Per l’individuazione dell’ammontare dell’imposta sottratta ad imposizione, anche al fine di verificare il superamento delle soglie di rilevanza penale, occorre considerare anche gli elementi negativi del reddito, a condizione che siano legittimamente deducibili. Il processo verbale di constatazione è qualificabile come documento extraprocessuale ricognitivo di natura amministrativa, pertanto utilizzabile in dibattimento, per le parti formate ed acquisite anteriormente al sorgere di indizi nei confronti dell’imputato ed all’inizio delle indagini preliminari
Suprema Corte di Cassazione
sezione III penale
sentenza 22 settembre 2016, n. 39379
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRILLO Renato – Presidente
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere
Dott. LIBERATI Giovanni – rel. Consigliere
Dott. DI STASI Antonella – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato in (OMISSIS);
avverso la sentenza del 19/1/2015 della Corte d’appello di Brescia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CORASANITI Giuseppe, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 19 gennaio 2015 la Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza del 13 giugno 2014 del Tribunale di Bergamo, con cui (OMISSIS) era stato condannato alla pena di un anno di reclusione per il reato di cui all’articolo 81 cpv. c.p., e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 4, (per avere indicato nelle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto per gli anni 2007 e 2008 elementi attivi inferiori a quelli reali per Euro 559.479,27 per l’anno 2007 e per Euro 582.676,65 per l’anno 2008, superiori al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi denunciati, con contestuale sottrazione di imposta pari ad Euro 233.745,97 per IRES ed Euro 111.895,85 per IVA per l’anno 2007 e ad 243.720,96 per IRES ed Euro 116.535,33 per IVA per l’anno 2008).
1.1. Nel disattendere l’impugnazione dell’imputato, la Corte territoriale ha ritenuto, essendo svolta in forma individuale l’attivita’ di impresa nell’ambito della quale erano stati commessi gli illeciti, come tale soggetta all’obbligo di pagamento dell’IRPEF e non dell’IRES, dovuta a mero errore materiale l’indicazione nella imputazione e nella sentenza di tale imposta in luogo dell’IRPEF, essendo sempre stata considerata l’imposta sulle persone fisiche, sia nelle produzioni documentali del Pubblico Ministero sia nella sentenza di primo grado, con la conseguente insussistenza della nullita’ prospettata dall’appellante per mancanza di correlazione tra accusa e sentenza, in violazione dell’articolo 522 c.p.p..
1.2. E’ stata, inoltre, ritenuta consentita l’acquisizione del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza prima dell’inizio della verifica fiscale e dei relativi allegati, con esclusione della attivita’ valutativa, e dell’elenco vendite redatto dalla societa’ (OMISSIS), trattandosi di documenti e non di atti di indagine, come pure della nota della Guardia di Finanza del 6 marzo 2014 (acquisita dal Tribunale in pendenza di giudizio), trattandosi di un atto riepilogativo di attivita’ amministrativa extraprocessuale, svolta prima del sorgere di indizi a carico dell’imputato, avente dunque natura documentale ed essendo pertanto acquisibile ai sensi dell’articolo 234 c.p.p..
1.3. La Corte d’appello ha poi disatteso le censure relative alla insussistenza della responsabilita’ del ricorrente, evidenziando che, sulla base degli elenchi delle operazioni di vendita andate a buon fine trasmesse dalla (OMISSIS) S.r.l., era emersa la mancata contabilizzazione di numerose transazioni e quindi l’indicazione nelle dichiarazioni fiscali di elementi attivi inferiori a quelli reali, non essendo stata dimostrata dall’imputato l’esistenza di transazioni non andate a buon fine ne’ oneri ulteriori sostenuti in relazione alle transazioni di cui non erano stati contabilizzati i ricavi.
1.4. Sono state disattesi anche i rilievi circa la irrilevanza della sottrazione alla imposizione fiscale delle transazioni concluse con operatori stranieri, essendo state concluse con operatori privati quelle contestate, ed e’ stato confermato il diniego delle attenuanti generiche, per l’assenza di elementi di positiva considerazione che potessero giustificarne la concessione, confermando dunque il trattamento sanzionatorio stabilito dal primo giudice.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’imputato, mediante il suo difensore, affidato a cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo ha denunciato violazione di legge processuale per l’utilizzo di prove illegalmente acquisite, ed in particolare del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, della nota delle operazioni effettuate dall’imputato trasmesso dalla (OMISSIS) S.r.l. su richiesta della Guardia di Finanza e della nota di tale organo acquisita nel corso del giudizio, nonche’ vizio di motivazione della sentenza impugnata al riguardo, in quanto tali atti costituivano, sostanzialmente, il risultato di attivita’ di indagine, tanto da essere trasfusi integralmente nella comunicazione di notizia di reato, e dunque non avrebbero potuto essere acquisiti, ne’ utilizzati ai fini della decisione.
Ha inoltre eccepito la nullita’ della acquisizione dell’elenco delle operazioni effettuate dall’imputato per il tramite del portale di commercio elettronico (OMISSIS) in violazione del disposto dell’articolo 727 c.p.p., essendo pervenuti dalla (OMISSIS) Sarl senza osservare le forme della rogatoria internazionale. L’illegittima acquisizione di tali atti viziava anche le deposizioni dei testimoni, che ad essi avevano fatto riferimento per la conoscenza e l’accertamento dei fatti, e determinava anche l’arbitrarieta’ della revoca della ammissione del teste (OMISSIS), responsabile della (OMISSIS), che avrebbe dovuto riferire circa le operazioni effettuate dall’imputato tramite detto portale di commercio elettronico, e la cui audizione era, invece, indebitamente ed erroneamente stata ritenuta superflua proprio a seguito della acquisizione irrituale del suddetto elenco di operazioni.
2.2. Con un secondo motivo ha lamentato vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del reato, sulla base del rilievo che il solo elenco delle transazioni perfezionate trasmesse da (OMISSIS) non costituiva prova dell’avvenuta conclusione dei relativi contratti, mediante consegna dei beni e pagamento del corrispettivo, con la conseguente insufficienza della motivazione in ordine alla sussistenza di componenti positivi di reddito non dichiarati, non essendo onere dell’imputato fornire tale prova, bensi’ dell’accusa offrire la prova positiva della esistenza di detti componenti positivi omessi, anche al fine di accertarne l’effettiva entita’ e verificare il superamento della soglia di punibilita’ stabilita dalla norma incriminatrice di cui gli era stata contestata la violazione.
Ha inoltre eccepito insufficienza di motivazione in ordine alla omessa considerazione della necessita’ di accertare e valutare anche i componenti negativi di tali redditi, accertamento del tutto omesso dai giudici di merito, che non avevano considerato detti costi, neppure in via forfettaria, ed anche in ordine alla applicabilita’ della disciplina stabilita per la vendita per corrispondenza, con riferimento alle vendite effettuate nei confronti di soggetti residenti all’estero, ed alla diversa disciplina circa i versamenti dell’IVA.
2.3. Con un terzo motivo ha denunciato vizio di motivazione in ordine alla prova dell’elemento psicologico del reato, dovendo essere ricondotta a difficolta’ interpretative del professionista incaricato della predisposizione delle dichiarazioni fiscali, l’omessa indicazione dei componenti attivi di reddito in questione.
2.4. Con il quarto motivo ha denunciato violazione di legge processuale in relazione all’articolo 522 c.p.p., e vizio di motivazione per la mancanza di correlazione tra l’accusa e la sentenza, in quanto nella imputazione e nella sentenza di primo grado la contestazione era stata formulata in relazione alla sottrazione dell’imposta IRES mentre egli, quale persona fisica e titolare di una impresa individuale, era obbligato al pagamento dell’imposta IRPEF, il cui ammontare era determinato anche attraverso criteri diversi, con la conseguente contestazione di un fatto diverso rispetto a quello per il quale era stato ritenuto responsabile.
2.5. Con un quinto motivo ha lamentato violazione di legge penale e vizio di motivazione per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, non essendo stati adeguatamente considerati il suo buon comportamento processuale e le difficolta’ interpretative della materia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e’ parzialmente fondato.
1. Va preliminarmente considerato, per quanto riguarda le contestazioni relative alle sottrazioni dell’imposta sul valore aggiunto, che il Decreto Legislativo 24 settembre 2015, n. 158, articolo 4, entrato in vigore in data 22/10/2015, ha modificato il predetto articolo 4 cit., nel senso di attribuire rilevanza penale, elevando il precedente limite, unicamente alle condotte di indicazione di elementi caratterizzate, congiuntamente, da un lato, dall’evasione di un’imposta superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, ad Euro 150.000, e, dall’altro, da un ammontare complessivo di elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, superiore al dieci per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque superiore a 3.000.000 di Euro; va aggiunto che tale modifica, in quanto comportante una disposizione piu’ favorevole rispetto alla precedente, risultante dalla modifica ex Decreto Legge n. 138 del 2001, convertito con modifiche in L. n. 148 del 2011, si applica, ex articolo 2 c.p., comma 4, anche ai fatti posti in essere antecedentemente.
Cio’ posto, nella specie, l’ammontare dell’imposta sul valore aggiunto evasa e’, come da contestazione, pari ad Euro 111.895,85 per l’anno 2007 e ad Euro 116.535,33 per l’anno 2008, importi entrambi inferiori ai limiti considerati sopra.
Conseguentemente, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, limitatamente alla sottrazione di imposta ai fini IVA per gli anni 2007 e 2008, con la formula “il fatto non sussiste”, posto che la soglia di rilevanza penale suddetta deve ritenersi elemento costitutivo del fatto di reato, contribuendo la stessa a definirne il disvalore (in tal senso, tra le altre, oltre a Sez. U., n. 37954 del 25/05/2011, Orlando, Rv. 250975, da ultimo, Sez. 3, n. 3098/16 del 05/11/2015, Vanni, non ancora massimata).
2. Per quanto riguarda le residue contestazioni, relative alle sottrazioni dell’imposta sui redditi, deve essere esaminato preliminarmente, in ordine logico, il quarto motivo, mediante il quale e’ stata denunciata violazione dell’articolo 521 c.p.p., e nullita’ della sentenza impugnata ai sensi dell’articolo 522 c.p.p., per la mancanza di correlazione tra la contestazione, relativa alla sottrazione dell’imposta IRES, e la sentenza, nella quale e’ stata affermata la responsabilita’ del ricorrente per l’omesso versamento dell’imposta IRPEF.
2.1. Va dunque al riguardo osservato che la contestazione era stata formulata nei confronti del ricorrente, nella sua veste di titolare dell’omonima ditta individuale, per l’indicazione nelle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto di elementi attivi inferiori a quelli reali, superiori al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi denunciati, con la contestuale sottrazione dell’imposta IRES per Euro 233.745,97 per l’anno 2007 e per Euro 243.720,96 per l’anno 2008, con la seguente formulazione:
del delitto di cui all’articolo 81 cpv. c.p., e Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 4, perche’ – in qualita’ di titolare dell’omonima ditta individuale, con sede in (OMISSIS), in tempi diversi ma in esecuzione del medesimo disegno, indicava nelle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto per gli anni 2007 e 2008 elementi attivi inferiori a quelli reali per Euro 559.479,27 (anno 2007) e 582.676,65 (anno 2008) superiori, pertanto, al 10% dell’ammontare complessivo degli elementi attivi denunciati, con contestuale sottrazione d’imposta pari a:
– anno 2007 (IRES): Euro 233.745,97;
(IVA): Euro 111.895,85;
– anno 2008 (IRES): Euro 243.720,96;
(IVA): Euro 116.535,33″.
La Corte territoriale, nel disattendere l’identica censura, gia’ formulata con i motivi d’appello, riguardo alla difformita’ tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza, ha sottolineato che l’attivita’ d’impresa svolta dal ricorrente, nell’ambito della quale erano state presentate le denunce delle imposte infedeli, era esercitata in forma individuale e, dunque, come tale, soggetta alla imposta sui redditi IRPEF, riconducendo, di conseguenza, la menzione dell’imposta IRES, riservata alle persone giuridiche, ad un mero errore materiale, evidenziando, inoltre, che i documenti prodotti nel giudizio di primo grado si riferivano alla dichiarazione dei redditi delle persone fisiche (IRPEF), che anche nel processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza era stata rilevata l’infedele presentazione dei Modelli Unici relativi ai redditi delle persone fisiche per gli anni 2008 e 2009 e che nella sentenza di primo grado, pur non essendo stato rilevato il suddetto errore materiale contenuto nella imputazione, era stato fatto riferimento agli elementi probatori raccolti con riferimento ai ricavi non dichiarati ai fini delle imposte sui redditi delle persone fisiche (oltre che ai fini IVA).
2.2. Tali considerazioni risultano del tutto conformi al consolidato insegnamento di questa Corte, secondo cui la violazione del principio di correlazione tra l’accusa e l’accertamento contenuto in sentenza si verifica solo quando il fatto accertato si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneita’ o di incompatibilita’ sostanziale, tale da recare un reale pregiudizio dei diritti della difesa (ex plurimis, Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, Addio, Rv. 265946), in quanto, nella specie, il fatto ritenuto in sentenza (sottrazione d’imposta IRPEF) non si trova in rapporto di eterogeneita’ con quello contestato (sottrazione di imposta IRES), divergendo solamente la precisa indicazione dell’imposta dovuta e sottratta (divergenza agevolmente individuabile sulla base della descrizione delle condotte e non implicante mutamento del fatto materiale contestato); ne’ vi e’ stato alcun pregiudizio al diritto di difesa, invero neppure prospettato: dalla contestazione emergeva chiaramente, infatti, il riferimento alla sottrazione delle imposte sui redditi, che, derivando da una attivita’ d’impresa svolta in forma individuale, non poteva che riguardare l’imposta IRPEF, con la conseguente corretta riconduzione della indicazione della imposta IRES ad un errore materiale, privo di qualsiasi incidenza sull’esercizio dei diritti riservati alla difesa, essendo del tutto evidente il riferimento all’unica imposta sui redditi dovuta dall’imputato, e cioe’ all’IRPEF, ed avendo potuto, di conseguenza, l’imputato pienamente esplicare la sua difesa in relazione a tale fatto.
Ne consegue l’infondatezza di tale censura, non sussistendo la discrepanza denunciata.
3. Anche il primo motivo risulta infondato.
Con esso il ricorrente ha denunciato violazione di legge processuale per l’utilizzo di prove indebitamente acquisite, ed in particolare di copia del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, della nota delle operazioni eseguite dall’imputato e trasmesso dalla (OMISSIS) S.r.l. su richiesta della Guardia di Finanza e della nota di tale organo acquisita nel corso del giudizio, nonche’ vizio di motivazione al riguardo e violazione dell’articolo 727 c.p.p., per l’acquisizione dell’elenco delle operazioni effettuate dall’imputato per il tramite del portale di commercio elettronico (OMISSIS) senza osservare le forme della rogatoria internazionale, essendo pervenuto dalla societa’ (OMISSIS) Sarl.
3.1. Va dunque rilevato che questa Corte (Sez. 3, n. 7930 del 30/01/2015, Marchetti, Rv. 262518; Sez. 3, n. 6881 del 18/11/2008, Ceragioli, Rv. 242523; Sez. 3, n. 6218 del 17/4/1997, Cetrangolo, Rv. 208633; Sez. 3, n. 4432 del 10/4/1997, Cosentini, Rv. 208030; Sez. 3, n. 1969 del 21/1/1997, Basile, Rv. 206944; Sez. 3, n. 6251 del 15/5/1996, Caruso, Rv. 205514) ha gia’ avuto modo di prendere in considerazione la natura del “verbale di constatazione” redatto da personale della Guardia di Finanza o dai funzionari degli Uffici Finanziari, rilevando che esso e’ qualificabile come documento extraprocessuale ricognitivo di natura amministrativa e, in quanto tale, acquisibile ed utilizzabile ai fini probatori ai sensi dell’articolo 234 c.p.p.. Si e’ anche osservato che non si tratta di un atto processuale, poiche’ non e’ previsto dal codice di rito o dalle norme di attuazione (articolo 207) e non interviene nel corso delle indagini preliminari; ne’ puo’ essere qualificato quale “particolare modalita’ di inoltro della notizia di reato” (articolo 221 disp. att. c.p.p.), in quanto i connotati di quest’ultima sono diversi. Si e’ tuttavia precisato che, nel momento in cui emergono indizi di reato e non meri sospetti, occorre, pero’, procedere secondo le modalita’ prescritte dall’articolo 220 disp. att. c.p.p., con la conseguenza che la parte di documento, compilata prima dell’insorgere degli indizi, ha sempre efficacia probatoria ed e’ utilizzabile, mentre non e’ tale quella redatta successivamente, qualora non siano state rispettate le disposizioni del codice di rito. La richiamata disposizione stabilisce che “quando nel corso di attivita’ ispettive o di vigilanza previste da leggi o decreti emergono indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle disposizioni del codice”.
A tale proposito questa Corte ha pure osservato (Sez. 3, n. 27682 del 17/06/2014, Palmieri, Rv. 259948) come, dalla semplice lettura della norma, emerga che essa presuppone, per la sua applicazione, un’attivita’ di vigilanza o ispettiva in corso di esecuzione specificamente prevista da disposizioni normative, e la sussistenza di indizi di reato emersi nel corso dell’attivita’ medesima, e solo in tal caso e’ richiesta l’osservanza delle disposizioni del codice di rito, ma soltanto per il compimento degli atti necessari all’assicurazione delle fonti di prova ed alla raccolta di quanto altro necessario per l’applicazione della legge penale. Nella medesima decisione si e’ fatto anche rilevare come la disposizione, che va letta in relazione anche al successivo articolo 223, relativo alle analisi di campioni da effettuare sempre nel corso di attivita’ ispettive o di vigilanza ed alle garanzie dovute all’interessato, abbia lo scopo evidente di assicurare l’osservanza delle disposizioni generali del codice di rito dal momento in cui, in occasione di controlli di natura amministrativa, emergano indizi di reato, ricordando anche quella giurisprudenza secondo la quale presupposto dell’operativita’ della norma non e’ l’insorgenza di una prova indiretta quale indicata dall’articolo 192 c.p.p., quanto, piuttosto, la sussistenza della mera possibilita’ di attribuire comunque rilevanza penale al fatto che emerge dall’inchiesta amministrativa e nel momento in cui emerge, a prescindere dalla circostanza che esso possa essere riferito ad una persona determinata (Sez. 2, n. 2601 del 13/12/2005, Cacace, Rv. 233330; Sez. U, n. 45477 del 28/11/2001, Raineri, Rv. 220291), e precisando che la conseguenza della eventuale inosservanza delle disposizioni del codice di rito e’ una nullita’ di ordine generale di cui all’articolo 178 c.p.p., comma 1, lettera c), (Sez. F, n. 38393 del 27/07/2010, Persico, Rv. 248911).
3.2. Si tratta di principi che il Collegio condivide e dai quali non intende discostarsi e che devono comunque essere presi in considerazione per risolvere la questione prospettata dal ricorrente, circa l’utilizzabilita’ del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza e della nota esplicativa redatta dal Nucleo Speciale della Guardia di Finanza in data 6 marzo 2014, acquisita dal Tribunale nel corso del giudizio di primo grado.
Ora, per quanto riguarda il processo verbale di constatazione, del tutto correttamente, e conformemente ai ricordati principi, sia il Tribunale di Bergamo sia la Corte d’appello di Brescia hanno ritenuto utilizzabile il processo verbale di constatazione nella parte in cui riporta l’attivita’ svolta dalla Guardia di Finanza prima dell’inizio della verifica fiscale (nell’ambito del progetto E.Commerce, volto ad individuare fenomeni di omessa contabilizzazione di componenti positivi di reddito da parte di operatori nel settore del commercio on line), e dunque nelle parti relative alla acquisizione dalla societa’ (OMISSIS) S.r.l. degli elenchi delle vendite concluse dall’imputato tramite tale portale di commercio elettronico e delle fatture emesse da tale societa’ nei suoi confronti, relative alle commissioni dovute per ogni operazione eseguita, nonche’ nella parte relativa alla acquisizione presso l’impresa del ricorrente della documentazione contabile e delle dichiarazioni fiscali. Altrettanto correttamente, poi, i giudici di merito hanno escluso l’utilizzabilita’ delle parti valutative di tale processo verbale di constatazione, fondando, tuttavia, l’accertamento dell’avvenuto compimento delle operazioni e della mancata appostazione contabile di parte di esse (con la conseguente sussistenza della indicazione di componenti attivi di reddito in misura inferiore a quella reale e della derivata sottrazione d’imposta) su quanto riferito nel corso del dibattimento da uno dei finanzieri che aveva partecipato all’accertamento, che aveva riscontrato la discrasia tra le appostazioni contabili attive e l’elenco delle operazioni fornito dalla societa’ (OMISSIS).
Ne consegue l’infondatezza di tale profilo della censura, essendo stato correttamente utilizzato quanto emergente da un atto qualificabile come documento extraprocessuale ricognitivo di natura amministrativa e dagli atti ad esso allegati, nelle parti formate ed acquisite anteriormente al sorgere di indizi nei confronti dell’imputato ed all’inizio delle indagini preliminari.
3.3. Diverso ordine di considerazioni deve, invece, essere svolto per quello che riguarda l’utilizzabilita’ della nota della Guardia di Finanza del 6 marzo 2014 e dei relativi allegati, acquisita dal Tribunale nel corso del giudizio di primo grado, di cui la Corte d’appello ha ritenuto consentita l’acquisizione sulla base del rilievo che tale nota, benche’ formata quando il giudizio di primo grado era gia’ in corso, tra l’altro in avanzata fase dibattimentale, avrebbe esclusivamente portata ricognitiva della attivita’ amministrativa svolta dalla Guardia di Finanza prima dell’insorgenza di indizi a carico dell’imputato, soprattutto quanto alla richiesta di acquisizione dei dati rivolta alla societa’ (OMISSIS) ed alla risposta da questa inviata, con allegato l’elenco delle operazioni di vendita attribuibili all’imputato e la nota esplicativa del legale rappresentante di tale societa’ (di cui, quindi, la Corte d’appello ha ritenuto superfluo l’esame). La Corte territoriale ha quindi ritenuto tale atto espressione di attivita’ amministrativa extraprocessuale svolta prima del sorgere di indizi a carico dell’imputato, avente natura documentale e dunque acquisibile ai sensi dell’articolo 234 c.p.p..
Ritiene tuttavia il Collegio, sulla scorta dei principi ricordati, che tale atto, proprio in quanto formato successivamente all’inizio delle indagini preliminari, a scopo ricognitivo della attivita’ di indagine svolta, non possa essere qualificato come documento di natura extraprocessuale, e cioe’ formato prima dell’inizio del procedimento ed indipendentemente da esso, e quindi producibile ai sensi dell’articolo 234 c.p.p., giacche’, per quanto diretto a documentare, ricostruire ed illustrare le attivita’ compiute prima dell’insorgenza di indizi a carico dell’imputato, esso costituisce un atto di indagine formato successivamente all’inizio delle indagini ed all’emergere di indizi a carico dell’imputato, anzi successivamente al suo rinvio a giudizio, allo scopo precipuo di riepilogare le attivita’ di indagine ed illustrarne al Tribunale gli esiti, con la conseguenza che non puo’ essere qualificato come un documento nel senso anzidetto, come tale producibile in giudizio ai sensi dell’articolo 234 cit..
Benche’, infatti, non si tratti di un atto di indagine inutilizzabile, proprio in quanto meramente ricognitivo ed illustrativo di attivita’ svolte prima della scadenza del termine massimo di durata delle indagini (cfr., in tal senso, Sez. 3, n. 4089 del 20/01/2012, Van Den Heule, Rv. 251974, che in motivazione ha chiarito che la valutazione in ordine alla eventuale inutilizzabilita’ degli atti di indagine, prevista dall’articolo 407 c.p.p., va effettuata considerando il contenuto e la funzione dell’atto, con la conseguenza che non devono essere inclusi nel novero degli atti passibili di inutilizzabilita’ quelli costituenti mera rielaborazione di attivita’ precedentemente svolte quali, ad esempio, le note riassuntive o conclusive solitamente redatte dalla polizia giudiziaria, all’esito di investigazioni complesse, per fornire una illustrazione organica e definitiva dell’attivita’ compiuta ed agevolare la consultazione della relativa documentazione, ovvero quelli meramente ricognitivi, finalizzati a documentare la permanenza ed attualita’ di situazioni gia’ in precedenza compiutamente accertate), tuttavia la natura di atto di indagine ne esclude la riconducibilita’ alla nozione di documento, che presuppone la formazione dell’atto indipendentemente dalla esistenza del processo e dalle sue esigenze, e con essa anche della sua producibilita’ ai sensi dell’articolo 234 c.p.p. e ss..
3.4. L’esclusione di tale elemento non determina, pero’, insufficienza od illogicita’ della motivazione, in quanto i giudici di merito hanno fondato l’affermazione di responsabilita’ dell’imputato anche su altri elementi, di per se soli sufficienti a ritenere accertate le condotte ed integrati i reati contestati, e cioe’ il processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, gli elenchi delle transazioni concluse dal ricorrente attraverso la piattaforma di commercio digitale (OMISSIS) e delle relative provvigioni dovute per ogni operazione commerciale, e la deposizione dell’appartenente alla Guardia di Finanza, che ha riferito in ordine agli accertamenti svolti su tali documenti e sulla contabilita’ dell’impresa del ricorrente, rilevando le discrasie nelle appostazioni contabili tra le operazioni commerciali attive registrate e quelle risultanti dai suddetti elenchi.
Cio’ comporta l’inammissibilita’ di tale profilo del motivo di ricorso a causa della mancanza del necessario requisito di specificita’, giacche’ quando, come nel caso in esame, con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilita’ di un elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino, come nel caso in esame, sufficienti a giustificare l’identico convincimento (Sez. 3, n. 3207 del 02/10/2014, Calabrese, Rv. 262011; Sez. 4, n. 24455 del 22/04/2015, Plataroti, Rv. 263731).
3.5. I citati elenchi delle transazioni commerciali concluse dal ricorrente attraverso la suddetta piattaforma digitale (OMISSIS) e le fatture emesse dalla societa’ che la gestisce, mediante i quali sono state ricostruite le vendite concluse dall’imputato ed i, conseguenti, componenti attivi di reddito non indicati nelle dichiarazioni fiscali, sono, poi stati legittimamente acquisiti, senza fare ricorso alla procedura di cui agli articoli 727 c.p.p., e ss., mediante richiesta alla societa’ di diritto italiano (OMISSIS) S.r.l., che li ha procurati alla Guardia di Finanza richiedente, dopo averli ottenuti dalla (OMISSIS) Sarl.
Trattandosi di attivita’ di acquisizione probatoria svolta dalla polizia giudiziaria interamente nel territorio dello Stato, mediante richiesta di documenti ad una societa’ di diritto italiano avente sede legale in (OMISSIS), non occorreva fare ricorso per il compimento di tale attivita’ alla rogatoria internazionale, in quanto, diversamente, ne risulterebbe stravolto il concetto stesso di rogatoria internazionale, in relazione al suo oggetto, non essendo concepibile una richiesta di assistenza giudiziaria ad uno Stato estero per un’attivita’ interamente espletata nel territorio nazionale e senza che sia stata compiuta alcuna attivita’ materiale invasiva della territorialita’ e, dunque, della sovranita’ di uno Stato estero, con la conseguenza che laddove una tale attivita’ debba invece essere espletata in territorio straniero, solo allora sara’ necessario ricorrere alla cooperazione giudiziaria (cfr., Sez. 4, n. 9161 del 29/01/2015, Andreone, Rv. 262441, in materia di intercettazioni telefoniche, ma espressiva di un principio di carattere generale, applicabile a tutti gli atti di indagine; conf. Sez. 4, n. 13206 del 28/02/2008, Volante, Rv. 239288; Sez. 6, n. 10051 del 03/12/2007, Ortiz, Rv. 239459).
Va, inoltre, osservato che la sanzione di inutilizzabilita’ prevista dall’articolo 729 c.p.p., comma 1, come modificato dalla L. 5 ottobre 2001, n. 367, articolo 13, concerne esclusivamente l’acquisizione o la trasmissione di documenti o di altri mezzi di prova provenienti dall’autorita’ giudiziaria estera tramite rogatoria internazionale, e quindi la suddetta sanzione di inutilizzabilita’, avente natura speciale, non e’ applicabile in via estensiva o analogica al di fuori dello specifico ambito nel quale essa e’ prevista, cioe’ quello delle rogatorie “all’estero”, sicche’ ne va esclusa l’applicazione nel caso, come quello in esame, di acquisizione di informazioni o documenti, spontaneamente forniti da soggetto residente o avente sede all’estero (cfr. Sez. 2, n. 44673 del 12/11/2008, Rv. 242209).
Trattandosi di atti autonomamente acquisiti dalla parte va ad essi applicata la disciplina delle produzioni documentali, di cui all’articolo 234 c.p.p. e ss. (Sez. 3, n. 24653 del 27/05/2009, D., Rv. 244087), con la conseguente insussistenza della violazione di legge processuale denunciata dal ricorrente.
4. Il terzo motivo, mediante il quale e’ stato denunciato vizio di motivazione in relazione alla affermazione della sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati contestati, per l’omessa considerazione delle difficolta’ incontrate nella qualificazione delle operazioni concluse dall’imputato, riferite anche dal professionista che si occupava della tenuta della sua contabilita’, di cui erano incerte le modalita’ di registrazione, e’ inammissibile a causa della sua genericita’, oltre che manifestamente infondato.
La deduzione della incertezza circa la qualificazione delle operazioni di vendita concluse dall’imputato e le modalita’ della loro registrazione nella contabilita’ dell’impresa dell’imputato e’, infatti, del tutto generica, essendo disgiunta dalla indicazione della natura di tali operazioni e delle specifiche difficolta’ che sarebbero state incontrate per individuare le modalita’ della loro registrazione, con la conseguenza che non e’ possibile apprezzarne la concludenza rispetto agli argomenti posti a fondamento della affermazione della sussistenza dell’elemento soggettivo in capo all’imputato. Essa, inoltre, risulta anche manifestamente infondata, trattandosi, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, di mere operazioni di vendita, sia pure effettuate anche in favore di acquirenti esteri, che, dunque, avrebbero dovute essere registrate nella contabilita’ come ordinarie operazioni di vendita, salva la verifica del regime impositivo, che non esimeva, pero’ dalla loro indicazione nella contabilita’ e dei conseguenti ricavi nelle dichiarazioni fiscali.
5. Parzialmente fondato risulta, invece, il secondo motivo, mediante il quale e’ stato denunciato vizio di motivazione in ordine all’accertamento dell’effettiva conclusione delle vendite che avrebbero generato i componenti attivi non dichiarati, ed anche a proposito della omessa considerazione dei relativi costi sostenuti dall’imputato.
5.1. Il vizio denunciato non sussiste per quanto riguarda l’accertamento della conclusione delle vendite, di cui e’ stata contestata all’imputato la mancata indicazione nella propria contabilita’, nonche’ l’omessa indicazione nelle dichiarazioni fiscali dei ricavi conseguenti alle vendite concluse per il tramite della suddetta piattaforma digitale di commercio elettronico (OMISSIS), in quanto la Corte d’appello le ha ritenute dimostrate, con motivazione logica e coerente, sulla base del raffronto tra la contabilita’ tenuta dall’imputato e l’elenco delle operazioni commerciali trasmesso dalla societa’ (OMISSIS) e delle fatture da quest’ultima emesse per le provvigioni (o percentuali) richieste per ogni vendita, sottolineando che da tale comparazione era emersa la mancata contabilizzazione di numerose transazioni e, conseguentemente, l’indicazione nelle dichiarazioni fiscali di elementi attivi inferiori rispetto a quelli effettivi. La Corte territoriale, nel disattendere la censura dell’imputato in ordine alla valenza probatoria di tali elenchi, che non rappresenterebbero solamente operazioni andate a buon fine ma anche richieste di quotazioni o preventivi poi non sfociati in alcun negozio, ha sottolineato come tali elenchi, recanti l’indicazione dell’acquirente, del bene, della data di conclusione dell’operazione, del numero di prodotti ceduti e del prezzo, non possano che essere interpretati come indicativi di vendite perfezionate. E’ stato, inoltre, evidenziato come dal tariffario della societa’ (OMISSIS), prodotto dallo stesso imputato, si potesse ricavare che tale societa’ impone al venditore on line una tariffa d’inserzione per l’esposizione sulla piattaforma digitale dei beni messi in vendita ed una, ulteriore, commissione in percentuale sul prezzo di vendita, in caso di perfezionamento della stessa, con la conseguenza che l’emissione di fatture da parte di detta societa’ per commissioni non poteva che essere ricondotta alla conclusione di vendite, con la conseguente corretta inclusione dei corrispettivi di tali vendite tra i ricavi non contabilizzati, non essendo state documentate dall’imputato eventuali risoluzioni di tali contratti (mediante la restituzione dei beni), controversie circa l’esistenza di vizi, o inadempimenti alle obbligazioni di pagamento del prezzo.
A tali conclusioni la Corte d’appello e’ arrivata attraverso un percorso argomentativo del tutto logico e coerente, fondato sulla interpretazione delle risultanze dei suddetti elenchi trasmessi dalla societa’ (OMISSIS) (delle operazioni concluse e delle fatture emesse), e di quanto emergente dalla contabilita’ dell’impresa dell’imputato, con la conseguenza che esso non risulta inficiato dalla inutilizzabilita’ della suddetta nota del 6 marzo 2014 della Guardia di Finanza e dalla mancata assunzione della testimonianza del legale rappresentante della societa’ (OMISSIS), che avrebbe dovuto deporre in ordine ai criteri di lettura degli elenchi trasmessi, che non necessitano, secondo quanto chiarito dalla Corte d’appello, di speciali indagini od indicazioni per la loro interpretazione.
Ne consegue l’infondatezza delle censure al riguardo sollevate dal ricorrente, posto che la motivazione della sentenza impugnata in ordine al perfezionamento delle vendite ed al conseguimento dei relativi ricavi risulta immune da vizi logici e fondata sugli elementi ritualmente acquisiti.
5.2. Fondata risulta, invece, la doglianza relativa alla insufficienza della motivazione in ordine alla considerazione dei costi sostenuti dall’imputato per la produzione dei redditi di cui sarebbe stata omessa l’indicazione nelle dichiarazioni fiscali ai fini delle imposte sui redditi degli anni 2007 e 2008.
Al riguardo la Corte d’appello, muovendo dal presupposto del perfezionamento delle vendite indicate negli elenchi trasmessi dalla societa’ (OMISSIS) e della mancata indicazione dei relativi ricavi nella contabilita’ dell’impresa dell’imputato, con la conseguente omissione di indicazione di componenti attivi di reddito nelle dichiarazioni fiscali degli anni 2007 e 2008, ha disatteso il rilievo dell’imputato in ordine alla necessita’, allo scopo di determinare l’ammontare dell’eventuale imposta sottratta, anche al fine di verificare il superamento della soglia di rilevanza penale, di considerare anche i costi connessi alla produzione di tali ricavi, ed in particolare i costi di acquisto dei beni oggetto di dette vendite, ed ha richiamato quanto dichiarato dal militare della Guardia di Finanza che aveva eseguito gli accertamenti, a proposito della considerazione degli oneri passivi nella misura indicata dall’imputato nelle dichiarazioni fiscali presentate, aggiungendo che sarebbe stato onere dell’imputato documentare l’esistenza di componenti negativi di reddito maggiori di quelli valutati dalla Guardia di Finanza e la loro inerenza agli esercizi in contestazione.
Va dunque al riguardo ribadito che, come gia’ affermato da questa Corte (da ultimo cfr. Sez. 3, n. 38684 del 04/06/2014, Agresti, Rv. 260389), per “imposta evasa” deve intendersi l’intera imposta dovuta, da determinarsi, tenuto conto delle risultanze probatorie acquisite nel processo penale, sulla base dell’analisi e della contrapposizione tra ricavi e costi d’esercizio fiscalmente detraibili, in una prospettiva di prevalenza del dato fattuale reale rispetto ai criteri di natura meramente formale che caratterizzano l’ordinamento tributario (Sez. 3, n. 21213 del 26/02/2008, De Cicco, Rv. 239983).
Ne consegue che, per la determinazione dell’imposta sottratta, anche ai fini della configurabilita’ del reato di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 4, ed anche al fine della verifica del superamento delle soglie di rilevanza penale applicabili, deve tenersi conto anche degli elementi negativi del reddito, a condizione che siano legittimante detraibili, spettando esclusivamente al giudice penale il compito di accertare e determinare l’ammontare dell’imposta evasa, da intendersi come l’intera imposta dovuta, attraverso una verifica che puo’ venire a sovrapporsi ed anche entrare in contraddizione con quella eventualmente effettuata dinanzi al giudice tributario, non essendo configurabile alcuna pregiudiziale in tal senso (Sez. 3, n. 36396 del 18/05/2011, Mariutti, Rv. 251280).
Ora, nella specie, la motivazione in ordine alla considerazione dei costi sostenuti dall’imputato per la produzione dei ricavi non contabilizzati risulta illogica, in quanto e’ stato considerato al riguardo sufficiente il conteggio degli oneri passivi indicati dall’imputato nelle dichiarazioni fiscali presentate, nelle quali, pero’, non erano stati indicati i ricavi oggetto degli accertamenti successivamente compiuti dalla Guardia di Finanza, e che, quindi, dovevano, necessariamente, riferirsi ai ricavi riportati nella contabilita’ ed indicati nelle dichiarazioni fiscali, e non anche a quelli oggetto della imputazione. A fronte di componenti attivi non indicati, per Euro 559.479,27 per l’anno 2007 e per Euro 582.676,65 per l’anno 2008, risulta insufficiente ed illogica la considerazione, quali costi sostenuti per la produzione di tali ricavi, di quelli gia’ indicati nelle dichiarazioni contenenti le omissioni, da intendersi riferiti ai ricavi indicati e non anche a quelli omessi, con la conseguente sussistenza del vizio della motivazione denunciato dal ricorrente, essendovi al riguardo una non corretta applicazione della logica e delle massime di comune esperienza.
Occorrera’, dunque, determinare sussistenza ed entita’ delle contestate sottrazioni di imposta, anche per verificare il superamento o meno delle soglie di rilevanza applicabili, attraverso la considerazione dei costi documentati o, in ogni caso, presumibili.
6. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata, limitatamente alle sottrazioni di imposta ai fini IRES per gli anni 2007 e 2008, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Brescia, per nuovo esame in ordine alla sussistenza ed entita’ delle sottrazioni d’imposta contestate, tenendo conto anche dei costi relativi alle operazioni attive i cui ricavi non sono stati indicati nelle dichiarazioni fiscali relative alle imposte sui redditi di detti anni.
Cio’ determina l’assorbimento del quinto motivo, relativo al trattamento sanzionatorio.
P.Q.M.
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