Cassazione 6

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 11 marzo 2016, n. 10106

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 24/02/2014 della Corte di appello di Firenze;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Aldo Aceto;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MARINELLI Felicetta, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;

udito per la parte civile l’avv. (OMISSIS), sostituto processuale del difensore di fiducia, avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso o comunque il rigetto, come da nota scritta depositata in udienza;

udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il sig. (OMISSIS) ricorre per l’annullamento della sentenza del 24/02/2014 della Corte di appello di Firenze che, in parziale riforma della sentenza del 15/06/2012 del Tribunale di Grosseto, ha dichiarato non doversi procedere nei suoi confronti perche’ il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 44, lettera c), a lui ascritto in concorso con altri imputati, e’ estinto per prescrizione, confermando nel resto le statuizioni civili di condanna a favore della parte civile costituita.

1.1. Con il primo motivo eccepisce, ai sensi dell’articolo 606 codice procedura penale, lettera b), violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 22 e 44, in relazione agli articoli 1 e 42 codice penale, sotto il duplice profilo della violazione del principio dell’affidamento verso la pubblica amministrazione e della sua posizione soggettiva. Eccepisce altresi’ l’inammissibilita’ della costituzione di parte civile e l’infondatezza della contestazione.

1.2. Con il secondo motivo eccepisce vizio di motivazione ed errata applicazione del Decreto Ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, articolo 9, e deduce, al riguardo: a) l’errata equiparazione, nella valutazione che ne e’ stata fatta, della testimonianza resa dal CT del PM a quella del CTU (rectius: perito) nominato dal Tribunale; b) la errata attribuzione alla loggia coperta della natura di opera nuova e dunque di costruzione rilevante ai fini delle distanze.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso e’ inammissibile perche’ generico, proposto per motivi non consentiti dalla legge e manifestamente infondato.

3. L’imputato risponde del reato di cui agli articoli 40 cpv. e 110 codice penale, Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 44, lettera c), perche’, quale proprietario committente, in concorso con due pubblici ufficiali del Comune di Castiglione della Pescaia (che avevano archiviato il procedimento amministrativo finalizzato all’accertamento dell’abuso edilizio, cosi’ concorrendo alla sua realizzazione), con i progettisti, i direttori dei lavori e il titolare dell’impresa esecutrice degli stessi, aveva ristrutturato, mediante soprelevazione e suddivisione di due unita’ immobiliari, il villino di sua proprieta’, sito in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in assenza di valido titolo edilizio essendo illegittima la D.I.A. perche’ in contrasto con la normativa in materia di distanze tra fabbricati (Decreto Ministeriale n. 1444 del 1968, articolo 9, e 26 delle N.T.A. del P.R.G.), posto che la soprelevazione era stata realizzata ad una distanza inferiore a 10 metri rispetto al fabbricato adiacente.

3.1. Il Giudice di primo grado, dopo aver sottolineato come, in realta’, l’intervento edilizio dovesse piuttosto qualificarsi alla stregua di una vera e propria nuova costruzione (in considerazione della realizzazione di un piano in piu’ nel quale ospitare un nuovo appartamento, della costruzione di cantine e di un terrazzo, della radicale variazione della sagoma), attenendosi alla rubrica, aveva comunque evidenziato che il “manufatto presentava una ovvia imponenza con muro parapetto, pilastri orizzontali e verticali” ed una loggia certamente computabile ai fini delle distanze alla luce sia degli strumenti urbanistici del 2007, che del PRG del 2009 secondo il quale non dovevano essere computati ai fini delle distanze solo gli elementi decorativi, i balconcini, le pergole e i porticati (e cio’ a prescindere dal fatto che l’opera, realizzata in epoca precedente al 2009, non era comunque conforme nemmeno alle definizioni del nuovo PRG).

3.2. In sede di appello l’imputato si e’ a lungo soffermato sulla natura dell’intervento (ristrutturazione) e sulle sue caratteristiche oggettive, oltre che su altri temi, alcuni dei quali del tutto superflui alla luce degli odierni motivi di ricorso. In alcun modo, pero’, era stato devoluto alla Corte territoriale il tema, esclusivamente fattuale, della natura della “loggia” realizzata a seguito della soprelevazione e della sua attitudine a incidere sul calcolo delle distanze, oggetto del secondo motivo di ricorso. E’ pur vero che la sentenza impugnata affronta il tema ricostruendo il fatto (la descrizione della “loggia”) e interpretando le norme ad esso applicabili, ma e’ altrettanto vero che il ricorrente, negletto il secondo argomento – indubbiamente piu’ acconcio a questa fase di legittimita’ – si avventura nella diversa ricostruzione del fatto attraverso ampi, quanto inammissibili richiami alle prove raccolte nella fase di merito.

3.3. Gli altri vizi denunziati con il primo motivo di ricorso, altro non sono se non la riedizione, per molti versi alla lettera, dei corrispondenti motivi di appello, affastellati in modo generico e confuso (si eccepisce, per esempio, la illegittimita’ della costituzione della parte civile, sotto lo stesso capitolo dedicato alla insussistenza dell’elemento psicologico del reato), senza alcuna considerazione per gli argomenti spesi nella sentenza impugnata per confutarli.

3.4. E’ sufficiente ribadire che, come anche ricordato dalla Corte di appello, nel procedimento penale per costruzioni prive di concessione o assistite da concessione illegittima, la violazione anche di norme civilistiche, quali i limiti al diritto di proprieta’ in tema di distanze, volumetria, altezza delle costruzioni legittima i vicini confinanti ad esercitare l’azione civile, essendo in tal caso ipotizzabile un danno patrimoniale che da’ luogo all’azione di risarcimento del medesimo (Sez. 3, n. 5190 del 15/03/1991, De Bigontina, Rv. 187094; Sez. 3, n. 45295 del 21/10/2009, Vespa, Rv. 245270; Sez. 3, n. 21222 del 04/04/2008, Chianese, Rv. 240044).

3.5. Inoltre, il titolare del permesso di costruire, il committente e il costruttore sono responsabili della conformita’ delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano nonche’, unitamente al direttore dei lavori, a quelle del permesso e alle modalita’ esecutive stabilite dal medesimo (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 29). Tale responsabilita’ (che costituisce a carico dei soggetti indicati dalla norma una posizione di garanzia diretta sulla quale si fonda l’addebito, di natura anche colposa, per il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44) non e’ esclusa dal rilascio del titolo abilitativo in contrasto con la legge o con gli strumenti urbanistici (Sez. 3, n. 27261 del 08/06/2010, Caleprico, Rv. 248070). A maggior ragione non lo e’ in caso di intervento realizzato direttamente in base a denunzia di inizio di attivita’, atto non pubblico (Sez. 3, n. 41480 del 24/09/2013, Zecca, Rv. 257690) proveniente dal privato e non dalla pubblica amministrazione, e cio’ a prescindere dalle determinazioni che quest’ultima possa assumere al riguardo se, come nel caso di specie, l’opera realizzata costituisce attuazione del programma progettuale ed e’ dunque riconducibile all’ideazione del committente.

3.6. Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile.

3.7. Alla declaratoria di inammissibilita’ del ricorso consegue, ex articolo 616 codice procedura penale, non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost. sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonche’ del versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che si fissa equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1000,00. Segue la condanna alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel grado liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, nonche’ alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel grado che liquida in complessivi euro 3.510,00, oltre accessori di legge.

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