Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 18 luglio 2016, n. 30397

L’imprenditore che, trovandosi in difficoltà economica, compie una precisa scelta di politica aziendale, tale per cui continua le attività sociali, anche ricorrendo a finanziamenti e contestualmente omette di versare l’IVA, non può invocare la forza maggiore quale causa di esclusione della punibilità. Infatti, non può dirsi, in tal caso, integrata la necessità assoluta di violare la legge e l’imprevedibile e improvvisa insorgenza di una situazione di radicale mancanza di liquidità quando scade il termine per adempiere l’obbligazione tributaria

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 18 luglio 2016, n. 30397

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. MANZON Enrico – Consigliere
Dott. DI NICOLA Vito – Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– (OMISSIS), n. (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d’appello di MILANO in data 25/05/2015;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROMANO Giulio, che ha chiesto l’annullamento senza rinvio della sentenza per il reato sub a) e ridursi la pena di un mese di reclusione, con rigetto del ricorso nel resto;
udite, per il ricorrente, le conclusioni dell’Avv. (OMISSIS), che ha chiesto accogliersi il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 25/05/2015, depositata in data 22/06/2015, la Corte d’appello di Milano, in parziale riforma della sentenza emessa dal locale tribunale in data 1/10/2014, riduceva la pena inflitta a (OMISSIS) a mesi 11 di reclusione, confermando nel resto la sentenza appellata che lo aveva riconosciuto colpevole dei reati di omesso versamento IVA relativamente al periodo di imposta 2007 (imposta evasa pari ad Euro 137.776,00) ed al periodo di imposta 2008 (imposta evasa pari ad Euro 283.149,00), commessi nella qualita’ di legale rappresentante pro – tempore della s.r.l. (OMISSIS) con sede in (OMISSIS).
2. Ha proposto ricorso (OMISSIS), a mezzo del difensore fiduciario cassazionista, impugnando la sentenza predetta con cui deduce tre motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex articolo 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Deduce, con il primo ed il secondo motivo – che, attesa l’omogeneita’ delle doglianze ad essi sottese, meritano trattazione congiunta -, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b) ed e), sotto il profilo della violazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, e correlati vizi di mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, la sentenza sarebbe censurabile nel non aver applicato correttamente il disposto dell’articolo 10 ter, con riferimento all’elemento soggettivo del reato; il reato in esame infatti richiede il dolo generico, consistente nella semplice coscienza e volonta’ di non versare all’erario l’IVA nel periodo d’imposta considerato, come di recente affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 37424 del 2013; peraltro, si osserva, la stessa giurisprudenza ammette che il dolo puo’ essere escluso nell’ipotesi in cui il mancato versamento dell’Iva dipende da impossibilita’ incolpevole nell’adempimento; nella specie, la difesa aveva rappresentato in sede di merito le gravi difficolta’ economiche dell’imputato e della societa’ da lui amministrata; la sua colpevolezza invece e’ stata ritenuta provata in base all’assunto che lo stesso avrebbe tentato il risanamento aziendale, impegnando le risorse esistenti nelle operazioni commerciali previste dal piano di ristrutturazione societaria, mantenendo cosi’ la societa’ sul mercato e pagando nel frattempo i dipendenti, scegliendo in sostanza di intraprendere le operazioni ritenute urgenti ed indilazionabili ai fini della prosecuzione dell’attivita’ d’impresa, censurando inoltre il mancato accantonamento delle somme destinate al pagamento dell’Iva all’Erario; vero e’ che per provare l’elemento soggettivo e’ sufficiente che sia dimostrata l’omissione, ma e’ altrettanto vero che il dolo debba ricadere sull’omissione per poter sussistere la responsabilita’ dell’imputato; nel caso di specie il ricorrente, al momento di effettuare i versamenti, si era trovato in uno stato di difficolta’ in quanto la situazione della societa’ era cambiata e questi si era trovato nell’impossibilita’ oggettiva di far fronte ai debiti nei confronti dell’Erario per cause sopravvenute a lui non imputabili; non sarebbe possibile pretendere dall’imprenditore l’accantonamento e l’immobilizzo di ingenti somme a discapito del proseguimento e della salvaguardia di un’attivita’ economica produttiva; ai fini della valutazione del dolo generico, pertanto, si dovrebbe tener presente il percorso della societa’ e valutare se vi siano i profili per l’applicazione della cosiddetta forza maggiore; si sostiene infatti che nel caso di specie il ricorrente abbia posto in essere il comportamento omissivo in mancanza di rappresentazione e volizione, essendosi trovato nella oggettiva impossibilita’ dovuta a cause di forza maggiore (in particolare il mantenimento in funzione della societa’), di reperire le somme dovute all’Erario, donde la sua non punibilita’ ai sensi dell’articolo 45 del codice penale.
Quanto sopra esposto avrebbe inficiato anche il percorso motivazionale della sentenza impugnata in quanto il giudice al fine di valutare la sussistenza del reato dovrebbe esaminare la condotta al momento del fatto contestato e non il comportamento tenuto dall’imprenditore con attualizzazione ad oggi.
2.2. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b), sotto il profilo della violazione di legge in relazione alla L. n. 67 del 2014, articolo 2, ed all’articolo 131 bis c.p..
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, sostiene il ricorrente, anzitutto il reato di omesso versamento Iva dovrebbe considerarsi di fatto depenalizzato per effetto di quanto disposto dalla L. n. 67 del 2014, articolo 2; ed infatti lo schema di decreto legislativo (all’epoca della proposizione del ricorso per cassazione infatti non era stato ancora promulgato il Decreto Legislativo n. 158 del 2015: n.d.r.), ha innalzato la soglia di punibilita’ del reato di cui all’articolo 10 ter ad Euro 250.000 per periodo di risposta; nella specie, pertanto, il predetto reato, quanto al periodo di imposta 2007, dovrebbe considerarsi depenalizzato, tenuto conto del mancato superamento della soglia; quanto invece al periodo d’imposta 2008, trattandosi di un importo di poco superiore alla nuova soglia di punibilita’, sarebbe ravvisabile la causa di non punibilita’ del fatto di particolare tenuita’, tenuto conto delle condizioni oggettive di grave crisi e di carenza di liquidita’ in cui si e’ trovato ad operare il corrente e delle finalita’ verso cui era indirizzata la sua azione, cui si aggiunge lo stato di incensuratezza del medesimo, invocandosi pertanto il disposto dell’articolo 131 bis c.p..
3. Con memoria depositata presso la cancelleria di questa Corte in data 21/04/2016, la difesa del ricorrente, a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 158 del 2015, ha chiesto l’annullamento senza rinvio per non essere il fatto previsto dalla legge come reato quanto all’omesso versamento relativo al periodo di imposta 2007 ed ha insistito, quanto al residuo periodo di imposta 2008, per l’applicazione della causa di non punibilita’ di cui al richiamato articolo 131 bis c.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso e’ parzialmente fondato.
4. Quanto ai primi due motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente a seguito dell’illustrazione contestuale degli stessi per l’omogeneita’ dei profili di doglianza ad essi sottesi, osserva il Collegio come la Corte di appello motivi adeguatamente, e con percorso argomentativo immune da vizi logici, in ordine alle ragioni per le quali ha ritenuto sussistente il dolo generico richiesto dal reato di omesso versamento Iva; le difficolta’ economiche vengono infatti definite quali fattori esterni incidenti sulla motivazione della condotta illecita, ma inidonee ad escludere il dolo; la Corte di appello precisa che, a fronte della crisi del settore immobiliare ed alla ingravescente situazione debitoria, il ricorrente cerco’ di garantire la continuita’ alla attivita’ di impresa, scegliendo liberamente di autofinanziarsi rinviando pero’ il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto, ed intraprendendo operazioni commerciali (il riferimento e’ alla acquisizione 5/12/2008 delle quote di partecipazione nella societa’ (OMISSIS) S.r.l. per l’importo di Euro 990.000; alla acquisizione di un immobile industriale ad Eboli avvenuta nel 2007, contraendo un mutuo con la banca (OMISSIS) per l’importo di 1 milione di Euro, di cui Euro 800.000 per l’operazione ed Euro 200.000 versati nelle casse sociali per creare liquidita’); l’omesso versamento Iva, quindi, era stato il risultato di una deliberata e consapevole scelta di politica aziendale, non riconducibile ad una causa di forza maggiore ex articolo 45 codice penale, difettando, nel caso di specie, la necessita’ assoluta di violare la legge (nella specie l’articolo 10 ter, oggetto di contestazione, come resto si legge a pagina 4 della sentenza impugnata) e l’imprevedibile ed improvvisa insorgenza di una situazione di radicale mancanza di liquidita’ alla data dell’adempimento dell’obbligazione tributaria.
Corretto, a tal proposito, e’ il richiamo della giurisprudenza di questa Corte operato dalla Corte d’appello in ordine alla configurabilita’ del dolo generico (Sez. 3, n. 10120 del 01/12/2010 – dep. 11/03/2011, Provenzale, Rv. 249753; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014 – dep. 25/02/2015, Schirosi, Rv. 263128, che ha escluso che potesse essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidita’; Sez. 3, n. 2614 del 06/11/2013 – dep. 21/01/2014, Saibene, Rv. 258595, secondo cui ai fini dell’esclusione della colpevolezza e’ irrilevante la crisi di liquidita’ del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo; Sez. 3, n. 37528 del 12/06/2013 – dep. 13/09/2013, Corliano’, Rv. 257683, che con riferimento all’omologo delitto di omesso versamento delle ritenute certificate, ha affermato che la situazione di difficolta’ finanziaria dell’imprenditore non costituisce causa di forza maggiore che esclude la responsabilita’). In definitiva, per come emerge dalla sentenza di appello, risulta esservi – diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente -, prova di una situazione prodromica in cui questi ha gestito consapevolmente e volontariamente le risorse disponibili per soddisfare alcuni creditori, ossia i dipendenti, ed effettuare operazioni economiche ritenute piu’ urgenti ed indilazionabili ai fini della prosecuzione dell’attivita’ di impresa, con cio’ dunque dovendosi escludere la sussistenza di una forza maggiore e la configurabilita’, invece, della piena consapevolezza omissiva richiesta ai fini della sussistenza del dolo generico del reato contestato.
5. Deve, tuttavia, essere operata una differenziazione nell’approdo solutorio con riferimento ai due diversi periodi di imposta.
Ed invero, quanto al periodo di imposta 2007, puo’ convenirsi con le richieste congiunte delle parti di annullamento senza rinvio della sentenza per insussistenza del fatto. L’evasione d’imposta e’ infatti pari per tale periodo ad 137.769,00, inferiore alla nuova soglia di punibilita’ prevista dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, a seguito della novella introdotta con il Decreto Legislativo n. 158 del 2015.
Deve quindi darsi continuita’ al principio, gia’ affermato da questa stessa Sezione, secondo cui nel reato di omesso versamento di IVA, previsto dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, il superamento della soglia di punibilita’ – fissata, in 250.000 Euro, in seguito alle modifiche apportate dal Decreto Legislativo n. 158 del 2015, non configura una condizione oggettiva di punibilita’, bensi’ un elemento costitutivo del reato, con la conseguenza che la sua mancata integrazione comporta l’assoluzione con la formula “il fatto non sussiste” (Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015 – dep. 25/01/2016, Vanni, Rv. 265938).
Resta da chiarire, come del resto gia’ ribadito dalla predetta decisione, che l’insussistenza del fatto dichiarata per la mancata integrazione della soglia di punibilita’ attiene all’inconfigurabilita’ della fattispecie incriminatrice quanto all’accertamento che non sussiste il fatto che sia stata raggiunta una soglia pari o superiore a quella prevista per la realizzazione del reato, con la conseguenza che e’ esclusivamente rispetto a tale fatto che, ai sensi dell’articolo 652 c.p.p., la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento ha efficacia di giudicato.
Resta impregiudicato che l’eventuale mancato versamento dell’Iva in misura inferiore alla soglia di punibilita’ (che integra un fatto diverso, penalmente irrilevante e sanzionabile in via amministrativa) legittima l’Amministrazione Finanziaria a procedere in via amministrativa all’accertamento della violazione e all’irrogazione delle relative sanzioni in relazione all’imposta dovuta e non versata, purche’ sotto soglia.
6. Quanto, invece, all’omesso versamento IVA per il periodo di imposta 2008, non puo’ accogliersi la richiesta difensiva di applicazione dell’articolo 131 bis c.p., non solo per aver gia’ questa stessa Sezione affermato in consimili ipotesi che non e’ applicabile la causa di non punibilita’ della “particolare tenuita’ del fatto” alla condotta di omesso versamento di IVA per un importo di poco superiore alla soglia di punibilita’, fissata a 250.000 Euro dal Decreto Legislativo n. 158 del 2015, articolo 8, atteso che l’eventuale particolare tenuita’ dell’offesa non deve essere valutata con riferimento alla sola eccedenza rispetto alla soglia di punibilita’ prevista dal legislatore, bensi’ in rapporto alla condotta nella sua interezza, avendo, dunque, riguardo all’ammontare complessivo dell’imposta non versata (Sez. 3, n. 51020 del 11/11/2015 – dep. 29/12/2015, Crisci, Rv. 265982, relativa a fattispecie in cui e’ stata esclusa l’applicabilita’ dell’istituto di cui all’articolo 131 bis c.p., per insussistenza dei presupposti sul piano oggettivo, con riferimento ad un omesso versamento quantificato nella somma complessiva di 255.486,00 Euro, ossia di poco superiore alla nuova soglia di punibilita’, cio’ che esclude a maggior ragione l’applicabilita’ dell’articolo 131 bis c.p., nel caso in esame in cui l’eccedenza e’ di Euro 33.149,00), ma anche e, soprattutto, considerando che la condotta non appare isolata, ma costituisce la reiterazione di analogo comportamento serbato in relazione al precedente periodo di imposta, cio’ che esclude la sussistenza delle condizioni di applicabilita’ della nuova causa di non punibilita’.
Ed invero osta alla qualificazione del fatto in termini di particolare tenuita’ la reiterazione della condotta omissiva: tale elemento finisce per incidere non solo sull’entita’ dell’offesa arrecata all’Erario, ma anche e in primo luogo sull’indice-requisito della non abitualita’ del comportamento, in relazione al compimento di piu’ reati della stessa indole (per la rilevanza di reati in continuazione, si rinvia a Cass. Sez. 3, n. 43816 del 1/7/2015, Amodeo, rv. 265084, e a Cass. Sez. 3, n. 29897 del 28/5/2015, Gau, rv. 264034).
Deve, peraltro, evidenziarsi come la circostanza che il precedente periodo di imposta sia “coperto” dalla sopravvenuta modifica normativa che ha determinato l’innalzamento della soglia di punibilita’, se da un lato priva la condotta di disvalore penale, dall’altro non elide la rilevanza del comportamento omissivo dell’imprenditore che resta comunque illecito, sebbene relegato, quanto al periodo di imposta 2007, nel campo della sanzionabilita’ amministrativa, comportamento che resta dunque valutabile come fatto oggettivo ostativo alla qualificabilita’ del fatto come di particolare tenuita’.
7. L’impugnata sentenza dev’essere, pertanto, annullata senza rinvio quanto al reato sub a) per l’insussistenza del fatto, relativamente al periodo di imposta 2007, potendosi pero’ ex articolo 621 c.p.p., procedere alla riduzione della pena direttamente da parte di questo Giudice di legittimita’, eliminando il relativo aumento di pena inflitto dal giudice di merito, cosi’ rideterminandosi la pena principale in mesi 10 di reclusione e quella accessoria in dispositivo indicata, nella misura corrispondente.

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui al capo a) per il periodo di imposta 2007, perche’ il fatto non sussiste e ridetermina la pena, per il residuo reato, in mesi dieci di reclusione e quella accessoria della interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese in misura corrispondente alla pena principale.
Rigetta il ricorso nel resto.

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