Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 6 luglio 2017, n. 32880

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 6 luglio 2017, n. 32880

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NICOLA Vito – Presidente

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. MENGONI Enrico – Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandr – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nata a (OMISSIS) il (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS) l'(OMISSIS);

avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova del 20 novembre 2015;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro M.;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso per l’inammissibilita’ dei ricorsi;

udito il difensore, avv. (OMISSIS).

RITENUTO IN FATTO

1. – Con sentenza del 20 novembre 2015, la Corte d’appello di Genova ha parzialmente confermato la sentenza del Tribunale di Genova del 23 novembre 2012, con cui gli imputati erano stati condannati a diverse pene, per reati di cui all’articolo 81 c.p., comma 2, e articolo 479 c.p., per avere, nell’esercizio delle funzioni di pubblici ufficiali addetti all’autenticazione delle firme dei sottoscrittori di una lista provinciale di candidati per l’elezione della giunta regionale e del consiglio regionale, attestato falsamente, con piu’ azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, che le firme di alcuni sottoscrittori erano autentiche e apposte in loro presenza (il (OMISSIS)).

La Corte d’appello, in parziale accoglimento dell’impugnazione del Procuratore della Repubblica, ha riqualificato i fatti ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960, articolo 90 e ha aumentato la pena inflitta all’imputato (OMISSIS).

2. – Avverso la sentenza gli imputati hanno proposto, tramite il difensore e con unico atto, ricorsi per cassazione, chiedendone l’annullamento.

2.1. – Con un primo motivo di doglianza, si lamentano l’erronea applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960, articolo 100, nonche’ vizi della motivazione in relazione alla prescrizione del reato. La difesa lamenta che la Corte d’appello avrebbe aderito all’orientamento giurisprudenziale secondo cui tale disposizione ha la funzione di disciplinare una speciale azione, accordata a qualsiasi lettore, nell’ambito temporale di due anni dall’ultimo verbale di deposito delle elezioni. Secondo la difesa la previsione di termini decadenziali per l’azione prevista dall’articolo 100, comma 1 del Decreto del Presidente della Repubblica richiamato non avrebbe senso ne’ in relazione alla costituzione di parte civile, ne’ di relazione alla possibilita’ di denunciare il fatto di reato all’autorita’ giudiziaria. Dalla giurisprudenza della Corte costituzionale emergerebbe, del resto, la natura di termine prescrizionale del termine previsto dal cit. articolo 100, comma 2 (sentenza n. 394 del 2006). In ogni caso, in presenza di difformi orientamenti giurisprudenziali, la Corte distrettuale avrebbe avuto l’onere di motivare in punto diritto sull’interpretazione prescelta.

2.2. – Con un secondo motivo di doglianza, si lamenta la mancanza della motivazione in relazione alla richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche, sul rilievo che tutti i soggetti che avevano disconosciuto la loro firma o negato di averla apposta al cospetto degli imputati avevano comunque precisato di avere voluto, nella sostanza, sostenere la lista o di avere delegato altri soggetti ad apporre tale firma. E la condizione di incensurati degli imputati sarebbe stata richiamata dalla difesa solo quale ulteriore elemento da prendere in considerazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. – I ricorsi sono infondati.

3.1. – Quanto al primo motivo, deve essere qui richiamato il principio, costantemente affermato dalla piu’ recente giurisprudenza di questa Corte, secondo cui i reati in materia elettorale sono soggetti al termine di prescrizione ordinario, previsto in via generale dal cod. pen., perche’ il termine biennale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960, articolo 100 non riguarda l’azione penale del pubblico ministero, ma esclusivamente la decadenza dall’azione popolare che, in forza di una previsione speciale, qualunque elettore puo’ promuovere costituendosi parte civile nei procedimenti relativi ai reati previsti dal cosiddetto Testo unico delle leggi elettorali (ex multis, Sez. 5, n. 26563 del 29/04/2014, Rv. 259969; Sez. 5, n. 14342 del 12/03/2014, Rv. 258969; Sez. 3, n. 5603 del 11/01/2011, Rv. 249417). E tale soluzione interpretativa si impone perche’ coerente con i principi enunciati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 394 del 2006, laddove si evidenzia la necessita’ di assicurare efficace tutela ad un bene giuridico di rango particolarmente elevato. Invero, nel rilevare la intollerabile natura di “norma di favore” del Decreto del Presidente della Repubblica n. 570 del 1960, articolo 90, comma 3 (e nello stabilirne quindi la incostituzionalita’, in ragione della “palese dissimmetria” rispetto al trattamento sanzionatorio previsto per gli “ordinari” delitti di falso), il Giudice delle leggi ha sottolineato la gravita’ dei falsi elettorali in quanto essi insidiano “il principio democratico della rappresentativita’ popolare”, ponendo in crisi “il regolare svolgimento delle operazioni elettorali”. Se, pertanto, il bene strumentale intermedio protetto dalla norma e’ – come in tutti i delitti di falso – la pubblica fede, il bene finale tutelato dal reato in questione appare di rango particolarmente elevato, anche e soprattutto sul piano della rilevanza costituzionale, atteso che esso mira a garantire “il libero ed efficace esercizio del diritto di voto” (Sez. 5, n. 51523 del 14/11/2013, Rv. 258025). Nessuna prescrizione dei reati contestati si e’, dunque, verificata nel caso di specie, dovendo trovare applicazione l’ordinario termine complessivo di sette anni e sei mesi, ai sensi dell’articolo 157 c.p., comma 1, e articolo 161 c.p., comma 2.

Relativamente alla pretesa mancanza di motivazione sull’interpretazione del richiamato articolo 100, e’ sufficiente qui ribadire che, nel giudizio di cassazione, il vizio di motivazione non e’ denunciabile con riferimento a questioni di diritto, posto che il giudice di merito non ha l’onere di motivare l’interpretazione prescelta, essendo sufficiente che il risultato finale sia corretto, come nel caso di specie. Infatti, l’articolo 606 c.p.p., lettera b) e c), si riferiscono all’inosservanza ed all’erronea applicazione della legge e non al percorso logico-argomentativo del giudice, a differenza della successiva lettera e), che si riferisce, peraltro, ai profili in fatto della motivazione (ex plurimis, Sez. 1, n. 16372 del 20/03/2015, Rv. 263326; Sez. 3, n. 6174 del 23/10/2014, dep. 11/02/2015, Rv. 264273; Sez. 2, n. 19696 del 20/05/2010, Rv. 247123).

Ne deriva l’infondatezza del primo motivo di ricorso.

3.2. – Il secondo motivo – riferito le circostanze attenuanti generiche – e’ inammissibile per genericita’. La difesa si limita infatti ad asserire che vi sarebbe un elemento positivo di giudizio non preso in considerazione dalla Corte d’appello, rappresentato dal fatto che i soggetti che avevano disconosciuto la loro firma o avevano negato di averla apposta al cospetto degli imputati avevano comunque precisato di aver voluto sostenere la lista. La stessa difesa non precisa, pero’, in quali atti processuali non considerati dalla Corte d’appello tale affermazione troverebbe fondamento, non mettendo in grado questa Corte di esercitare alcun sindacato sul punto. Ne’ – come implicitamente riconosciuto dalla stessa difesa – puo’ essere presa in considerazione, ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, la mera incensuratezza degli imputati, in presenza del divieto posto dall’articolo 62 bis c.p., comma 3.

4. – I ricorsi, conseguentemente, devono essere rigettati, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali

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