Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 7 giugno 2017, n. 28090

Il curatore non è legittimato a impugnare il sequestro preventivo, anche per equivalente, emerso prima della dichiarazione di fallimento di un’impresa in quanto non è titolare di alcun diritto sui beni del fallito.

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 7 giugno 2017, n. 28090

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – rel. Consigliere

Dott. ROSI Elisabetta – Consigliere

Dott. CERRONI Claudio – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

FALLIMENTO (OMISSIS) S.R.L., IN PERSONA DEL CURATORE (OMISSIS);

avverso l’ordinanza in data 21.11.2016 del Tribunale di Roma;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Donatella Galterio;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Cuomo Luigi, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza in data 21.11.2016 il Tribunale di Roma ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dal Curatore Fallimentare della (OMISSIS) s.r.l. per ottenere la revoca del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta avente ad oggetto i saldi attivi giacenti sui conti correnti della societa’, nonche’ di eventuali titoli di credito o fondi che ivi dovessero affluire sul rilievo della mancanza di legittimazione ad agire in capo al ricorrente.

Avverso la suddetta sentenza quest’ultimo ha proposto per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando sette motivi eccependo in sintesi:

1) la sussistenza della legittimazione in capo al Curatore Fallimentare il quale in quanto organo gestorio della procedura concorsuale, che priva di qualsiasi contenuto il diritto di proprieta’ del fallito sui beni sociali sottraendogliene altresi’ la gestione ed il godimento, acquisisce la titolarita’ sostanziale dei beni suddetti al fine di destinarli al soddisfacimento dei creditori secondo l’ordine di prelazione previsto ex lege, tenuto conto che le somme in sequestro verrebbero automaticamente acquisite alla massa mobiliare del fallimento;

2) la carenza di motivazione in ordine alle puntuali argomentazioni dedotte con l’atto di appello in violazione dall’articolo 125 c.p.p.;

3) l’erroneo richiamo alla disciplina di cui al Decreto Legislativo n. 231 del 2001 attesa la diversa finalita’, esclusivamente sanzionatoria, cui e’ sottesa la confisca rispetto al sequestro preventivo, volto invece ad evitare la commissione di ulteriori reati ovvero l’aggravamento di quelli gia’ compiuti, e la conseguente inapplicabilita’ della suddetta disciplina peraltro nell’ambito di un procedimento in cui la persona giuridica non risulta imputata;

4) la mancanza del fumus boni juris in ordine ad un elemento essenziale del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10-bis contestatogli, costituito dal rilascio della certificazione di avvenuto versamento al sostituto di imposta, la mancanza della quale consente al piu’ di ipotizzare un’omessa presentazione della dichiarazione annuale;

5) l’illegittimita’ dell’automatismo operato con la misura cautelare disposta rispetto alle somme in concreto sequestrate senza la prova che le medesime fossero funzionalmente ricollegabili al profitto del reato che, anche ove rappresentato da un risparmio di spesa, avrebbero dovuto costituire le somme distratte al versamento delle ritenute operate dall’impresa societaria, atteso che altrimenti si verserebbe nella diversa ipotesi di confisca per equivalente;

6) la mancanza di motivazione in ordine alla prospettata scriminante relativa alla crisi finanziaria in cui versava la societa’, puntualmente documentata con il bilancio di esercizio dell’anno 2011 e relativa nota integrativa, tale da escludere l’elemento soggettivo del reato, ovverosia la volontarieta’ della condotta;

7) la mancata considerazione della prevalenza delle ragioni della massa dei creditori, in relazione alla quale l’acquisizione dei beni sequestrati alla curatela non farebbe venir meno le ragioni della cautela perseguita con la misura cautelare volta ad impedire al reo di trarre beneficio dal profitto del reato, assicurando al contempo la garanzia dei creditori sul patrimonio dell’impresa fallita.

Con memoria depositata in data 28.4.2017 il ricorrente ha ribadito ed ulteriormente illustrato le ragioni poste a fondamento del primo motivo di ricorso alla luce del contrario avviso espresso dal PG in ordine alla legittimazione ad agire in capo alla Curatela fallimentare

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso non puo’ essere ritenuto ammissibile.

Preclusiva alla sua disamina e’ la carenza di legittimazione ad agire in capo alla curatela, senza che le censure svolte con il primo motivo di ricorso ed ulteriormente ribadite nella memoria successivamente depositata dal ricorrente siano idonee a scalfire le puntuali e diffuse argomentazioni spese nell’ordinanza impugnata, del tutto conformi al consolidato orientamento di questa Corte.

La legittimazione del Curatore a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo funzionale alla confisca dei beni della societa’ fallita, gia’ univocamente esclusa dalle Sezioni Unite sul rilievo della sua posizione di terzieta’ rispetto al provvedimento di sequestro in quanto privo della titolarita’ nell’accezione piena del termine dei beni che ne costituiscono l’oggetto e della mancanza di un rapporto di rappresentanza dei creditori, privi fino alla conclusione della procedura concorsuale di alcun diritto sui beni acquisiti alla massa fallimentare n. 11170 del 25/09/2014 – dep. 17/03/2015, Uniland, Rv. 263685) deve essere a fortiori ribadita allorquando la dichiarazione di fallimento della societa’ i cui beni siano stati colpiti dal provvedimento di sequestro sia successiva a quest’ultimo.

Non puo’ invero revocarsi in dubbio che quando i beni furono assoggettati al vincolo della cautela reale penale non vi era alcuna ragione, ne’ di diritto ne’ di fatto, per ritenere che non fossero nella disponibilita’ dell’indagato (OMISSIS) o comunque nella disponibilita’ di (OMISSIS) s.r.l. quale persona giuridica distinta dalla persona fisica dell’indagato, non potendo di certo essere inclusi nell’attivo di un fallimento ancora non dichiarato, e dunque inesistente e che in ogni caso l’apertura del fallimento non determina alcuna successione a titolo particolare del curatore al fallito, quantunque quest’ultimo perda per effetto della sentenza dichiarativa di fallimento l’amministrazione ed il potere di disporre dei suoi beni. La specifica questione e’ stata espressamente affrontata da un recentissimo arresto di questa Corte che ha affermato che “il curatore fallimentare non e’ legittimato a proporre impugnazione avverso il provvedimento di sequestro preventivo, anche per equivalente, emesso anteriormente alla dichiarazione di fallimento di un’impresa in quanto non e’ titolare di alcun diritto sui beni del fallito, ne’ in proprio, ne’ quale rappresentante dei creditori del fallito i quali, prima della conclusione della procedura concorsuale, non hanno alcun diritto restitutorio sui beni.

(In motivazione la Corte ha precisato che la legittimazione per impugnare consegue alla effettiva disponibilita’ del bene e che, invece, la dichiarazione di fallimento successiva al sequestro non conferisce alla procedura la disponibilita’ dei beni del fallito in considerazione del fatto che, da un lato, questi ne conserva il diritto di proprieta’ e, dall’altro, che il pregresso vincolo penale assorbe ogni potere fattuale su tali beni, escludendo ogni disponibilita’ diversa sugli stessi) (Sez. 3, n. 42469 del 12/07/2016 – dep. 07/10/2016, Amista, Rv. 268015).

Il difetto di legittimazione del ricorrente all’impugnativa impone di ritenere gli ulteriori motivi di ricorso assorbiti.

Non sussistendo pertanto i presupposti per invocare l’intervento di questa Corte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali e di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Motivazione semplificata.

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