Corte di Cassazione, sezione III penale,sentenza 28 settembre 2016, n. 40319

Per il reato continuato a carico del legale rappresentante e dell’amministratore che costituiscono società fittizia per sottrarsi al pagamento delle imposte non è necessario che abbiano voluto dall’inizio dell’atto fraudolento conseguire un risultato economico

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 28 settembre 2016, n. 40319

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ANDREAZZA Gastone – Presidente
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
Dott. RENOLDI Carlo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/05/2015 della Corte d’appello di Genova;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso;
udito, per l’imputato, l’Avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 4/05/2012 il Tribunale di Genova condanno’ (OMISSIS) alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione in relazione ai delitti, unificati dal vincolo della continuazione, di cui all’articolo 110 c.p., Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 11, (capo A), Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10 ter, (capi B e C) e Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 5, (capo D).
Secondo quanto ritenuto in sentenza, l’imputato, legale rappresentante della societa’ Intergarage S.r.l., aveva omesso sia di presentare, pur essendovi obbligato, le dichiarazioni per il 2004 relative all’imposta sui redditi e sull’IVA, con un’imposta evasa, a titolo di IRPEF, di 166.526 Euro, nonche’, a titolo di IVA, di 101.334 Euro (capo D), sia di versare, entro il termine previsto per l’acconto relativo all’anno di imposta successivo, l’IVA dovuta in base alla dichiarazione annuale per il 2006 (capo B) e per il 2007 (capo C). Inoltre, (OMISSIS), nella medesima qualita’, era stato ritenuto responsabile, in concorso con (OMISSIS), amministratore unico della societa’ (OMISSIS) S.r.l., della commissione di alcuni atti simulati sui beni della societa’ (e precisamente stipulando un contratto di affitto di azienda, in realta’ simulato, con la (OMISSIS), nonche’ cedendo a quest’ultima societa’, sempre simulatamente, alcuni arredi della (OMISSIS) S.r.l. e i veicoli giacenti presso i locali aziendali): cio’ al fine di sottrarre i beni della stessa (OMISSIS) S.r.l. al pagamento delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto e delle relative sanzioni dovuti dalla societa’ e dal suo amministratore nonche’ al fine di rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva avviata dall’Amministrazione finanziaria nei confronti della medesima societa’.
A fondamento della pronuncia di condanna, il tribunale pose innanzitutto le dichiarazioni rese dalla coimputata (OMISSIS), la quale aveva definito la propria posizione in sede di giudizio abbreviato.
La donna, infatti, aveva riferito di avere lavorato alle dipendenze della (OMISSIS) S.r.l. dal 2003 al 2006 e di essere stata successivamente indotta da (OMISSIS) ad assumere la carica di legale rappresentante della (OMISSIS) S.r.l., costituita in data 11/05/2006, nonche’ ad acquisire il 10% delle quote sociali della neonata societa’, le cui restanti quote erano state acquistate da (OMISSIS), all’epoca convivente dell’imputato. In precedenza, (OMISSIS) aveva spiegato alla (OMISSIS) che la costituzione della nuova societa’ si era resa necessaria proprio per fare fronte alle difficolta’ in cui versava la (OMISSIS) S.r.l., anche in relazione ad alcuni debiti fiscali non onorati.
Successivamente alla costituzione della (OMISSIS), la (OMISSIS) aveva continuato a lavorare come impiegata, svolgendo esattamente le stesse mansioni di prima, mentre (OMISSIS) aveva continuato ad occuparsi delle vendite della societa’.
La teste aveva, altresi’, dichiarato che il contratto di affitto dell’azienda, stipulato nel 2006, prevedeva la cessione dei beni dalla (OMISSIS) S.r.l. alla affittuaria (OMISSIS) S.r.l. e che il relativo canone era stato regolarmente pagato solo a partire dai primi mesi del 2007; e inoltre, che la prassi aziendale prevedeva l’acquisto di immobili all’estero, principalmente in Germania, da parte di (OMISSIS) S.r.I., la quale poi le cedeva a (OMISSIS) S.r.l., che a sua volta si occupava della vendita al dettaglio.
Ad ulteriore conforto dell’ipotesi accusatoria accolta dalla sentenza di primo grado, il Tribunale di Genova evidenzio’ come (OMISSIS), revisore dei conti della (OMISSIS) S.r.l., avesse riferito che la societa’ era stata sottoposta a verifica fiscale ed era stata coinvolta in contenziosi tributari nel corso del 2004 rappresentando, altresi’, che la costituzione della (OMISSIS) S.r.l. era stata funzionale ad evitare le difficolta’ derivanti dalla cattiva pubblicita’ conseguente alla notizia dei contenziosi avviati nei confronti della prima societa’.
Per quanto riguarda l’omesso versamento dell’IVA di cui’ ai capi B) e C), i testi (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) avevano riferito, nel corso del dibattimento, che la societa’ di (OMISSIS) era solita acquistare le auto all’estero, per poi rivenderle a (OMISSIS) S.r.l. allo stesso prezzo d’acquisto, senza effettuare il ricarico dell’IVA, col risultato che le vendite erano di fatto sottocosto. In questo modo (OMISSIS) S.r.l. poteva acquistare automobili ad un prezzo inferiore a quello che avrebbe dovuto versare se le avesse acquistate direttamente, portando in detrazione l’IVA passiva, che in realta’ non veniva mai corrisposta. Un modus operandi che a giudizio del tribunale ligure non poteva avere uno scopo economico diverso da quello di realizzare un illecito risparmio fiscale a beneficio delle societa’ comunque riconducibili all’imputato.
2. Avverso la predetta sentenza l’imputato propose rituale atto di appello, con il quale, secondo quanto riportato nella sentenza di secondo grado, egli dedusse che:
a) il contratto di affitto non poteva ritenersi simulato o comunque fraudolento, anche considerato che l’esecuzione coattiva da parte di (OMISSIS) era iniziata oltre un anno dopo la stipula dello stesso contratto, sicche’s questo non poteva dirsi preordinato a impedire la procedura esecutiva; e, inoltre, che l’operazione economica non avrebbe causato alcun consistente depauperamento delle risorse di (OMISSIS), tale da compromettere il buon esito della stessa procedura di riscossione;
b) non era stato dimostrato che la soglia di legge, pari a 51 mila Euro, oltre la quale l’omesso versamento dell’IVA e’ considerato punibile, fosse stata effettivamente oltrepassata, essendo stato l’importo calcolato dall’Agenzia delle entrate sulla base del presupposto che le operazioni di compravendita delle automobili fossero fraudolente e, dunque, inesistenti, senza pero’ che fosse stata acquisita alcuna prova a sostegno di tale assunto;
c) il trattamento sanzionatorio fosse eccessivo, in specie in ragione della mancata concessione delle attenuanti generiche.
3. Con sentenza in data 28/05/2015 della Corte d’appello di Genova, la pronuncia appellata fu parzialmente riformata, venendo l’imputato prosciolto dai reati ascrittigli ai capi B) e D) (erroneamente indicati, nella parte motiva del provvedimento, come C e D), per non doversi procedere, nel primo caso, in quanto i fatti attribuiti a (OMISSIS) risultavano oggetto di una precedente pronuncia di condanna e, nel secondo caso, per essersi il reato estinto per prescrizione.
Il Giudice d’appello, nel disattendere il primo motivo di impugnazione, rilevo’ che in base alle dichiarazioni rese dal teste (OMISSIS) era emerso che la (OMISSIS) S.r.l. fosse in realta’ una emanazione della (OMISSIS) S.r.l., considerato che, dopo la costituzione della prima societa’, la maggioranza delle quote era stata acquistata dalla compagna di (OMISSIS), la stessa (OMISSIS) aveva conservato le medesime mansioni in precedenza ricoperte ed anche l’imputato aveva mantenuto saldamente la gestione delle vendite. Secondo la Corte territoriale, dunque, la creazione della nuova societa’ era avvenuta, come (OMISSIS) aveva riferito alla (OMISSIS), per distogliere risorse dal patrimonio della (OMISSIS) S.r.l., in modo da sottrarle ai tentativi di riscossione dell’erario. Per tale motivo, la cessione dei beni strumentali, cosi’ come la stipula del contratto di affitto, dovevano considerarsi operazioni simulate, come dimostrato, quanto all’affitto, dalla circostanza che i canoni non fossero stati corrisposti per molti mesi dopo la conclusione del contratto.
Per la Corte d’appello, dunque, non poteva accogliersi la tesi difensiva, secondo cui la creazione della nuova societa’ rispondeva all’esigenza di tutelare l’avviamento dell’attivita’ commerciale, compromesso dal vulnus all’immagine dell’azienda derivante dalle vicissitudini fiscali, iniziate nel 2004, tanto piu’ che, a tal fine, sarebbe stato sufficiente cambiare il nome della societa’, previa modificazione dello statuto.
Inoltre, proprio perche’ la (OMISSIS) S.r.l. si era trovata in difficolta’ a seguito di accertamenti fiscali gia’ a partire dal 2004, la Corte ritenne inconferente l’argomentazione difensiva secondo cui la creazione della (OMISSIS) S.r.l., avvenuta alcuni mesi prima dell’inizio, nell’ottobre 2007, della procedura per la riscossione dei crediti tributari, non sarebbe potuta essere preordinata alla sua elusione.
Secondo la Corte d’appello, peraltro, la costituzione della (OMISSIS) S.r.l. sarebbe stata funzionale anche alla realizzazione di un complesso sistema volto ad evadere l’IVA. Il giudice d’appello, infatti, ritenne provato, in particolare alla stregua delle deposizioni di alcuni testi ( (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)), che (OMISSIS) avesse dato vita a un meccanismo fraudolento fondato sull’acquisto di autoveicoli in Germania da parte della (OMISSIS) S.r.l. senza pagare l’imposta in questione (atteso che il Decreto Legge 30 agosto 1993, n. 331, prevede la esenzione fiscale in relazione agli acquisti intracomunutari tra operatori professionali) e sulla successiva vendita, comprensiva di IVA, alla (OMISSIS) S.r.l., la quale portava VIVA in detrazione senza peraltro, di fatto, versarla alla stessa (OMISSIS) S.r.l., con evidente profitto della societa’ e corrispondente perdita per l’Erario.
Considerata la gravita’ dei fatti e la spiccata pericolosita’ dell’imputato, la Corte territoriale ritenne di condividere la mancata concessione delle attenuanti generiche da parte del giudice di prime cure e, in accoglimento dell’appello proposto dalla Procura generale, giunse ad inasprire il trattamento sanzionatorio in precedenza irrogato, pur a fronte della declaratoria di non doversi procedere per i reati di cui ai capi B e D (i quali, come gia’ rilevato, erano stati erroneamente indicati, nella parte motiva della sentenza, come C e D).
4. Avverso la sentenza di secondo grado l’imputato propone, a mezzo del difensore fiduciario, ricorso per cassazione sulla base di tre motivi di impugnazione.
Con il primo di essi, il ricorrente denuncia la nullita’ della sentenza ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) e d), per inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale e per vizio della motivazione con riferimento al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, e articolo 533 c.p.p..
La Corte territoriale avrebbe fondato l’affermazione di responsabilita’ in relazione al capo A), unicamente alla stregua delle dichiarazioni della teste (OMISSIS), la quale, diversamente da quanto riportato in sentenza, avrebbe in realta’ affermato che i canoni di locazione dell’immobile, cosi’ come quello d’affitto dell’azienda, peraltro corrispondenti ai prezzi di mercato, venissero effettivamente pagati da (OMISSIS) a mezzo di bonifico bancario. Laddove, quanto alla cessione dei veicoli, il teste (OMISSIS) avrebbe confermato il rinvenimento delle relative ricevute, a dimostrazione del carattere non simulato dell’operazione.
Tali circostanze non consentirebbero di configurare il reato contestato, per la cui integrazione, secondo l’imputato, la giurisprudenza richiederebbe la realizzazione di un vero e proprio raggiro o comunque di un inganno, oltre a un effetto depauperatorio che dovrebbe conseguire al compimento dell’atto negoziale simulato.
Sotto quest’ultimo profilo, il ricorrente deduce altresi’ l’assenza, nel provvedimento impugnato, di qualunque analisi circa “l’effettiva portata depauperatoria degli atti contestati all’odierno appellante”.
Inoltre, essendo pacificamente emerso che i contratti erano stati stipulati ben prima dell’avvio della procedura di riscossione da parte di (OMISSIS), e finanche prima dell’avvio delle procedure di accertamento da parte delle polizia tributaria e dell’Agenzia delle entrate, non sarebbe stato dimostrato l’intento elusivo rispetto a tale procedura, sicche’ difetterebbe l’elemento soggettivo del reato.
Nessuna prova determinante sarebbe stata poi’ acquisita in relazione al superamento della soglia di punibilita’, pari a 51.645,69 Euro, atteso che l’ammontare del debito oggetto della procedura di riscossione sarebbe stato determinato in maniera ipotetica, sulla base della ritenuta inesistenza di alcune operazioni di vendita ed acquisto, attuate mediante prestanome; inesistenza che il ricorrente asserisce non essere stata in alcun modo provata, sia dall’Amministrazione tributaria che dal Giudice, il quale non avrebbe escusso i medesimi prestanome.
Cio’ determinerebbe, al contempo, l’impossibilita’ di configurare il dolo in capo allo stesso (OMISSIS), non essendo possibile, atteso il ricordato quadro di incertezza, che egli possa essersi rappresentato, fin dall’inizio, l’esatto ammontare del debito tributario, rimasto sconosciuto agli stessi organi dell’accertamento.
I menzionati vizi avrebbero un riverbero anche sul versante della motivazione che, nella specie, sarebbe sostanzialmente mancante, avendo la Corte omesso di indicare gli elementi in grado di condurre all’affermazione dell’esistenza dei vari requisiti di fattispecie.
Con il secondo motivo viene dedotta la nullita’ della sentenza ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e), per inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale e per vizio della motivazione con riferimento all’articolo 533 c.p.p., atteso che il giudice avrebbe fatto genericamente riferimento ad un macroscopico superamento della soglia, senza pero’ specificare il dato numerico relativo a tale superamento, che dunque verrebbe fondato su “ipotesi ricostruttive indimostrate e sprovviste di elementi oggettivi”.
Con l’ultimo motivo si eccepisce la nullita’ della sentenza sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e), per inosservanza ed erronea applicazione della legge processuale e per vizio della motivazione con riferimento agli articoli 81 e 133 c.p..
Il ricorrente censura il fatto che nonostante la declaratoria di non doversi procedere per due dei quattro reati per i quali era stata inflitta condanna in primo grado, la pena finale irrogata dal Giudice d’appello sia stata, comunque, aumentata. E cio’ sarebbe avvenuto, secondo (OMISSIS), sulla base di una stringata motivazione, fondata, da un lato, sulla apodittica affermazione per cui i reati accertati sarebbero gravi, dall’altro lato sulla condizione di pregiudicato dell’imputato, la cui ultima condanna avrebbe in realta’ riguardato una semplice pena pecuniaria, oltre che sul dato di una non meglio precisata pericolosita’ dello stesso (OMISSIS).
Con memoria ex articolo 121 c.p.p., pervenuta in data 9 giugno 2016, la Difesa dell’imputato ha ribadito come il quantum della somma evasa (asseritamente pari a 3.975.779,23 Euro), che a suo dire costituirebbe un elemento essenziale della fattispecie, non sia stato esattamente determinato, essendo stato lo stesso ipotizzato unicamente alla stregua di una presunzione tributaria, quella per cui determinate operazioni dovessero ritenersi inesistenti (con conseguente indeducibilita’ dei relativi importi di I.V.A. passiva), presunzione ritenuta non ammissibile in sede penale.
Inoltre, sempre con riferimento al delitto di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, non sarebbe stata acquisita la prova sia della natura fraudolenta delle condotte contestate, sia del profitto che l’imputato avrebbe tratto dalle stesse.
Quanto al primo profilo, infatti, la stipula dei negozi asseritamente fraudolenti sarebbe avvenuta prima che (OMISSIS) fosse sottoposto ad accertamenti da parte dell’amministrazione finanziaria; ed inoltre l’affitto dell’azienda si sarebbe accompagnato alla corresponsione dei relativi canoni, i quali sarebbero stati sistematicamente ignorati da (OMISSIS) e conferiti all’erario.
Sotto il secondo aspetto, non vi sarebbe la prova che l’imputato abbia tratto, dalle proprie condotte, alcun vantaggio economico, che secondo la giurisprudenza di legittimita’ dovrebbe essere effettivamente conseguito dall’agente, tali non potendosi, quindi, considerare le utilita’ economiche solo potenziali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso, che si articola attraverso un complesso intreccio di eccezioni sia in fatto che in diritto, non e’ manifestamente infondato.
Osservato, in via preliminare, che in nessuna parte del ricorso sono stati dedotti specifici motivi di censura in relazione al capo della sentenza che ha riconosciuto la responsabilita’ di (OMISSIS) per il delitto di cui al capo C), deve poi rilevarsi, con riferimento al delitto di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, che le censure dedotte attengono in parte alla ritenuta mancanza (o, comunque, insufficienza) di un quadro probatorio idoneo a dimostrare la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi propri della fattispecie de qua; in parte a profili attinenti alla stessa struttura del reato in questione, che, secondo il ricorrente, nel caso in esame non sarebbe rimasto integrato e sui quali appare dunque necessario soffermarsi partitamente.
Il Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 11, rubricato “sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”, puniva, nella versione ratione temporis applicabile nella specie, “con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad Euro 51.645, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”.
Sotto il profilo oggettivo e’, dunque, necessario che il soggetto attivo realizzi uno o piu’ operazioni attraverso cui “alieni simulatamente” dei beni o compia, comunque, “altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni”; operazioni idonee “a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”.
La norma incriminatrice, pertanto, se da un lato tipizza, in maniera sufficientemente precisa, attraverso il riferimento agli “atti simulati”, una modalita’ della condotta (l’alienazione simulata di beni del contribuente, realizzata sia nelle forme della simulazione assoluta e relativa, ad es. sotto forma della veridicita’ e congruita’ del prezzo pattuito, che in quelle della c.d. interposizione fittizia di persona: cfr., sul punto, Sez. 3, n. 14720 del 06/03/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239972), dall’altro lato, riferendosi al compimento di “altri atti fraudolenti”, utilizza una formula di chiusura che definisce un ambito assai ampio di condotte rilevanti, comprensivo di tutte le condotte attraverso le quali il contribuente intenda far apparire, contrariamente al vero, che i suoi beni non possano soddisfare la pretesa esecutiva erariale. Si pensi, per rimanere agli esempi dalla casistica giurisprudenziale, alla costituzione di un fondo patrimoniale (v. Sez. 3, n. 5824 del 18/12/2007, Soldera, Rv. 238821); o alla messa in atto, da parte degli amministratori, di piu’ operazioni di cessione di azienda e di scissioni societarie simulate finalizzate a conferire ai nuovi soggetti societari immobili (cfr. Sez. 3, n. 19595 del 09/02/2011, Vichi, Rv. 250471, secondo cui “nella fattispecie criminosa indicata rientra qualsiasi stratagemma artificioso del contribuente tendente a sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del debito tributario”); o, ancora, alla accensione di un’ipoteca su un immobile a garanzia di un credito fittizio ovvero al caso di alienazione simulata dei beni ad una societa’ di leasing con l’obbligo di cederli in locazione ad una societa’ di persone in cui erano soci i figli del contribuente, secondo lo schema del c.d. sale and lease back (cfr. Sez. 3, n. 14720 del 06/03/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239972). 0 si, pensi, infine, alla alienazione simulata dell’avviamento commerciale dell’azienda, finalizzata a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva (cfr. Sez. 3, n. 37389 del 16/05/2013, P.M. in proc. Ravera, Rv. 257589).
Tali atti, come precisato dalla giurisprudenza di legittimita’, non presuppongono “come necessaria la sussistenza di una procedura di riscossione coattiva”, non essendo questa espressamente prevista diversamente dall’omologa fattispecie, oggi abrogata, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, articolo 97, comma 6, (Sez. 3, n. 14720 del 06/03/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239971; Sez. 5, n. 7916 del 10/01/2007, Cutillo, Rv. 236053). Deve ritenersi, invece, sufficiente l’idoneita’ della condotta, da valutare con giudizio ex ante, “a rendere in tutto o in parte inefficace l’attivita’ recuperatoria dell’Amministrazione finanziaria” (cosi’ Sez. 3, n. 39079 del 09/04/2013, Barei e altro, Rv. 256376).
La fattispecie in esame, dunque, e’ oggi costruita dal legislatore non come reato di danno, ma come semplice reato di pericolo (Sez. 3, n. 36290 del 18/05/2011, Cualbu, Rv. 251076) rispetto “all’interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva” (Sez. 3, n. 3539 del 20/11/2015, Cepparo, Rv. 266133). Ne consegue che, a fortiori, l’idoneita’ a vanificare il soddisfacimento della pretesa erariale connessa all’obbligazione tributaria sussiste pacificamente quando si sia realizzata “una diminuzione, anche non totale, della garanzia patrimoniale generica offerta dal patrimonio del debitore fiscale” (cosi’ Sez. 3, n. 6798 del 16/12/2015, Arosio, Rv. 266134).
Sotto il profilo soggettivo, la fattispecie in esame si connota per la presenza di un dolo specifico, consistente nella finalizzazione dell’alienazione simulata o del compimento di altri atti fraudolenti, idonei a rendere inefficace la procedura di riscossione coattiva, alla sottrazione “al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrativi relativi a dette imposte” (Sez. 3, n. 27143 del 22/04/2015, Noviello, Rv. 264187; Sez. 3, n. 14720 del 06/03/2008, P.M. in proc. Ghiglia, Rv. 239970).
Quanto, poi, al superamento della soglia deve rilevarsi come esso costituisca una delle finalita’ della condotta cui deve rivolgersi il dolo specifico dell’agente. Costui deve, dunque, non soltanto rappresentarsi la sottrazione dell’imposta e il superamento del limite stabilito dalla norma incriminatrice, ma deve anche indirizzare la condotta verso tali specifici risultati, senza che, peraltro, entrambi gli obiettivi debbano necessariamente realizzarsi, essendo sufficiente, proprio per la struttura del reato, la mera idoneita’ della condotta a conseguirli.
Consegue alle considerazioni appena svolte in relazione alla struttura della fattispecie contestata, che non possono essere condivise le deduzioni del ricorrente in ordine sia al necessario effetto depauperatorio degli atti simulati o fraudolenti, sia al superamento della soglia di legge.
Infatti, la natura del delitto in esame come fattispecie di pericolo non impone che dall’atto apparentemente dispositivo consegua una effettiva erosione nell’area di garanzia dei crediti erariali costituita dal patrimonio del debitore, essendo sufficiente che si determini la semplice probabilita’, da valutare al momento del compimento dell’atto stesso, che l’attivita’ recuperatoria dell’Amministrazione finanziaria possa essere impedita, Nella stessa prospettiva, la circostanza che l’evasione di imposta rappresenti una mera finalita’ della condotta comporta, logicamente, che il superamento della soglia non debba essere stato necessariamente realizzato, purche’ la condotta sia, anche in tal caso, idonea a determinarlo.
Tanto premesso in relazione alla struttura del reato contestato al capo A), deve ritenersi che, diversamente da quanto opinato dal ricorrente, il Giudice d’appello abbia correttamente motivato in relazione all’acquisizione di un adeguato compendio probatorio su ciascuno dei ricordati elementi di fattispecie.
Per quanto concerne il profilo della natura simulata o comunque fraudolenta degli atti negoziali posti in essere da (OMISSIS) quale amministratore unico della (OMISSIS) S.r.l., sia la sentenza di primo grado che quella impugnata, le cui motivazioni sono destinate ad integrarsi reciprocamente “confluendo in un risultato organico ed inscindibile” (Sez. 5, n. 40005 del 7/03/2014, Lubrano Di Giunno, Rv. 260303; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa e altro, Rv. 236181), hanno puntualmente posto in luce, in primo luogo, come la societa’ fosse stata interessata, negli anni, da una pluralita’ di verifiche fiscali e come essa si trovasse in una situazione di forte esposizione nei confronti dell’Erario, tanto e’ vero che, secondo quanto riferito dal teste (OMISSIS), all’epoca del suo accesso nei locali della societa’, (OMISSIS) stava procedendo nei confronti della stessa, in vista della riscossione di tributi non pagati, in misura pari alla somma, indicata nell’atto di pignoramento presso terzi che era stato emesso, di 3.975.780 Euro (di cui 3.462.680 Euro per tributi non versati).
Per questa ragione, secondo la testimonianza della teste (OMISSIS), rispetto alla cui genuinita’ (OMISSIS) non ha dedotto alcun concreto argomento, le sentenze in esame hanno ricostruito, secondo un percorso logico immune da vizi di sorta, l’operazione architettata dall’imputato per neutralizzare tali iniziative da parte dell’erario, attraverso la costituzione di una societa’, la (OMISSIS) S.r.l., le cui quote di maggioranza appartenevano alla compagna di (OMISSIS), e alla cui amministrazione era stata posta la stessa (OMISSIS), in precedenza dipendente della (OMISSIS) S.r.l. La creazione della societa’, cui aveva fatto seguito la sottoscrizione a favore della stessa di un contratto di affitto di azienda da parte della (OMISSIS) S.r.l. nonche’ di un contratto per la cessione di alcuni beni aziendali (arredi e veicoli), non aveva pero’ modificato i reali assetti gestori dell’attivita’ di impresa, saldamente nelle mani di (OMISSIS).
Il teste (OMISSIS), al riguardo, ha raccontato che al momento dell’accesso finalizzato alla ispezione fiscale, (OMISSIS) era presente nella sede della (OMISSIS) e che egli si occupava delle vendite; ed ancora che l’imputato avrebbe dovuto affiancare altro personale della societa’, che pero’ non era presente ne’ fisicamente, ne’ sul libro paga.
Inoltre, nella sentenza di primo grado si e’ evidenziato che dai verbali di esecuzione del sequestro preventivo era risultato che (OMISSIS) fosse titolare di una delega per operare sui conti correnti bancari intestati a (OMISSIS). Ed ancora che il corrispettivo pattuito per l’affitto dell’azienda, il cui contratto era stato stipulato il 16/06/2006, non era stato versato se non dal 2007, e quindi successivamente alla notifica degli atti di intimazione al pagamento delle cartelle esattoriali; mentre il prezzo per la cessione di veicoli ed arredi era stato realizzato con modalita’ tali, bonifici e pagamenti, che non avevano consentito di riscontrarne l’effettiva esecuzione (attestata unicamente dalla presenza, in se’ non decisiva, di fatture).
Dunque, diversamente da quanto riportato nel ricorso, la prova del carattere fraudolento delle operazioni che portarono alla costituzione della (OMISSIS) e alla cessione simulata alla stessa del patrimonio aziendale della (OMISSIS) S.r.l., non e’ stata dai giudici di merito rinvenuta, unicamente, nelle dichiarazioni della teste (OMISSIS), ma anche nella deposizione del teste (OMISSIS) e in alcuni elementi di fatto (quali il potere di firma sui conti della (OMISSIS) concesso a (OMISSIS), la sua presenza fisica nei locali di tale societa’, unitamente all’assenza di altri impiegati alle dipendenza di essa) ritenuti estremamente significativi sul piano probatorio; elementi idonei a dimostrare come la costituzione della nuova societa’ non aveva in alcun modo inciso sulle modalita’ di svolgimento dell’attivita’ economica da parte di (OMISSIS), il quale, al di la’ del ruolo formalmente assunto dalla (OMISSIS), ne aveva mantenuto l’integrale controllo.
Sul piano logico non puo’, peraltro, opinarsi, al fine di escludere il carattere fraudolento delle operazioni, la circostanza che i canoni di locazione dell’immobile, cosi’ come quello d’affitto dell’azienda, fossero stati effettivamente corrisposti da (OMISSIS) a mezzo di bonifico bancario o che i veicoli siano stati effettivamente ceduti, secondo quanto documentato dalle relative ricevute.
Infatti, il carattere fraudolento di determinate operazioni negoziali presuppone, quale dato pressoche’ costante, che l’operazione simulata o l’attivita’ fraudolenta siano celiate attraverso lo schermo formale di attivita’ o documenti apparentemente regolari. E, tuttavia, come sottolineato, correttamente sul piano logico, nella sentenza gravata, proprio il complesso degli elementi probatori prima richiamati ha consentito di riscontrare come, dietro tale schermo, si nascondesse un’operazione rivolta, attraverso l’affitto dell’azienda e la cessione di importanti beni del patrimonio aziendale, a sottrarre all’erario i beni da sottoporre alla procedura esecutiva.
Non concludente, al riguardo, e’ l’argomento, reiteratamente dedotto dall’imputato, secondo cui, essendo emerso che i contratti erano stati stipulati ben prima dell’avvio della procedura di riscossione da parte di (OMISSIS), e finanche prima all’avvio delle procedure di accertamento da parte delle polizia tributaria e dell’Agenzia delle entrate, non sarebbe stato dimostrato l’intento elusivo rispetto a tale procedura, sicche’ difetterebbe l’elemento soggettivo del reato.
Come efficacemente osservato dalla sentenza di primo grado, infatti, la (OMISSIS) S.r.l. era gia’ stata sottoposta a verifiche fiscali, dalle quali erano scaturiti degli avvisi di accertamento dell’Agenzia delle entrate gia’ nel 2004 e 2005, sicche’ anche sotto tale profilo’ le dichiarazioni della (OMISSIS) hanno trovato, sul piano logico, puntuale e coerente riscontro.
Quanto poi alla mancanza, per effetto delle operazioni descritte, di un effetto depauperatorio rispetto al patrimonio della (OMISSIS) S.r.l., giova osservare che se per un verso l’idoneita’ dell’attivita’ fraudolenta a intaccare l’area di garanzia aggredibile da parte del creditore erariale costituisce certamente, come rilevato dal ricorrente, un elemento autonomo rispetto all’attivita’ simulata o fraudolenta, per altro verso esso non deve consistere, come gia’ puntualizzato, in una effettiva deminutio e, dunque, in un evento di danno, quanto, piuttosto, in una probabile riduzione della sfera patrimoniale del debitore, stante la natura di reato di pericolo riconosciuta alla fattispecie in questione. E non vi e’ dubbio, nel caso che occupa, sul fatto che la creazione di un soggetto giuridico al quale trasferire una parte cospicua del patrimonio aziendale, unitamente alla stessa gestione dell’attivita’ di azienda e dei connessi ricavi, comportasse il venir meno, quantomeno per i beni ceduti e per le componenti reddituali prodotte dall’azienda, facilmente occultabili, della possibilita’ di sottoporli alla procedura esecutiva.
Sul punto si e’ gia’ rilevato come la Difesa abbia eccepito, da un lato, che non sarebbe stato provato il superamento della soglia di punibilita’, pari a 51.645,69 Euro, considerato che l’ammontare del debito oggetto della procedura di riscossione sarebbe stato determinato in maniera ipotetica, sulla base della ritenuta inesistenza di alcune operazioni di vendita ed acquisto, attuate mediante prestanome; e, dall’altro lato, che, proprio per tale ragione, (OMISSIS) non potrebbe essersi rappresentato, fin dall’inizio, l’esatto ammontare del debito tributario.
Sotto il primo profilo deve, tuttavia, ribadirsi che la fattispecie contestata, postulando che la condotta fraudolenta sia stata realizzata al fine “di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad Euro cinquantamila”, presuppone non l’effettivo superamento della soglia, quanto che, appunto, il colpevole agisca in vista del conseguimento di quello specifico obiettivo. E, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, appare Corrispondentemente necessario che l’agente debba unicamente rappresentarsi il medesimo obiettivo, senza doversi necessariamente rappresentare (e volere) il preciso conseguimento di un “risultato economico” che, al momento dell’atto fraudolento, potrebbe non essere ancora consolidato o comunque predeterminabile con assoluta esattezza.
Tale puntualizzazione consente di ritenere che le sentenze di primo e secondo grado abbiano adeguatamente motivato il profilo relativo alla sussistenza dell’elemento soggettivo, considerato che in particolare nella pronuncia del giudice di prime cure si e’ dato adeguatamente conto della circostanza che al momento della costituzione della nuova societa’ e della stipulazione, avvenuta il mese successivo, dell’affitto d’azienda, fossero gia’ stati emessi alcuni avvisi di accertamento, che poi avrebbero portato alla emissione dell’atto di pignoramento presso terzi della somma di 3.975.780, di cui 3.462.680 Euro dovuti per tributi non versati.
Appare, dunque, logico ritenere, secondo quanto correttamente argomentato dai giudici di merito, che la creazione della nuova societa’ e le successive operazioni volte al trasferimento dei beni e della redditivita’ della Intergroup fossero preordinate a sottrarre all’azione esecutiva del Fisco delle somme molto ingenti, che certamente l’imputato conosceva non nel loro preciso ammontare, ma che poteva riferire, conoscendo il giro d’affari aziendale, a un ordine di grandezza superiore alla predetta soglia, secondo quanto del resto emerge sia dal ricordato atto di pignoramento, sia dagli altri capi di imputazione, che rimandano a cospicue somme di acconti IVA non versati, di gran lunga eccedenti la soglia stessa.
Le considerazioni che precedono palesano, altresi’, l’infondatezza del secondo motivo di ricorso, che sostanzialmente si basa sulla mancata specificazione del dato quantitativo relativo al superamento della soglia, sicche’ tale elemento di fattispecie sarebbe rimasto indimostrato alla stregua di indici oggettivi.
Tale specificazione deve infatti ritenersi, per le ragioni anzidette, in ogni caso non necessaria, fermo restando che, nella specie, essa e’ comunque ricavabile dalle somme oggetto dell’atto di pignoramento.
E’, infatti, evidente che sebbene tale atto sia successivo rispetto al compimento delle attivita’ simulate poste in essere da (OMISSIS), le relative procedure di accertamento delle imposte evase fossero state, per le ragioni gia’ illustrate, ormai avviate da tempo, sicche’ appare del tutto logico ritenere, secondo quanto e’ stato correttamente illustrato dalle sentenze di merito, che l’imputato avesse di mira, con il complesso delle attivita’ negoziali descritte, proprio “di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi”, ovviamente rendendo infruttuosa, dall’amministratore finanziaria, la procedura esecutiva che di li’ a poco sarebbe stata avviata.
5.1 Sulla base di quanto sin qui argomentato, deve ritenersi che la sentenza impugnata, cosi’ come integrata dalla provvedimento di primo grado, abbia correttamente motivato in ordine alla sussistenza del delitto contestato al capo A), sicche’ le censure dedotte dal ricorrente devono essere rigettate.
Tuttavia, deve osservarsi che, nelle more, e’ ormai decorso il termine di prescrizione relativo al delitto in esame, maturato il 16/12/2013, considerato che la data dell’ultimo degli atti negoziali contestati che e’ stata indicata in sentenza (ovvero il contratto d’affitto dell’azienda) e’ quella del 16/06/2006.
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, con riferimento al capo relativo al delitto contestato al capo A), per essersi lo stesso estinto per intervenuta prescrizione.
6. La sentenza deve essere, conseguentemente, altresi’ annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Genova in vista della rideterminazione del trattamento sanzionatorio relativo al residuo delitto di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, commesso il (OMISSIS) e contestato al capo C), fermo restando il definitivo accertamento della o’ ‘ penale dell’imputato in relazione ad esso.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, di cui al capo a) dell’imputazione per essere il reato stesso estinto per prescrizione e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Genova per la determinazione della pena relativa al residuo reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, commesso il (OMISSIS) di cui al capo c).

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