Non si può invocare la giustificazione dell’evasione “per sopravvivenza” quando una della cause dell’inadempimento penalmente sanzionato è stato il mancato pagamento delle singole scadenze mensili
Suprema Corte di Cassazione
sezione III penale
sentenza 10 novembre 2016, n. 47250
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI Elisabetta – Presidente
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere
Dott. MANZON Enrico – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. DI STASI Antonella – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 14/05/2015 della Corte di Appello di Campobasso;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa DI STASI Antonella;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa FILIPPI Paola che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14.5.2015, la Corte di Appello di Campobasso confermava la sentenza del 17.10.2014 del Tribunale di Campobasso che aveva dichiarato (OMISSIS) responsabile dei reati di cui all’articolo 81 cpv. c.p. e Decreto Legislativo n. 74 del 2000, 10 ter – perche’ nella qualita’ di titolare e legale rappresentante della omonima ditta ometteva di versare, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto relativamente ai periodi di imposta (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) – e lo aveva condannato alla pena di anni uno e mesi due di reclusione con le conseguenti pene accessorie.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), per il tramite del difensore di fiducia, articolando un unico complesso motivo di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Il ricorrente deduce che, pur non disconoscendo di aver posto in essere la condotta omissiva contestata, cio’ era avvenuto non per mancanza di volonta’ di adempiere ai propri doveri con il fisco ma perche’ impossibilitato a farlo per causa di forza maggiore dovuta non solo alle condizioni di precarieta’ in cui era costretto a vivere ma anche e soprattutto perche’ non aveva mai incassato le esorbitanti somme sulle quale versare l’IVA per essere un semplice “prestanome”. Argomenta, quindi, che risulta evidente l’insussistenza dell’elemento psicologico del reato contestato.
Aggiunge che la crisi di liquidita’ configura una sorta di forza maggiore che interrompe il nesso psichico e che, nella specie, si e’ trattato proprio di una “evasione di sopravvivenza”.
Deduce, poi, che l’affermazione di responsabilita’ e’ stata fondata nei due gradi di giudizio su una istruttoria monca, sulle sole dichiarazioni dei testi di accusa ed in assenza di prove documentali.
Deduce, infine, la violazione del diritto di difesa, in quanto la Corte di appello disattendeva una istanza di rinvio per legittimo impedimento corredata e giustificata da apposita documentazione.
Chiede, pertanto, assoluzione perche’ il fatto non sussiste, per carenza dell’elemento psicologico o con altra formula ampia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va dichiarato inammissibile.
2. Il primo motivo e’ manifestamente infondato.
Con la sentenza n. 37424/2013 le Sezioni Unite hanno ribadito che il reato in esame e’ punibile a titolo di dolo generico.
Per la commissione del reato, basta, dunque, la coscienza e volonta’ di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato e la prova del dolo e’ insita, in genere, nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto e’ dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere “saldato o almeno contenuto” sotto la soglia di punibilita’ nel termine lungo previsto. Con l’effetto che se il debito verso il fisco relativo ai versamenti IVA e’ collegato al compimento delle singole operazioni imponibili, ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote gia’ (dall’acquirente del bene o del servizio) l’IVA dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter adempiere all’obbligazione tributaria. Il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter estende evidentemente questa esigenza di organizzazione su scala annuale.
Non puo’, pertanto, essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidita’ del soggetto attivo al momento della scadenza del termine, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta (protrattasi, in sede di prima applicazione della norma, nella seconda meta’ del (OMISSIS)) di non far debitamente fronte alla esigenza predetta organizzativa (per l’esclusione del rilievo scriminante di impreviste difficolta’ economiche in se’ considerate v., in riferimento alla parallela norma dell’articolo 10-bis, Sez. 3, n. 10120 del 01/12/2010, dep. 2011, Provenzale).
Questa Corte ha ulteriormente precisato che e’ necessario che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilita’ al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto.
Occorre cioe’ la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidita’, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volonta’ e ad egli non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055, Sez.3, n. 43599 del 09/09/2015, dep. 29/10/2015, Rv. 265262).
Poiche’ la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, tanto da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, questa Suprema Corte ha sempre escluso, quando la specifica questione e’ stata posta, che le difficolta’ economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante. (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez. 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822).
Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilita’, non la semplice difficolta’ di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856).
Ne consegue che: a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perche’ non esclude la suitas della condotta; b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non puo’ pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta/politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidita’; c) non si puo’ invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dal mancato pagamento delle singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimita’; d) l’inadempimento tributario penalmente rilevante puo’ essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volonta’ e che sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 25/02/2015, Rv. 263128).
Nel caso in esame, la deduzione riguardante la crisi economica e’ generica e in fatto e non reca, in particolare, indicazioni specifiche ne’ concrete atte a ravvisare una reale impossibilita’ incolpevole all’adempimento ovvero a ricondurre la causa esclusiva dell’inadempimento a condotte tenute prima del secondo semestre del (OMISSIS).
3. Il secondo motivo e’ inammissibile; ne va, infatti, rilevata la aspecificita’ ai sensi degli articoli 591 e 581 c.p.p..
Il ricorrente si limita a censurare genericamente la sentenza resa dal giudice di secondo grado, allegando che la Corte territoriale non avrebbe valutato il compendio probatorio, le cui risultanze escluderebbero la sua responsabilita’, e senza indicare alcun elemento di concretezza al riguardo.
Il vizio risulta diretto ad indurre la rivalutazione del compendio probatorio, senza l’indicazione di specifiche questioni in astratto idonee ad incidere sulla capacita’ dimostrativa delle prove raccolte.
Il vizio di motivazione per superare il vaglio di ammissibilita’ non deve essere diretto a censurare genericamente la valutazione di colpevolezza, ma deve invece essere idoneo ad individuare un preciso difetto del percorso logico argomentativo offerto dalla Corte di merito, sia esso identificabile come illogicita’ manifesta della motivazione, sia esso inquadrabile come carenza od omissione argomentativa; quest’ultima declinabile sia nella mancata presa in carico degli argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle prove a sostegno delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato.
Il perimetro della giurisdizione di legittimita’ e’, infatti, limitato alla rilevazione delle illogicita’ manifeste e delle carenze motivazionali, ovvero di vizi specifici del percorso argomentativo, che non possono dilatare l’area di competenza della Cassazione alla rivalutazione dell’interno compendio indiziario. Le discrasie logiche e le carenze motivazionali eventualmente rilevate per essere rilevanti devono, inoltre, avere la capacita’ di essere decisive, ovvero essere idonee ad incidere il compendio indiziario, incrinandone la capacita’ dimostrativa.
4. Il terzo motivo e’ inammissibile.
Il ricorrente lamenta il mancato accoglimento di istanza di rinvio per legittimo impedimento e la violazione del diritto di difesa per essere stata la sentenza emessa in assenza dell’imputato e del difensore, senza nulla specificare in ordine al contenuto e fondamento della istanza e della correlata documentazione nonche’ ai termini del diniego della stessa.
Esso, quindi, si caratterizza per assoluta genericita’, integra la violazione dell’articolo 581 c.p.p., lettera c), che nel dettare, in generale, quindi anche per il ricorso per cassazione, le regole cui bisogna attenersi nel proporre l’impugnazione, stabilisce che nel relativo atto scritto debbano essere enunciati, tra gli altri, “I motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta”; violazione che, ai sensi dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), determina, per l’appunto, l’inammissibilita’ dell’impugnazione stessa (cfr. Sez. 6, 30.10.2008, n. 47414, rv. 242129; Sez. 6, 21.12.2000, n. 8596, rv. 219087).
Inoltre, la deduzione contrasta con il contenuto della sentenza impugnata, nella quale si da’ atto, invece, della presenza all’udienza di discussione del gravame del difensore dell’imputato che rassegnava le conclusioni chiedendo l’accoglimento dell’appello.
5. Consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso.
6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’articolo 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura ritenuta equa indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende
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