Cassazione 4

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

ordinanza 14 ottobre 2014, n. 42886

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo – Presidente
Dott. SAVINO Mariapia Gaetan – Consigliere
Dott. GAZZARA Santi – Consigliere
Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere

Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 4/2014 TRIB. LIBERTA’ di MASSA, del 03/04/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. VINCENZO PEZZELLA;

sentite le conclusioni del PG Dott. Aldo Policastro, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

Udito il difensore Avv. (OMISSIS), che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 02.04.2014 depositata il 03.04.2014 il Tribunale di Massa ha rigettato l’istanza di riesame proposta da (OMISSIS) avverso il decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca emesso dal GIP del Tribunale di Massa in data 26.09.2012 ed eseguito dalla Guardia di Finanza il 20.03.2014, indagato per il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5, per aver omesso la dichiarazione dei redditi sulle persone fisiche per l’anno 2008 per un imposta IRPEF pari ad euro 3.694.269,00.
2. Ricorre per Cassazione, a mezzo dei propri difensori, (OMISSIS) deducendo:
a. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme (articolo 183 TUIR) di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale con riferimento alla sussistenza del fumus commissi delicti sotto il profilo dell’elemento oggettivo del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5 ai fini dell’emissione di un sequestro preventivo funzionale alla confisca – mancanza assoluta di motivazione con riferimento alla sussistenza del fumus commissi delicti sotto il profilo dell’elemento oggettivo del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5 ai fini dell’emissione di un sequestro preventivo funzionale alla confisca.
Il ricorrente rileva che il Tribunale avrebbe ritenuto sufficiente, ai fini della legittimita’ del sequestro, la sola sussistenza del fumus commissi delicti.
Tanto sarebbe insufficiente secondo la difesa, che evidenzia il mancato espletamento di un’indagine tendente a verificare la coerenza dell’ipotesi accusatoria con i dati processuali raccolti.
Mancante, peraltro, risulterebbe anche la motivazione sul fumus, in quanto il Collegio si sarebbe limitato ad affermarne l’esistenza.
I giudici del riesame si sarebbero limitati a prendere atto del contrasto tra la lettura dell’articolo 183 TUIR offerta dal consulente del P.M. e quella fornita dalla difesa senza fare alcun accenno ai contenuti e alle ragioni del conflitto.
La difesa evidenzia l’importanza del momento in cui il credito, che ha determinato la sopravvenienza tassabile, andava inserito nel patrimonio fallimentare.
In ultimo rileva l’incongruenza del ragionamento dei Tribunale che ritiene che la somma erogata all’indagato originerebbe non tanto dalla realizzazione del credito ceduto a terzi, quanto dalla pronuncia che disposto il risarcimento del danno, dando vita ad una sopravvenienza tassabile.
Detta affermazione sarebbe erronea perche’ in forza di tale ragionamento tutte le plusvalenze da cessione di beni rientranti nella massa attiva genererebbero una tassazione infra-fallimentare, mentre invece l’imposizione va calcolata sul solo surplus della liquidazione.
b. Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale o di altre norme (articolo 183 TUIR) di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5 ai fini dell’emissione di un sequestro preventivo funzionale alla confisca – mancanza assoluta di motivazione con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 5.
Per quanto riguarda l’elemento soggettivo del reato, il ricorrente segnala come la decisione di non versare le imposte sia scaturita dal parere di due autorevoli tributaristi. Evidenzia ancora che lo stesso P.M. si e’ avvalso di una consulenza tecnica, tenuto conto della complessita’ e peculiarita’ delle tematiche fiscali. Pertanto sarebbe evidente la mancanza di dolo stante il legittimo affidamento riposto nella tesi secondo cui le somme percepite non dovevano determinare reddito imponibile ai sensi dell’articolo 183 TUIR.
Sul punto il Tribunale si limiterebbe a dire che i pareri forniti all’indagato non escludono la consapevolezza e la volonta’ di sottrarsi all’obbligo dichiarativo e al pagamento dei tributi dovuti.
Chiede pertanto a questa Corte Suprema di annullare l’ordinanza impugnata e prendere i consequenziali provvedimenti sul sequestro disposto dal GIP.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi sopra indicati sono infondati e pertanto il proposto ricorso va rigettato.
2. Va in primis ricordato che l’articolo 325 cod. proc. pen. prevede, contro le ordinanza in materia di riesame di misure cautelari reali, il ricorso per cassazione soltanto per violazione di legge.
La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha piu’ volte ribadito come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei vizi della motivazione cosi’ radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (vedasi Sez. U, n. 25932 del 29.5.2008, Ivanov, rv. 239692; conf. sez. 5, n. 43068 del 13.10.2009, Bosi, rv. 245093).
Ancora piu’ di recente e’ stato precisato che in tali casi e’ ammissibile il ricorso per cassazione, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perche’ sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato, (cosi’ sez. 6, n. 6589 del 10.1.2013, Gabriele, rv. 254893).
Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell’atto.
3. Fatta questa necessaria premessa in punto di diritto va tuttavia evidenziato che, ancorche’ enunciate come violazioni di legge, le doglianze proposte, propongono elementi di fatto o, comunque, interpretazioni alternative della norma.
Il Tribunale di Massa ha congruamente e logicamente motivato, con provvedimento pertanto immune dai denunciati vizi di legittimita’, su tutti i punti fondamentali della decisione, desumendo l’esistenza del fumus commissi delicti da specifici dati fattuali, con cio’ facendo proprio il dictum di questa Corte Suprema secondo cui ai fini dell’emissione del sequestro preventivo funzionale alla confisca il giudice deve valutare la sussistenza del “fumus delicti” in concreto, verificando in modo puntuale e coerente gli elementi in base ai quali desumere l’esistenza del reato configurato, in quanto la “serieta’ degli indizi” costituisce presupposto per l’applicazione delle misure (cosi’, tra le altre, sez. 6, n. 45591 del 24.10.2013, rv. 257816).
Dalla lettura del provvedimento impugnato appare esservi stata una corretta analisi dell’esistenza di elementi relativi sia al profilo oggettivo che soggettivo del reato.
Relativamente alla configurabilita’ oggettiva del reato, il provvedimento del riesame ha valutato il mancato inserimento del credito “nella determinazione del patrimonio netto iniziale da sottrarre in seguito al residuo attivo”.
Nella motivazione del provvedimento vengono rilevati tutti gli elementi dai quali e’ stato possibile rilevare il dato sopraindicato, ossia l’avvenuta contestazione del credito e l’esito negativo della procedura di recupero dello stesso.
Parimenti infondata appare la critica mossa dal ricorrente alla considerazione che il residuo attivo deriverebbe dal risarcimento del danno riconosciuto alla curatela del fallimento per gli illeciti commessi dalle banche nei confronti della stessa. Appare, infatti, del tutto infondata la pretesa di voler equiparare un’entrata rappresentata da un risarcimento alle plusvalenze da cessioni beni.
La legislazione sul punto appare chiara, laddove al comma 2 dell’articolo 183 TUIR 917/86 si legge: “il patrimonio netto dell’impresa o della societa’ all’inizio del procedimento concorsuale e’ determinato mediante il confronto secondo i valori riconosciuti ai fini delle imposte sui redditi, tra le attivita’ e le passivita’ risultanti dal bilancio di cui al comma 1, redatto e allegato alla dichiarazione iniziale del curatore o dal commissario liquidatore”.
Appaiono sufficienti elementi, nel caso di specie, in termini di fumus, per far ritenere che la somma realizzata all’atto della liquidazione, rappresenti un residuo attivo della chiusura del fallimento. Come detto – e tenendo sempre presenti i limiti di sindacato in questa sede possibile per la sola violazione di legge e non potendo trovare spazio assunti vizi motivazionali che non involgano l’inesistenza o l’apparenza della motivazione e che quindi trasmodino in violazioni di legge – nei provvedimento impugnato si ritiene, in maniera logica, che la provenienza della plusvalenza non derivi dal credito iracheno, ceduto a terzi nel 2003, ma dal risarcimento dovuto dagli istituti bancari per complessivi euro 9.510.150,50 a seguito della pronuncia in tal senso del tribunale massese.
Come rileva il Tribunale di Massa nel provvedimento impugnato il credito in questione non poteva considerarsi inserito nel patrimonio della societa’ gia’ al momento dell’apertura della procedura concorsuale perche’ all’epoca, il credito in discorso, era contestato e non ne era certa l’esistenza, tanto che la Procura della repubblica di Torino aveva iniziato le indagini per accertarne l’eventuale falsita’, la procedura di pignoramento presso terzi coltivata dalla Curatela aveva dato esito negativo, cosicche’ detto credito veniva ceduto alla soc. (OMISSIS) con sede nel Regno Unito per la cifra di euro 77.450,00, pur a fronte di un valore nominale di 10 milioni di dollari”. (cfr. pag. 2 ordinanza impugnata).
In tal senso non vi e’ doppia imposizione, ma solo una plusvalenza successiva che e’ reddito d’impresa e rientra percio’ nella previsione dell’articolo 183 TUIR.
4. Infondate sono, infine, anche le doglianze che investono il profilo soggettivo.
Con motivazione logica e congrua il Tribunale ha ritenuto che l’esistenza di una consulenza non possa valere ad escludere “la consapevolezza e la volonta’ dell’indagato di sottrarsi all’obbligo dichiarativo ed al pagamento”.
Diversamente opinando basterebbe al contribuente trovare l’avallo di un professionista cui richiedere una consulenza, nei casi che ritiene dubbi, perche’ possa dirsene incrinata la personale volizione, sotto il profilo del dolo, rispetto ad un possibile reato.
E’ di tutta evidenza che non puo’ essere cosi’.
Peraltro proprio in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo non puo’ dimenticarsi – e il Tribunale di Massa non lo fa dandone conto a pag. 3 del provvedimento impugnato – che il ricorrente era stato avvisato dal curatore della necessita’ di procedere alla presentazione della dichiarazione dei redditi in questione nel Mod. Unico 2009.
Non provvedere alla presentazione della dichiarazione e al pagamento della relativa imposta e’ stata, dunque, una sua consapevole scelta, sia pure confortata dal parere di consulenti di parte.
5. Al rigetto del ricorso consegue ex lege la condanna al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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