Cassazione 3

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 11 novembre 2014, n. 24013

Svolgimento del processo

1.- I1 tribunale di Lucca, in accoglimento della domanda proposta da M.C. e M.E.R., condannava la convenuta G.M. ad arretrare a metri cinque dal confine la costruzione dalla medesima realizzata ritenendo applicabile l’art. 9 del d.m. n.1444 del 1968; accoglieva in parte la riconvenzionale con la quale era stata denunciata la violazione delle distanze da parte degli attori. Con sentenza dep. il 14 aprile 2008 la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della decisione di primo grado, condannava la convenuta ad arretrare la costruzione in modo da osservare la distanza di metri 2,50 dal confine prevista dal regolamento locale
Per quel che ancora interessa nella presente sede, i Giudici ritenevano quanto segue
– l’immobile della M., costituito da un fabbricato a due piani e da sottotetto, era stato realizzato nel 1977 previa demolizione di quello preesistente di un solo piano;
– lo stesso presentava una parete finestrata a distanza di mt.1,50 dal lato più vicino al confine con la proprietà degli attori;
– erroneamente il tribunale aveva inteso fare applicazione dell’art. 9 del d.m. n.1444 del 1968, peraltro condannando la convenuta ad arretrare a distanza di cinque metri dal confine, evidentemente sul presupposto di ripartizione fra i confinanti della misura prescritta dalla norma citata;
– premesso che la norma in esame è diretta ai Comuni nella redazione degli strumenti urbanistici, non ha immediata efficacia nei confronti dei privati e trova diretta applicazione ai regolamenti successivi al decreto, all’epoca della costruzione realizzata dalla convenuta era in vigore il preesistente regolamento del Comune di Viareggio che prescriveva-la distanza dal confine di metri 2,50 e non di metri cinque;
– irrilevante era la riclassificazione della zona de qua da C 36 ad A, in cui è previsto che per le operazioni di risanamento conservativo e per eventuali ristrutturazioni le distanze non possono essere inferiori a quelle intercorrenti fra i volumi edificati preesistenti, atteso che la M. realizzò una costruzione del tutto nuova e non uno degli interventi ivi indicati.
2.- Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione M.C. e M.E.R. sulla base di due motivi illustrati da memoria.
Resiste con controricorso G.M..

Motivi della decisione

1.1. – Il primo motivo censura la decisione gravata che, contrariamente a quanto era stato chiesto con la domanda introduttiva del giudizio ed affermato dal tribunale, aveva erroneamente ritenuto la esistenza di un unico e indistinto nuovo intervento realizzato dalla M. nel 1977, quando era stata denunciata la illegittimità della seconda parte di costruzione edificata in aggiunta al loro fabbricato; la Corte non aveva considerato che nell’atto di appello era stata al riguardo richiamata la relazione del 1993 del ctu; la controparte, pur avendo taciuto quanto era stato scritto nella relazione, in cui si faceva riferimento a un avanzamento del corpo di fabbrica lungo il confine con la proprietà attorea per 1′ estensione di metri 3,43 x 3,40 consistente in un volume elevato, aveva riconosciuto quanto affermato dal tribunale che si era riferito esclusivamente alla porzione di costruzione aggiunta : il che costituiva fatto non contestato come risultava anche dalla domanda di sanatoria del 27/3/1986 in cui era indicato nel 1979 l’anno di ultimazione dell’intera costruzione e nella dichiarazione stragiudiziale confessoria resa dalla M. da cui era risultato provato che l’intervento edilizio denunciato era stato realizzato dopo l’approvazione da parte del Consiglio Comunale della delibera che aveva recepito le norme di cui dal d.m. n. 1444 del 1968.
1.2. – Il motivo è infondato.
A stregua dell’esame della sentenza emessa in primo grado, il tribunale – nella parte motiva della decisione in cui procede alla ricostruzione della fattispecie – accertò che la M. ebbe a effettuare la ristrutturazione demolendo il preesistente immobile e realizzando un corpo di fabbrica a due piani fuori terra a una distanza inferiore a quella prevista dal d. m. del 1968. In particolare, il primo Giudice ritenne che, essendo immediatamente efficaci anche nei confronti dei privati le disposizioni di cui al citato decreto, era irrilevante che tali prescrizioni fossero state recepite nel regolamento locale soltanto nel 1979, successivo alla licenza n. 56 del 1976.
Appare di tutta evidenza che il tribunale, facendo riferimento esclusivamente all’intervento edilizio
compiuto in esecuzione della licenza del 1976, ritenne che la realizzazione della costruzione a due piani in violazione delle distanze legali avvenne con un unico intervento, comunque prima che fosse applicabile la normativa introdotta con il regolamento approvato nel 1979; in tal modo logicamente escluse la realizzazione di un corpo aggiunto disciplinato dalle successive disposizioni regolamentari.
Tale accertamento, che concerne il fatto posto a base del diritto azionato, è passato in cosa giudicata in quanto avrebbe dovuto essere impugnato con appello incidentale dagli attori.
Ne consegue che la sentenza di appello ha basato la decisione sulla ricostruzione in fatto compiuta dal tribunale che evidentemente non può essere più rimessa in discussione nella presente sede. 2.1. – Il secondo motivo censura la sentenza la quale – dopo avere formulato considerazioni fuorvianti sulla. presunta ripartizione delle
distanze ritenuta dal tribunale – aveva erroneamente escluso l’applicazione del d.m. n. 1444 del 1968 le cui disposizioni trovano applicazione anche quando il regolamento edilizio, di cui il Comune si sia successivamente dotato, non sia conforme alle relative prescrizioni.
Nella specie, prima della delibera consiliare n. 417 del 1979, con la quale aveva recepito le disposizioni di cui al d.m. n. 1444 del 1968, il Comune si era dotato del piano regolatore generale, che era stato approvato con decreto del Ministro lavori pubblici del 1971, con l’effetto che, se anche in esso non era previsto il distacco di metri dieci, lo stesso doveva ritenersi automaticamente inserito.
2.2. -Il motivo è fondato In tema di distanze tra costruzioni, l’art. 9, secondo comma, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, ha efficacia di legge dello Stato, essendo stato emanato su delega dell’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (c.d. legge urbanistica), aggiunto dall’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765; ne consegue che, poiché il citato art. 9 dispone l’inderogabilità dei limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati, i Comuni sono obbligati – in caso di redazione o revisione dei propri strumenti urbanistici – a non discostarsi dalle regole fissate da tale norma, le quali comunque prevalgono ove i regolamenti locali siano con esse in contrasto.
Nella specie, può ritenersi pacifico che il regolamento vigente al momento della costruzione realizzata dai convenuti era stato adottato nel 1967 ( prima dell’entrata in vigore del decreto del 1968 ) ma venne approvato nel 1971.
Orbene, al fine di stabilire se lo stesso dovesse osservare le prescrizioni di cui al citato decreto ministeriale e se dovessero prevalere le disposizioni di quest’ ultimo in caso di contrasto, va considerata la natura del procedimento di formazione dello strumento urbanistico, che è un atto complesso, il quale si conclude con l’approvazione da parte dell’organo di controllo di guisa che, prima di tale atto, esso è improduttivo di effetti. Ne consegue che la circostanza che lo stesso fosse stata adottato in data anteriore al decreto n. 1444 del 1968 è irrilevante, posto che la normativa alla quale esso doveva conformarsi era quella vigente al momento della sua approvazione.
Pertanto, la sentenza ha erroneamente ritenuto che, essendo il regolamento locale preesistente all’entrata in vigore del d.m. n. 1444 del 1968, non trovassero applicazioni le più restrittive norme in materia di distanze tra fabbricati previste dal suddetto decreto.
La sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Firenze

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo del ricorso rigetta il primo cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.

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