Cassazione10

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 11 febbraio 2016, n. 5726

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIALE Aldo – Presidente

Dott. GRILLO Renato – Consigliere

Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – rel. Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), n. a (OMISSIS);

avverso la ordinanza del Tribunale di Prato in data 10/04/2015;

udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;

udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. ANIELLO Roberto, che ha concluso per l’annullamento con rinvio.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) ha proposto ricorso nei confronti dell’ordinanza del 10/04/15 con cui il Tribunale del riesame di Prato ha rigettato la richiesta di riesame avverso il decreto di convalida di sequestro probatorio di orologio per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, con riguardo all’addebito di emissione di fattura, da parte della gioielleria ” (OMISSIS) s.n.c.”, legalmente rappresentata dal ricorrente, per la vendita a (OMISSIS) di beni diversi da quello effettivamente venduto (ovvero oggetti in Sheffield, cornici, portachiavi, candelabri e vassoi in argento in luogo di un orologio effettivamente venduto).

2. Lamenta con un primo motivo la violazione dell’articolo 125 c.p.p., per mera apparenza di motivazione in ordine alla necessarieta’ del vincolo imposto, essendosi limitata l’ordinanza a richiamare la motivazione gia’ indicata dal P.M. nel decreto di convalida di sequestro nel quale si e’ fatto ricorso ad una formula di stile inadatta al caso di specie posto che non e’ assolutamente necessario accertare caratteristiche, provenienza e titolo di detenzione dell’orologio al fine di dimostrare la falsita’ della fattura reperita.

3. Con un secondo motivo lamenta la violazione di legge sempre con riferimento alla sussistenza dei presupposti per la convalida del sequestro d’iniziativa. Contesta che l’apprensione dell’orologio fosse necessaria ai fini dell’accertamento del fatto, posto che la prova della falsa fatturazione consiste nell’insussistenza dell’operazione descritta nella fattura; e se anche l’orologio potesse considerarsi cosa pertinente al reato, cio’ non e’ sufficiente per legittimare il sequestro, dovendo trattarsi anche di cosa necessaria ai fini dell’accertamento del fatto come previsto dall’articolo 253 c.p.p.. In realta’ infatti il reato sarebbe astrattamente configurabile anche togliendo dalla scena l’orologio essendo sufficiente che manchi la translatio degli oggetti di cui al documento fiscale. Del resto lo stesso Tribunale ha affermato che in ordine al fumus lo stesso sarebbe accertato alla stregua della documentazione acquisita (senza che dunque vi sia bisogno d’altro).

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Va necessariamente premesso che il procedimento in relazione al quale e’ intervenuto il sequestro di P.G. poi convalidato dal P.M. concerne l’addebito di emissione di fatture per operazioni inesistenti posto che, nella fattura considerata nella specie, pari ad euro 22.000, sarebbero stati indicati, al fine di potere giustificare fiscalmente i relativi costi quali spese di rappresentanza deducibili nel periodo di imposta di sostenimento, pari all’1,3% dei ricavi, beni (quali oggetti in Sheffield, cornici in argento, portachiavi, candelabri e vassoi in argento) diversi da quello effettivamente compravenduto, sempre per euro 22.000, e consistente in un orologio Rolex Daytona.

Cio’ posto, il ricorso e’ fondato.

Va rammentato che, in coerenza con la natura del sequestro probatorio, che e’ catalogato dal codice di rito tra i “mezzi di ricerca della prova”, l’articolo 253 c.p.p., prevede che siano assoggettabili a tale vincolo, oltre al corpo del reato, le “cose pertinenti al reato necessarie per l’accertamento dei fatti”, sicche’ cio’ che legittima il ricorso allo strumento e’ proprio la idoneita’ della cosa ad accertare il fatto-reato non essendo sufficiente invece il mero carattere pertinenziale che, anche da un punto di vista logico (pienamente recepito infatti dal legislatore attraverso l’impiego della locuzione appena ricordata), non reca necessariamente in se’ una tale idoneita’. Di qui, dunque, l’affermazione di questa Corte secondo cui e’ essenziale, ai fini della legittimita’ del provvedimento in tema di sequestro probatorio, la motivazione in ordine appunto alla funzione probatoria delle cose sottoposte a sequestro, tanto che a norma dell’articolo 253 c.p.p., le cose sequestrate, benche’, evidentemente, pertinenti, sono pero’ restituite a chi ne abbia diritto quando non e’ necessario mantenere il sequestro ai fini di prova (Sez. 5, n. 17711 del 03/12/2004, Cerchi, Rv. 232282).

5. Ora, un tale necessario presupposto e’ stato apparentemente considerato dall’ordinanza impugnata laddove la stessa, in consonanza con le ragioni gia’ fondanti il decreto del P.M. di convalida del sequestro probatorio, ha sottolineato che, in relazione al reato per il quale si procede, sarebbe necessario accertare, oltre alla provenienza dell’orologio, anche la sua esatta identificazione nonche’ la riconducibilita’ all’operazione economica realmente sottesa alla falsa fatturazione acquisita agli atti.

Tale assunto si risolve, pero’, in una motivazione apparente.

Anche a volere ritenere infatti che, alla luce della definizione di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 1, rimasta inalterata anche dopo l’emanazione del Decreto Legislativo n. 158 del 2015, sia operazione oggettivamente inesistente anche quella che, come nella specie, si risolva unicamente nella diversita’ tra oggetto effettivamente compravenduto ed oggetto indicato in fattura, restando identico l’importo indicato rispetto a quello pagato (e dunque non essendovi alcuna sottrazione dell’Iva dovuta), e dunque anche a volere ritenere che ricorra effettivamente il fumus del reato di cui all’articolo 8 cit., il provvedimento impugnato non da contezza, come necessario, della funzione probatoria in concreto rivestita dall’orologio atteso che, a tutto concedere, l’eventuale illiceita’ della condotta risiederebbe strettamente, attesa la struttura del reato contestato, nell’avere indicato in fattura beni in realta’ non compravenduti; sicche’, restando del tutto indifferenti, ai fini della configurabilita’ del reato, caratteristiche, natura e provenienza del bene effettivamente compravenduto rilevando invece che nella fattura siano stati indicati beni mai compravenduti (e percio’, nella prospettiva dell’accusa, inesistenti), la motivazione che lega la necessita’ del sequestro alla acquisizione di elementi pertinenti all’orologio si risolve, come anticipato, in una argomentazione avulsa rispetto ai parametri richiesti dall’articolo 253 c.p.p., e percio’ elusiva del dettato dell’articolo 125 c.p.p..

Ancor prima di cio’, in ogni caso, la disponibilita’ materiale dell’orologio stesso a null’altro puo’ servire che a stabilire che un orologio di quelle caratteristiche esista, ma quanto al fatto (tale essendo invece, evidentemente, lo scopo di un sequestro relativo al reato contestato) che gli oggetti indicati in fattura siano stati effettivamente compravenduti o meno, nulla puo’, evidentemente, di per se’, significare.

6. Si impone dunque, in relazione ad un sequestro posto in essere al di fuori delle ipotesi di legge, l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata e del decreto di convalida del sequestro con conseguente restituzione dell’orologio in sequestro all’avente diritto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata ed il decreto di convalida del 18/03/2015 del P.M. presso il Tribunale di Prato e dispone la restituzione dell’orologio in sequestro all’avente diritto.

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