Sentenza di condanna per atti osceni aggravati in quanto commessi all’interno dei luoghi aperti al pubblico (un esercizio commerciale di rilevanti dimensioni), abitualmente frequentato anche da minori; ritenunta irrilevante nel caso di specie la sopravvenuta depenalizzazione della fattispecie (non aggravata) di atti osceni ed escludendo che il fatto potesse ritenersi di particolare tenuità, in considerazione della sua non modesta offensività
Suprema Corte di Cassazione
sezione III penale
sentenza 3 ottobre 2016, n. 41130
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI Elisabetta – Presidente
Dott. MANZON Enrico – Consigliere
Dott. LIBERATI Giovanni – rel. Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Cagliari nel procedimento nei confronti di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 10/7/2014 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nuoro;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. POLICASTRO Aldo, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio perche’ il fatto non e’ previsto dalla legge come reato, con la trasmissione degli atti al Prefetto di Nuoro.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 10 luglio 2014 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cagliari, all’esito di giudizio abbreviato, ha condannato (OMISSIS) alla pena di un mese e quindici giorni di reclusione per il reato di cui all’articolo 527 c.p. (per avere, all’interno di una attivita’ commerciale, compiuto atti osceni consistiti nell’infilare la mano nella tasca dei pantaloni toccandosi i genitali fino a raggiungere lâEuroËœeiaculazione nonostante la presenza di passanti e impiegati), aggravato dall’aver commesso il fatto all’interno di luoghi aperti al pubblico abitualmente frequentati anche da minori.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Procuratore Generale presso la Corte d’appello, affidato a due motivi, cosi’ riassunti entro i limiti previsti dall’articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con un primo motivo ha denunciato violazione di legge penale, in riferimento agli articoli 49 e 527 c.p., lamentando l’omessa considerazione della inoffensivita’ in concreto della condotta dell’imputato e della lieve tenuita’ del fatto ai sensi dell’articolo 131 bis c.p..
2.2. Con un secondo motivo ha denunciato vizio di motivazione in ordine alla lesivita’ in concreto della condotta dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del Pubblico Ministero e’ infondato.
Mediante le censure formulate con entrambi i motivi di ricorso il Pubblico Ministero tende, in realta’, a conseguire una rivisitazione dell’accertamento della vicenda in punto di fatto compiuto dal primo giudice (quanto alle condotte concretamente poste in essere dall’imputato e, soprattutto, alla loro percezione da parte dei passanti ed alle caratteristiche del luogo in cui le stesse si verificarono), prospettando per tale via l’inoffensivita’ delle condotte ascritte all’imputato e la loro particolare tenuita’, sulla base di una diversa ricostruzione della vicenda, secondo cui le condotte dell’imputato non sarebbero state notate dalle persone presenti, e, quindi, sarebbero prive di concreta offensivita’ o, comunque, non punibili per la loro particolare tenuita’, deducendo anche un vizio di motivazione al riguardo.
Attraverso tale prospettazione, tuttavia, il Pubblico Ministero tende a conseguire una diversa ricostruzione del fatto, fondata sulla mancata percezione da parte di terzi (e soprattutto da parte di minori) di quanto compiuto dall’imputato, non ammissibile nel giudizio di legittimita’ se non in presenza di vizi della motivazione, nella specie non ravvisabili, in quanto il Tribunale e’ pervenuto alla affermazione di responsabilita’ dell’imputato in ordine al delitto aggravato, cosi’ come contestato, sulla base di quanto riferito dagli astanti a proposito della condotta dell’imputato, sottolineando come questi ne ebbero una chiara ed inequivoca percezione, e delle caratteristiche del luogo in cui vennero poste in essere (un esercizio commerciale frequentato da una moltitudine indifferenziata di persone, tra cui anche minori), con la conseguente sussistenza del presupposto per la configurabilita’ della aggravante contestata.
Il reato di atti osceni ha, infatti, natura di reato di pericolo e, pertanto, la visibilita’ degli atti e la astratta possibilita’ che vi assistano dei minori deve essere valutata ex ante, in relazione al luogo ed all’ora in cui la condotta sia posta in essere (Sez. 6, n. 44214 del 24/10/2012, Natali, Rv. 254794; Sez. 3, n. 12419 del 06/02/2008, Zinoni, Rv. 239838; Sez. 3, n. 4954 del 17/12/1999, Moresco, Rv. 216562).
Tale valutazione e’ stata correttamente compiuta dal primo giudice, che, sulla base delle natura e delle caratteristiche del luogo in cui venne posta in essere la condotta incriminata (un esercizio commerciale di rilevanti dimensioni nel quale si trovavano esposti per la vendita generi vari, come tale potenzialmente frequentato anche da minori), ha ritenuto, con accertamento in fatto non censurabile nel giudizio di legittimita’, sia che gli atti compiuti fossero visibili, sia che il luogo fosse frequentato da minori, con la conseguente sussistenza del reato aggravato contestato all’imputato.
Cio’ comporta l’infondatezza dei rilievi sollevati dal Pubblico Ministero ricorrente, stante la logica ricostruzione della vicenda compiuta dal primo giudice, corretta sul piano del diritto e non sindacabile in linea di fatto.
Ne consegue l’irrilevanza della sopravvenuta depenalizzazione della fattispecie non aggravata di cui all’articolo 527 c.p., comma 1, a seguito della entrata in vigore del Decreto Legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 (pubblicato nella G.U. n. 17 del 22/1/2016), che ha configurato tale fattispecie come illecito amministrativo, punito con la sanzione pecuniaria da Euro 5.000,00 ad Euro 30.000,00, lasciando inalterata la rilevanza penale dell’ipotesi di cui al comma 2 della medesima disposizione, con la previsione della applicabilita’ della reclusione da sei mesi a quattro anni e sei mesi: poiche’, come evidenziato, e’ stata riconosciuta la responsabilita’ dell’imputato in ordine alla fattispecie aggravata di cui all’articolo 527 c.p., comma 2, quale contestatagli, e tale affermazione di responsabilita’ non risulta scalfita dal ricorso proposto dal Pubblico Ministero, va esclusa la depenalizzazione del fatto ascritto all’imputato.
Per le medesime considerazioni risulta infondato anche il rilievo relativo alla non punibilita’ del fatto a cagione della sua lieve entita’, in considerazione della sua modesta offensivita’.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno al riguardo chiarito che, ai fini della configurabilita’ della causa di esclusione della punibilita’ per particolare tenuita’ del fatto, il giudizio sulla tenuita’ richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarita’ della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’articolo 133 c.p., comma 1, delle modalita’ della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entita’ del danno o del pericolo (Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590).
Tale valutazione puo’ essere compiuta anche nel giudizio di legittimita’, sulla base di un apprezzamento limitato alla astratta compatibilita’ dei tratti della fattispecie, come risultanti dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali, con gli indici-criteri e gli indici-requisiti indicati dal legislatore, cui segue in caso di valutazione positiva, sentenza di annullamento con rinvio al giudice di merito (Sez. 3, Sentenza n. 38380 del 15/07/2015, Ferraiuolo, Rv. 264795, che in motivazione ha sottolineato come cio’ consenta di contemperare l’obbligo di rilevazione d’ufficio, discendente dal disposto dell’articolo 129 c.p.p., con la fisiologia del giudizio di legittimita’, che preclude valutazioni in fatto).
Ora, nel caso in esame non emerge alcuna particolare tenuita’ del fatto, essendo sufficiente, per escluderla, considerare che, con una condotta potenzialmente assai pregiudizievole per l’interesse protetto (ed in particolare per i minori potenzialmente esposti alla visione degli atti compiuti dall’imputato), l’imputato ha compiuto gli atti descritti nella imputazione in pieno giorno, all’interno di un esercizio commerciale e nonostante la presenza ed il passaggio di operai ed impiegati, ponendo le premesse per una potenziale ampia diffusione delle proprie condotte, con la conseguenza che essere esclusa l’esiguita’ del pericolo derivante dal reato commesso dall’imputato e con essa anche l’esclusione della punibilita’ per la particolate tenuita’ del fatto.
Ne consegue, in definitiva, stante l’infondatezza di entrambi i profili cui e’ stato affidato, il rigetto del ricorso proposto dal Pubblico Ministero deve essere respinto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso del Pubblico Ministero.
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