Suprema Corte di Cassazione

sezione III civile

sentenza del 20 novembre 2012, n. 20299

Svolgimento del processo

1. N.W. citava a giudizio, davanti al Tribunale di Biella, M.M. per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’aggressione e delle percosse inferte a suo danno dal convenuto, nel corso di una lite avvenuta tra le due figlie del N.
Il convenuto si costituiva e, sostenendo di essere stato egli la vittima dell’aggressione dell’attore, rilevava che il medesimo aveva aggravato le conseguenze delle lesioni, non rispettando le prescrizioni mediche.
Il Tribunale, dopo aver svolto prova per testi ed una c.t.u., accoglieva la domanda del N. e condannava il M. al pagamento, in favore dell’attore, della somma di Euro 13.102,54, con compensazione integrale delle spese di lite.
2. Avverso la pronuncia di primo grado proponevano appello principale il M. ed appello incidentale il N. (sul solo punto delle spese), e la Corte d’appello di Torino, con sentenza depositata il 6 marzo 2007, rigettava entrambi gli appelli, confermava la sentenza impugnata e compensava integralmente le spese del giudizio di secondo grado.
Osservava la Corte territoriale che la censura contenuta nell’appello principale circa una presunta contraddittorietà della motivazione era smentita dal fatto che il Tribunale aveva fondato la propria decisione non tanto sulle deposizione testimoniali, quanto sulla compatibilità delle lesioni accertate dal c.t.u. con le due opposte versioni dell’accaduto fornite dalle parti in causa. Rilevava la Corte, infatti, che la versione del N. , a differenza di quella resa dal M. , risultava compatibile con le lesioni riportate dall’attore ed era, quindi, maggiormente credibile.
Quanto alla tesi del M. secondo cui la controparte avrebbe aggravato le conseguenze dell’episodio tenendo un comportamento contrario alle indicazioni dei sanitari curanti, la Corte torinese osservava che la stessa era rimasta del tutto sfornita di prova. Nel caso di specie, infatti, una volta accertato che il M. aveva aggredito il N. provocandogli lesioni, l’eventuale negligenza di quest’ultimo nel seguire le cure doveva pacificamente essere provata dal primo; prova che, appunto, non era stata fornita.
Rilevava, infine, la Corte territoriale essere ininfluente il fatto che le lesioni subite dal N. fossero diverse da quelle dal medesimo indicate in citazione, perché l’aggressione era comunque avvenuta, “sia pure con modalità diverse da quelle narrate dall’attore”.
L’appello incidentale del N. veniva pure respinto, sul rilievo che la compensazione delle spese appariva giustificata in considerazione della “elevatissima sproporzione tra la richiesta attorea e la liquidazione del danno effettuata dal giudice”.
3. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino propone ricorso per cassazione il M. , con atto contenente due motivi.
Resiste il N. con controricorso.

Motivi della decisione

1.1. Col primo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 5), cod. proc. civ., insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alla valutazione ed all’interpretazione delle risultanze istruttorie al fine della ricostruzione dei fatti.
Rileva in proposito il ricorrente che il c.t.u. è pervenuto, fra l’altro, alle seguenti conclusioni: che le lesioni subite dal N. sono compatibili con un trauma diretto o indiretto; che è escluso che l’attore abbia subito percosse violente e che è verosimile che la caduta al suolo sia avvenuta dopo l’afferramento al collo ed il conseguente trascinamento della vittima. La versione dei fatti compiuta dal N. nell’atto di citazione, invece, è del tutto diversa, in quanto egli ha sostenuto di essere caduto a terra a seguito di numerosi pugni e calci subiti. Ne consegue che la motivazione sarebbe contraddittoria, poiché non risponde al vero che la versione offerta dal N. sia stata confermata in sede di prova.
1.2. Il motivo non è fondato.
Occorre preliminarmente rilevare che il presente ricorso si colloca, ratione temporis, nel periodo di vigenza dell’art. 366-bis cod. proc. civ., il quale imponeva che ciascun motivo di ricorso fosse concluso dalla formulazione di un quesito di diritto e che, in relazione alla censura di vizio di motivazione, venisse fornita chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale sì assumeva che la motivazione fosse mancante, insufficiente o contraddittoria.
Il motivo ora in esame lamenta un vizio di motivazione.
Ora – anche a prescindere dal profilo di inammissibilità conseguente al fatto che la censura non contiene un adeguato momento di sintesi, come richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte in relazione al vizio di motivazione (Cass., S.U., 18 giugno 2008, n. 16528, Cass., 18 novembre 2011, n. 24255) – assume decisiva importanza il rilievo che tutte le considerazione svolte dal ricorrente si risolvono in un improprio tentativo di ottenere da questa Corte un riesame del merito del materiale probatorio raccolto in atti. Il ricorrente, infatti, censura possibili profili di incoerenza della motivazione della pronuncia della Corte d’appello, ma le critiche tendono a contestare la ricostruzione dei fatti operata dal giudice di merito.
La Corte d’appello, del resto, ha avuto cura di precisare che la versione dei fatti fornita dal N. appariva, a differenza di quella data dal M. , compatibile col tipo di lesioni riportate dal primo e che, ove pure gli eventi si fossero compiuti secondo una dinamica diversa da quella indicata dal N. nell’atto di citazione, ciò non avrebbe comportato diverse conseguenze in ordine al riparto della responsabilità; rispetto a tale corretta argomentazione, la censura tende, come si è detto, non tanto ad evidenziare un vizio di motivazione, quanto a chiedere al giudice di legittimità una diversa (e non consentita) rivalutazione delle prove.
2.1. Col secondo motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa applicazione, nonché vizio di motivazione, in relazione all’art. 360, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ., degli artt. 1227, secondo comma, e 2697 cod. civ., in riferimento alla presunta responsabilità del N. nell’aggravamento delle conseguenze del sinistro.
Rileva in proposito il M. che dalle prove testimoniali e documentali assunte, nonché dalla citata c.t.u., risultava chiaramente che il N. aveva di sua iniziativa, e contro il parere dei sanitari, abbandonato l’ospedale dove si trovava ricoverato per il trauma subito a causa dei fatti in questione; come pure risultava che egli aveva continuato ad andare a caccia, come sua abitudine, imbracciando il fucile con il braccio danneggiato (il destro), in tal modo aggravando, o comunque rallentando, la sua guarigione. Ne consegue che la sentenza d’appello avrebbe violato le due citate disposizioni.
2.2. Anche questo motivo di ricorso non è fondato.
È da osservare, in via preliminare, che tale motivo contiene una doppia censura, l’una per violazione di legge e l’altra per vizio di motivazione. Alla doppia censura non corrisponde, peraltro, una doppia formulazione del quesito di diritto, perché il solo quesito effettivamente proposto (p. 20 del ricorso) è centrato sulla ipotizzata violazione dell’art. 1227, secondo comma, cod. civ., mentre manca un momento di sintesi nel quale possa condensarsi la censura sul presunto vizio di motivazione.
Tuttavia, anche volendo lasciare sullo sfondo tale profilo di dubbia ammissibilità del motivo in esame, resta il fatto decisivo che la censura ivi profilata è anch’essa formulata in modo tale da risolversi in una richiesta di riesame del materiale probatorio esistente. La sentenza impugnata, infatti, ha precisato che, “anche ad ammettere come provate tutte le circostanze che l’appellante allega in proposito, nondimeno manca ogni prova che da tali comportamenti sia derivato un qualche aggravamento delle conseguenze riportate dal N. dall’episodio violento per cui è causa”. In altre parole, pur ammettendo che il N. abbia, nella specie, abbandonato prima del tempo l’ospedale dove era ricoverato e sia uscito per andare a caccia, ciò non consente, di per sé, di ritenere dimostrato che il danneggiato si sia posto nelle condizioni di cui all’art. 1227, secondo comma, cod. civ., in quanto tale tesi è rimasta priva di ogni riscontro probatorio.
Appare evidente, quindi, che questa Corte non potrebbe in alcun modo pervenire all’accoglimento del motivo di ricorso se non procedendo ad un completo riesame delle prove, attività non consentita nell’odierna sede di legittimità.
3. Il ricorso, pertanto, è rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate, come in dispositivo, in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 1.500, di cui Euro 1.300 per compensi, oltre accessori di legge.

Depositata in Cancelleria il 20.11.2012

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