Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  10 febbraio 2014, n. 6102

Ritenuto in fatto

La Corte di appello di Firenze, sostanzialmente confermando la precedente decisione del Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Empoli del 5 luglio 2010, dichiarata la penale responsabilità di L.J. in relazione al reato di cui agli artt. 81 cod. pen. e 2, comma 3, dlgs n. 74 del 2000, lo condannava, con sentenza del 8 ottobre 2012, alla pena di anni uno e mesi 4 di reclusione, irrogando, altresì, le sanzioni accessorie previste dall’art. 12 dello stesso dlgs n. 74 per la durata di anni uno e disponendo il beneficio della sospensione condizionale della pena.
In particolare la Corte di appello si discostava dalla decisione assunta dal Giudice di prime cure – accogliendo sul punto il ricorso proposto dal competente Procuratore generale – disponendo l’applicazione delle summenzionate pene accessorie, non disposte con la sentenza di primo grado, e, accogliendo al riguardo l’appello dell’imputato, dichiarando non doversi procedere limitatamente al reato riferibile all’anno di imposta 2003, per essersi lo stesso estinto per prescrizione.
L’addebito mosso al prevenuto consisteva nell’aver egli indicato – nella qualità di titolare di ditta individuale – nelle dichiarazioni dei redditi presentate negli anni 2003, 2004, 2005 e 2006, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, poste passive documentate attraverso fatture apparentemente emesse da altre imprese ma in realtà relative operazioni commerciali inesistenti, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, in quanto intestate ad imprese inesistenti e non operanti all’epoca dei fatti, per un complessivo importo di circa Euro 465.000,00, così precisamente ripartito: 93.000,00 Euro per l’anno 2003; 72.008,53 Euro per l’anno 2004; 92.693,60 Euro per l’anno 2005 e 208.184,50 Euro per l’anno 2006; il tutto accertato in Empoli 5 giugno 2008.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore di fiducia, l’imputato, deducendo quattro motivi di impugnazione.
Col primo di essi si deduce la nullità del capo di imputazione per genericità, lamentandosi che nella rubrica contestata non fossero elencate analiticamente le singole fatture ritenute relative ad operazioni inesistenti, contenendo essa solo un riepilogo di quelle e dell’importo della imposta evasa. Per effetto di tale manchevolezza sarebbe stata limitato il diritto dell’imputato a difendersi.
Con secondo motivo l’imputato osserva che la condotta a lui ascritta, consistente nella creazione, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, di un documento relativo ad operazioni inesistenti, non dovrebbe costituire fonte per imputazioni aventi ad oggetto la violazione dell’art. 2 del dlgs n. 74 del 2000, come invece a lui contestato, ma del successivo art. 3. Ad avviso della ricorrente difesa, infatti, il reato di cui all’art. 2 dlgs n. 74 del 2000 si realizza allorché un soggetto, realmente emittente di una fattura, la compili falsamente nel suo contenuto in quanto relativa ad operazioni commerciali inesistenti, laddove il successivo art. 3 dello stesso dlgs sanziona, secondo l’assunto difensivo, la condotta di chi emetta una fattura totalmente contraffatta, in quanto mendace non solo riguardo al suo contenuto rappresentativo di una inesistente transazione commerciale, ma anche quanto alla indicazione del soggetto emittente; nel primo caso, secondo il ricorrente, il falso sarebbe solo ideologico, nel secondo si tratterebbe di un falso materiale. Nel caso che interessa, contestata la emissione di fatture radicalmente false poiché emesse da soggetti inesistenti, si sarebbe dovuta contestare la violazione dell’art. 3 del dlgs n. 74 del 2000; la circostanza che, invece, sia stato contestato l’art. 2, ed applicata la sanzione prevista da tale disposizione, facendo venire meno la necessaria correlazione fra l’accusa e la sentenza, determinerebbe la nullità di quest’ultima.
Il ricorrente deduce ancora il difetto di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo – si tratta di dolo specifico – di cui alla fattispecie in esame. Infatti, risultando dalla documentazione contabile esibita dal L.J. che questi, effettivamente, avrebbe versato le somme di danaro riportate nelle fatture asseritamente false, la sua difesa fa derivare da ciò che egli non avrebbe inteso evadere le imposte di cui al capo di imputazione, data la effettiva sussistenza delle spese portate in deduzione dall’imponibile dichiarato.
Infine, col quarto motivo di ricorso si censura la mancata concessione delle attenuanti generiche – in assenza, si dice, di elementi valorizzagli a questo titolo, se non la formale incensuratezza che da sola non può sostenere il beneficio – senza tenere conto del fatto che si è in presenza di un reato che è tale solo perché, relativamente ad un solo anno di imposta è superata, e non di molto, la soglia di punibilità che discrimina la fattispecie aggravata da quella ordinaria; dato questo che, anche al fine di adeguare la pena al fatto, ne avrebbe giustificato la concessione.

Considerato in diritto

Il ricorso, risultato solo parzialmente fondato, deve essere accolto nei limiti di quanto di ragione.
Destituito di fondamento è il primo motivo di ricorso.
Premesso, infatti, che non è riscontrabile alcuna genericità in un capo di imputazione che, in un’ipotesi delittuosa quale quella per cui si procede, non elenchi specificatamente tutti i documenti che si affermano essere stata falsificati o contraffatti, laddove essi siano comunque identificabili attraverso il rinvio ad una categoria di essi che ne renda possibile la determinazione (Corte di cassazione, Sezione V penale, 9 giugno 2000, n. 8932), osserva questa Corte che, secondo quanto emerge sia dalla motivazione della sentenza della Corte di appello di Firenze che da quella del giudice di prime cure, non solo alcune ma tutte le fatture utilizzate in sede di dichiarazione dei redditi dal prevenuto, emesse dai “fornitori” della ditta di costui denominati “Confezioni Filici di Hong Li” e “Ditta Bing di Lin Bing Quan”, in quanto emesse da soggetti inesistenti o comunque non operanti sul mercato, erano false.
Non vi è, pertanto, genericità del capo di imputazione né alcuna compromissione del diritto di difesa ben potendo l’odierno imputato comprendere, con la dovuta precisione, dal contenuto della rubrica quale era stata la condotta a lui contestata come illecita.
Parimenti destituito di fondamento il secondo motivo di ricorso.
Questa Corte, infatti, ha più volte precisato che il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture fittizie, punito dall’art. 2 del dlgs n. 74 del 2000, non presuppone che il documento utilizzato debba necessariamente essere stato emesso da terzi compiacenti, ben potendo essere creato ex novo dall’utilizzatore stesso, facendo apparire la provenienza da terzi; ciò in quanto la ragione della norma sta nel fatto di punire colui che artificiosamente si precostituisce dei costi sostenuti, al fine di abbattere l’imponibile, e non presuppone il concorso di terzi (Corte di cassazione, Sez. III penale 28 dicembre 2011, n. 48498).
Ha, peraltro chiarito la Corte – proprio con specifico riferimento alla distinzione fra le due fattispecie, entrambe penalmente rilevanti, di cui agli artt. 2 e 3 del dlgs n. 74 del 2000 – che integra il reato di cui all’art. 2 dlgs cit., e non già la diversa fattispecie di cui all’art. 3, l’utilizzo, ai fini della indicazione di fittizi elementi reddituali passivi, di fatture false non solo sotto il profilo ideologico, in quanto riferite ad operazioni inesistenti, ma anche sotto il profilo materiale, perché emesse da ditte in realtà inesistenti (Corte di cassazione, Sez. III penale, 9 febbraio 2011, n. 9673).
L’applicazione dei suesposti condivisi principi conduce al rigetto anche del secondo motivo di ricorso.
Il terzo motivo, con quale si censura un preteso difetto di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza del dolo specifico in capo all’odierno ricorrente è manifestamente infondato.
A prescindere dal fatto che sullo sfondo della argomentazione spesa dalla difesa di L.J. sta la singolare pretesa di poter legittimamente “sterilizzare” gli effetti fiscalmente negativi di una pratica illecita (eseguire pagamenti privi di documentazione contabile ex latere accipientis) con la realizzazione di un altro illecito (la creazione ex latere solventis di falsi documenti contabili da portare in deduzione per un equivalente valore), si osserva che, diversamente da quanto nel ricorso sostenuto, la impugnata sentenza fornisce una motivazione immune da vizi logici e giuridici intesa a dimostrare che non vi è alcuna prova che la finalità delle false fatture fosse quella di “andare a coprire forniture in nero”, e quindi a consentire la deducibilità di esborsi realmente effettuati, ritenendosi, con scelta del tutto plausibile, che la mera esistenza di movimenti di danaro in uscita nella contabilità del prevenuto non sia idonea a far ritenere che essi fossero funzionali al pagamento degli importi di cui alle fatture contraffatte.
Fondato, è viceversa, il quarto motivo di impugnazione.
Al riguardo osserva questa Corte che il Giudice territoriale ha fondato la sua decisione di non concedere in favore dell’imputato le attenuanti generiche, sul rilievo che l’unico elemento a tal fine valorizzabile, cioè lo stato di incensuratezza del L. , non è idoneo allo scopo, in quanto “come è noto, (l’incensuratezza) non può da sola sostenere il beneficio”.
Sul punto occorre precisare che è stato per lunghi anni jus receptum che “l’incensuratezza dell’imputato costituisce elemento valido di giudizio per concedere le attenuanti generiche” (Corte di cassazione, Sez. Ili penale, 10 maggio 1965, n. 1600, si cita volutamente una lontana sentenza onde mettere in luce il radicamento temporale del detto orientamento); tale indirizzo, coerente con l’allora vigente assetto normativo, è stato, di recente, superato per effetto dell’espresso dettato legislativo; infatti l’attuale testo dell’art. 62-bis, comma terzo, cod. pen. prevede che: “In ogni caso, l’assenza di precedenti condanne per altri reati a carico del condannato non può essere, per ciò solo, posta fondamento della concessione delle circostanze di cui al primo comma”.
È questo, evidentemente, il vincolo negativo cui si riferisce la Corte territoriale nell’escludere la concedibilità della circostanze attenuanti generiche nel caso di specie.
Va, però, precisato che, inserita la predetta disposizione, sotto forma di novella, nel testo originario dell’art. 62-bis, cod pen., a seguito della entrata in vigore della legge 24 luglio 2008, n. 125, di conversione del decreto legge 27 maggio 2008, n. 92, essa è applicabile, stante la sua schietta natura di norma di diritto penale sostanziale, solo per i fatti commessi successivamente alla sua entrata in vigore (Corte di cassazione, Sez. I penale, 19 maggio 2009, n. 23014).
Nel nostro caso, invece, anche l’ultima in ordine di tempo delle condotte ascritte al L. è stata posta in essere in data 24 settembre 2007, cioè al momento della presentazione della dichiarazione di imposta relativa all’anno 2006, quindi ben prima della entrata in vigore della citata legge n. 125 del 2008.
Deve ritenersi, pertanto, viziata la sentenza della Corte di appello di Firenze nella parte in cui in essa, negandosi la sussistenza di alcun potere discrezionale del giudice al riguardo, si afferma che non è possibile riconoscere all’imputato le attenuanti generiche ove queste siano esclusivamente fondate sul suo stato di incensuratezza, anche laddove la condotta costituente reato si sia realizzata anteriormente alla entrata in vigore della legge n. 125 del 2008.
Di conseguenza, previo annullamento della sentenza su questo solo punto, si rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze, la quale dovrà ex novo decidere, in applicazione dell’esposto principio e facendo uso della propria prudente discrezionalità, sulla concessione o meno al prevenuto della attenuanti generiche, rideterminando, altresì, se del caso, la irroganda pena.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla concedibilità delle attenuanti generiche e rinvia ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze; rigetta quanto al resto il ricorso.

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