Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 23 giugno 2016, n. 26257

In caso di evasione Iva e Ires non è necessario compiere specifici accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto nelle casse della società o per ricercare i beni “trasformati”. L’onere di dimostrare la sussistenza per disporre il sequestro in forma diretta incombe infatti sul destinatario del provvedimento cautelare.

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 23 giugno 2016, n. 26257

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMORESANO Silvio – Presidente
Dott. DE MASI Oronzo – rel. Consigliere
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la ordinanza in data 3/11/2015 della Tribunale di Trapani;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Oronzo De Masi;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dr. Fimiani Pasquale, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Trapani, con ordinanza del 3/11/2015, rigettava la richiesta di riesame formulata nell’interesse di (OMISSIS), avverso il decreto di sequestro preventivo emesso il 2/10/2015 dal GIP presso il medesimo Tribunale, fino alla concorrenza della complessiva somma di Euro 210.129,00, corrispondente al profitto conseguito.
Il (OMISSIS) e’ indagato per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5, perche’, quale legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.l., non presentava la prescritta dichiarazione annuale al fine di evadere le imposte dirette e l’I.V.A., relativamente all’anno d’imposta 2013, realizzando un’evasione d’imposta ai fini IRES pari ad Euro 149.733,00, ed ai fini I.V.A. pari ad Euro 60.396,00.
Ricorre per la cassazione dell’ordinanza, a mezzo difensore di fiducia, e denuncia con un articolato motivo, violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione all’articolo 325 c.p.p., n. 3, per mancanza assoluta di motivazione o motivazione del tutto apparente dell’ordinanza impugnata in punto di sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo, avendo il Giudice del riesame riproposto gli argomenti svolti dal GIP del Tribunale di Trapani senza confutare le censure mosse dalla difesa del (OMISSIS) circa l’impossibilita’ di sequestrare i conti personali del legale rappresentante della societa’ e la mancanza di prova che quanto reperito fosse proprio il profitto del reato. Si duole altresi’ il ricorrente dell’omesso esame della richiesta di revoca parziale del sequestro preventivo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso, palesemente infondato, va dichiarato inammissibile.
Occorre premettere che le censure avverso il provvedimento impugnato sono esperibili nei ristretti limiti indicati dall’articolo 325 c.p.p., che, com’e’ noto prevede che “Contro le ordinanze emesse a norma degli articoli 322 bis e 324, il Pubblico Ministero, l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge”.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che nel concetto di violazione di legge non possono essere ricompresi la mancanza o la manifesta illogicita’ della motivazione, separatamente previste dall’articolo 606, lettera e), quali motivi di ricorso distinti e autonomi dalla inosservanza o erronea applicazione di legge (lettera e) o dalla inosservanza di norme processuali (lettera c) (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710).
Pertanto, nella nozione di violazione di legge – per cui soltanto puo’ essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’articolo 325 c.p.p., comma 1 – rientrano sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692), ma non l’illogicita’ manifesta, che puo’ denunciarsi in sede di legittimita’ soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), (ex multis, Sez. 6, n. 7472 del 21/01/2009, P.M. in proc. Vespoli e altri, Rv. 242916).
La verifica in ordine alle condizioni di legittimita’ della misura cautelare e’ necessariamente sommaria e non comporta un accertamento sulla fondatezza della pretesa punitiva e le eventuali difformita’ tra fattispecie legale e caso concreto possono assumere rilievo solo se rilevabili ictu oculi (per tutte: Sez. U, n. 6 del 27/03/1992 – dep. 07/11/1992, Midolini, Rv. 191327; Sez. U, n. 7 del 23/02/2000 – dep. 04/05/2000, Mariano, Rv. 215840).
Non e’ possibile, in altri termini, che il controllo di cassazione si traduca in un controllo che investe, sia pure in maniera incidentale, il merito dell’impugnazione.
Cio’, peraltro, non significa che il giudice debba acriticamente recepire esclusivamente la tesi accusatoria senza svolgere alcun’altra attivita’, in quanto alla Corte di Cassazione e’ attribuito, il potere-dovere di espletare il controllo di legalita’, sia pure nell’ambito delle indicazioni di fatto offerte dal pubblico ministero.
L’accertamento della sussistenza del fumus commissi delicti va compiuto sotto il profilo della congruita’ degli elementi rappresentati, che non possono essere censurati in punto di fatto per apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno valutati cosi’ come esposti, al fine di verificare se essi consentono di sussumere l’ipotesi formulata in quella tipica.
Pertanto, il Tribunale non deve instaurare un processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando l’integralita’ dei presupposti che legittimano il sequestro (Sez. U, n. 23 del 20/11/1996 – dep. 29/01/1997, Bassi e altri, Rv. 206657).
In tale contesto, la piu’ recente giurisprudenza di legittimita’, ha anche precisato che in sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali, il giudice, benche’ gli sia precluso l’accertamento del merito dell’azione penale ed il sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, deve operare il controllo, non meramente cartolare, sulla base fattuale nel singolo caso concreto, secondo il parametro del “fumus” del reato ipotizzato, con riferimento anche all’eventuale difetto dell’elemento soggettivo, purche’ di immediato rilievo (v. Corte cost., ord. n. 153 del 2007; Sez. 6, n. 16153 del 06/02/2014 – dep. 11/04/2014, Di Salvo, Rv. 259337). Tanto premesso, il Tribunale del Riesame di Trapani ha innanzitutto richiamato quanto esposto nel decreto di sequestro del GIP presso il medesimo Tribunale, nonche’ gli accertamenti svolti dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, ed ha evidenziato la circostanza, rimasta sostanzialmente incontestata, che la societa’ (OMISSIS), e per essa il suo legale rappresentate, non aveva presentato le dichiarazioni annuali ai fini delle imposte dirette e indirette, relativamente all’anno 2013, realizzando cosi’ un’evasione d’imposta di complessivi Euro 210.129,00, per cui le censure del ricorrente si risolvono in una inammissibile critica al procedimento valutativo attraverso il quale i giudici del riesame hanno ritenuto – rebus sic stantibus – di non poter accogliere le tesi difensive.
In particolare, quanto alla possibilita’ di sequestrare i conti personali del legale rappresentante della societa’ ed alla prova che quanto reperito fosse proprio il profitto del reato, va ricordato che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente e’ legittimo solo quando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, ovvero quando gli stessi non siano aggredibili, e la motivazione che lo dispone dia conto di tale impossibilita’.
Il pubblico ministero non ha una libera scelta tra il sequestro diretto e quello per equivalente ma, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, puo’ chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per “equivalente”, invece che in quella “diretta”, all’esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato.
Non e’ tuttavia necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto nelle casse della societa’ o per ricercare in forma generalizzata i beni che ne costituiscono la trasformazione, incombendo, invece, al soggetto destinatario del provvedimento cautelare l’onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti per disporre il sequestro in forma diretta (Sez. 3, n. 41073 del 30/972015, P.M. in proc. Scognamiglio, Rv. 265028, Sez. 3, n. 1738 del 11/11/2014, dep. 15/01/2015, Bartolini, Rv. 261929).
E non sembra affatto che la difesa del (OMISSIS) intenda sostenere che la societa’ possiede beni adeguati e comunque tale circostanza non solo non e’ provata ma e’ contrastata dalla richiesta avanzata dalla (OMISSIS) s.r.l. di revoca parziale del vincolo cautelare perche’ la somma e’ necessaria al pagamento rateizzato del debito tributario.
Va inoltre considerato che questa Corte ha precisato che quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, e’ legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato sul presupposto dell’impossibilita’ di reperire il profitto del reato nel caso in cui dallo stesso soggetto non sia stata fornita la prova della concreta esistenza di beni nella disponibilita’ della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta (Sez. 3, n. 42966 del 10/6/2015, Klein, Rv. 26158).
Tenuto poi conto della sentenza della Corte costituzionale emessa in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle Ammende.

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