Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 30 novembre 2016, n. 50755

Viene annullata la sentenza di condanna per tentativo di violenza sessuale emessa nei confronti di un medico per aver costretto più donne a subire atti sessuali consistiti, tra l’altro, nel palpeggiamento e nello strusciamento del proprio organo sessuale sul fondoschiena delle stesse in quanto i requisiti necessari per la configurabilità del tentativo non erano stati tratti, come necessario, dalla valutazione della oggettiva condotta in sé considerata, ma da altri fatti del tutto distinti da quello

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III PENALE

SENTENZA 30 novembre 2016, n. 50755

Ritenuto in fatto

K.B.H.R. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Cagliari, sez. dist. di Sassari, che ha confermato la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Sassari di condanna alla pena di anni due e mesi otto di reclusione per plurimi reati, tentati e consumati, di cui agli artt. 609 bis c.p. per avere, quale medico, costretto più donne a subire atti sessuali consistiti, tra l’altro, nel palpeggiamento e nello strusciamento del proprio organo sessuale sul fondoschiena delle stesse.

Deduce, con un primo motivo, l’errata configurabilità dei reati tentati quanto ai capi d’imputazione sub c) ed h) essendo mancati in essi il requisito della direzione non equivoca degli atti rientrando invece eventualmente negli atti preparatori irrilevanti sotto il profilo penale. La Corte ha infatti erroneamente desunto la non equivocità dell’atto, comunque di natura medica, dal concreto operare dell’imputato in altre occasioni e dunque aliunde, dovendo invece essere tratta guardando all’atto in sé.

Con un secondo motivo ha lamentato la violazione degli artt. 192, 438 e 442 c.p.p. quanto al reato contestato al capo i) avendo la persona offesa ripetutamente riferito che venne sottoposta ad atti sessuali durante visita fiscale verificatasi il 2 gennaio 2010 ed essendo invece inconfutabilmente risultato dagli atti Inps e dalla certificazione relativa, riportanti infatti la diversa data dei 2 febbraio 2010, che in tale data del 2 gennaio alcuna visita fiscale venne effettuata; ne consegue che nessuna visita fiscale può essere stata appunto effettuata dall’imputato in data 2 gennaio 2010, ovvero nella data indicata in imputazione, ma semmai altra visita per altra ragione; sicché, mancando la veste di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, il reato non sarebbe procedibile d’ufficio, essendo inoltre il verbale s.i.t., anche laddove interpretabile come querela, abbondantemente tardivo.

Con un terzo motivo lamenta violazione della legge penale laddove i giudici, nel determinare la pena per la continuazione, non hanno quantificato la porzione corrispondente ad ogni singolo reato satellite.

Considerato in diritto

Il primo motivo del ricorso è fondato.

Con riguardo alle condotte segnatamente tenute dall’imputato nei confronti delle persone offese L.N. e P.E., specificamente contestate ai capi c) ed h) dell’imputazione, già la sentenza di primo grado aveva ritenuto di degradare le stesse dalla forma consumata, in origine contestata, a quella tentata sul presupposto che l’imputato si sarebbe limitato all’atto preliminare del massaggio in zone non erogene come le tempie, il collo, le braccia o la schiena delle donne senza riuscire ad attingere in alcun modo zone invece erogene, come invece accaduto in tutte le restanti occasioni per le quali è stato ravvisato il reato consumato, per il comportamento delle due vittime che ebbero a sottrarsi al massaggio.

Anche la sentenza impugnata ha confermato la ‘neutralità’ del massaggio praticato, giunto dal collo e dalle spalle unicamente sino alle braccia e ha desunto la sussistenza del tentativo dal fatto che la sottrazione delle due donne al massaggio avrebbe impedito all’imputato di proseguire oltre nella abituale condotta tenuta, invece, in molteplici altre occasioni. In altri termini, quindi, pare di comprendere che la idoneità ed univocità degli atti sia stata desunta dai giudici non dalla natura o dalla direzione degli stessi (come ad esempio è, nel caso, citato, invero non propriamente, dal Tribunale, a conferma della propria impostazione, di chi, indirizzato a toccare una zona erogena, venga deviato ad una non erogena per la pronta reazione della vittima : cfr. Sez. 3, n.27469 del 05/06/2008, Rv. 240338), ma dal fatto che, ove il massaggio non si fosse interrotto, certamente lo stesso sarebbe proseguito con le modalità più volte poste in essere in altre analoghe occasioni dall’imputato. Sicché, come correttamente lamentato dal ricorrente, i requisiti necessari per la configurabilità del tentativo non sono stati tratti, come necessario, dalla valutazione della oggettiva condotta in sé considerata, ma da altri fatti del tutto distinti da quello. E del resto, il fatto che in tutte le restanti occasioni l’imputato abbia attuato simili condotte non prova, da un punto di vista strettamente logico, che, anche nei due casi appena ricordati, il fatto avrebbe dovuto ineluttabilmente degenerare in tal senso, solo in tal caso, infatti, potendo configurarsi l’idoneità ed univocità del massaggio a porre in essere un atto di carattere sessuale. Né, ancora, si comprende con precisione dalla sentenza, che pure ha cura di riportare parte delle dichiarazioni rese dalle due persone offese, per quale ragione le due donne, a fronte di un massaggio sino a quel momento pacificamente intervenuto su zone non erogene, si sarebbero sottratte, ad un certo punto, allo stesso, tale particolare potendo invece essere eventualmente rilevante proprio al fine di valutare l’atto in sé sino a quel momento compiuto. Ne deriva dunque l’annullamento della sentenza sul punto con rinvio per nuovo esame che tenga conto di quanto sin qui evidenziato.

Il secondo motivo, volto a contestare la procedibilità d’ufficio per il reato di cui al capo i) dell’imputazione, è invece infondato.

Premesso che, in effetti, risulta dalla sentenza impugnata che la persona offesa L., sentita a sommarie informazioni, ebbe a riferire che l’accesso dell’imputato avvenne in data 2 gennaio 2010 mentre dagli atti a disposizione dell’Inps per cui conto l’imputato operava, è risultato che la visita venne inequivocabilmente effettuata il 2 febbraio 2010, la Corte territoriale ha logicamente spiegato, sì da non essere l’affermazione sindacabile da questa Corte, come il dato riferito dalla donna sia stato dovuto ad un cattivo ricordo; infatti, da un lato, ha valutato il lungo tempo passato tra il momento dei fatti, gennaio o febbraio che fosse, e il momento in cui venne sporta querela, e dall’altro ha sottolineato che il Dr. A., direttore provinciale dell’Inps, che si occupò della vicenda, dopo avere parlato con un collaboratore che aveva raccolto per primo le lamentele della donna, ebbe ad interloquire con la donna proprio nel mese di febbraio.

Corretta appare pertanto la conclusione della sentenza nel senso che la visita sia stata appunto effettuata dall’imputato come medico fiscale e, dunque, in qualità di pubblico ufficiale.

E’ infine inammissibile, a norma dell’art. 606, comma 3, c.p.p., il terzo motivo con cui il ricorrente lamenta che i giudici di merito non abbiano individuato la singola porzione di pena attribuibile a titolo di aumento per la continuazione ad ognuno dei reati satellite.

Premesso che la determinazione della pena effettuata in sede di primo grado è rimasta immutata in sede di appello, dalla sentenza impugnata risulta che tra i motivi di appello non vi era la doglianza in esame, proposta quindi inammissibilmente per la prima volta dinanzi a questa Corte.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai capi sub c) ed h) e rinvia per nuovo esame sul punto alla Corte d’Appello di Cagliari. Rigetta nel resto il ricorso

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