. davanti al TAR di Palermo – rileva il Collegio che le medesime, oltre a non contenere alcun momento di sintesi necessario ai sensi dell’art. 366-bis cod. proc. civ., applicabile alla fattispecie ratione temporis, si risolvono comunque nel tentativo di ottenere da questa Corte un diverso giudizio prognostico circa il probabile esito del ricorso giurisdizionale proposto dal professionista in favore degli odierni ricorrenti.
La Corte territoriale, infatti, ha premesso che l’avv. Z. aveva intrapreso, in favore degli odierni ricorrenti, due giudizi che avevano ad oggetto l’annullamento del provvedimento di sospensione di una concessione edilizia e l’annullamento del provvedimento di revoca della medesima. Ciò posto, con una valutazione che, secondo quanto detto in precedenza, è di merito, ancorché di contenuto giuridico, la Corte nissena è pervenuta alla conclusione che il provvedimento di concessione si basava su di un erroneo presupposto di fatto, ossia che gli A. avessero diritto di costruire in aderenza poiché la costruzione dei vicini si trovava sul confine; il che implicava che i ricorsi giurisdizionali davanti al TAR sarebbero stati quasi certamente respinti.
Si tratta, com’è evidente, di una valutazione di merito correttamente argomentata e priva di vizi logici, la quale dimostra l’infondatezza dell’odierna censura posta in termini di vizio di motivazione.
6. In conclusione, il ricorso è rigettato.
A tale pronuncia segue la condanna dei ricorrenti, in solido fra di loro, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 5.200, di cui Euro 200 per spese, oltre accessori di legge.
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