La nullità prevista dall’art. 13, comma 1, della legge n. 431 del 1998, sanziona il patto occulto di maggiorazione del canone, che, in quanto nullo, non è sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla validità dell’atto. Consegue che resta valido il solo contratto registrato ed quindi dovuto solamente il canone apparente.
In particolare, è stata disattesa, dalle sezioni unite, l’interpretazione secondo cui soltanto all’esito dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 346, della legge n. 311 del 2004, la norma tributaria sarebbe stata elevata al rango di norma imperativa, con conseguente nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 cod. civ. in caso di relativa violazione. Nella specie, va dunque dichiarata la nullità del patto contenente la previsione di un canone di locazione maggiore di quello risultante dal contratto registrato.
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Suprema Corte di Cassazione
sezione III civile
sentenza 31 gennaio 2017, n. 2368
Svolgimento del processo
Con sentenza del 2 febbraio 2012, il Tribunale di Verona accertava la cessazione del rapporto di locazione a uso abitativo, risalente all’ottobre del 2002, avente ad oggetto un immobile di proprietà di M.D. e condotto da B.G. , condannando quest’ultima al pagamento della differenza fra l’importo dei canoni non versati e quanto dovuto dal locatore per la restituzione del deposito cauzionale.
Avverso tale sentenza proponeva appello la B. , lamentando – fra l’altro e per quanto qui d’interesse – la violazione dell’art. 1, comma 346, legge n. 311 del 2004, consistita nell’omessa rilevazione d’ufficio della nullità conseguente all’omessa registrazione del patto con cui si stabiliva un canone superiore rispetto a quello indicato nel contratto di locazione registrato.
Il M. proponeva appello incidentale.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 28 maggio 2014, in parziale accoglimento dell’appello principale e dell’appello incidentale, accertava che alla B. era dovuta in restituzione la somma di Euro 1.136,21 (anziché il minore importo risultante dal contratto di locazione) e che al M. era invece dovuto l’importo di Euro 3.000,00. Per il resto, confermava la sentenza di primo grado.
Contro la sentenza d’appello ricorre per la cassazione la B. , allegando tre motivi. Il M. resiste con controricorso. La B. ha altresì depositato due memorie ex art. 378 cod. proc. civ..
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo di ricorso, la B. ripropone la questione della nullità del patto aggiunto contenente la previsione di un maggior canone locativo rispetto a quello, simulato, risultante dal contratto di locazione registrato.
2 – Va premesso, in proposito, che l’art. 13 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, sancisce la nullità di ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato.
La legge 28 dicembre 2015, n. 208 (in vigore dal 10 gennaio 2016), ha modificato tale disposizione prevedendo che “è fatto carico al locatore di provvedere alla registrazione nel termine perentorio di trenta giorni, dandone documentata comunicazione, nei successivi sessanta giorni, al conduttore ed all’amministratore del condominio”. Tale previsione, però, non si applica al caso in esame, non essendo prevista la retroattività o l’applicabilità ai patti più risalenti.
L’obbligo di registrazione risulta altresì dall’art. 1, comma 346, legge 30 dicembre 2004, n. 311, a mente del quale “i contratti di locazione, o che comunque costituiscono diritti relativi di godimento, di unità immobiliari ovvero di loro porzioni, comunque stipulati, sono nulli se, ricorrendone i presupposti, non sono registrati”. Neppure questa norma, però, si applica ai contratti preesistenti, qual è quello per cui è causa, non avendo efficacia retroattiva, in base all’art. 11 delle Preleggi.
3. – In conclusione, tutte le norme che prevedono la nullità dei patti aggiunti per omessa registrazione sono successive alla stipulazione del contratto oggetto di lite e non si applicano allo stesso.
In difetto di una previsione di segno contrario, trova applicazione – piuttosto – il principio generale oggi sancito nell’art. 10, comma 3, della legge 27 luglio 2000 n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), secondo cui “le violazioni di disposizioni di rilievo esclusivamente tributarlo non possono essere causa di nullità del contratto”.
È appena il caso di aggiungere che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 333 del 2011, in applicazione di tale principio, ha ritenuto costituzionalmente illegittimo l’art. 7 della legge n. 431 del 1998 (che poneva quale condizione per la messa in esecuzione del provvedimento di rilascio dell’immobile locato, adibito ad uso abitativo, la dimostrazione, da parte del locatore, della regolarità della propria posizione fiscale quanto al pagamento dell’imposta di registro sul contratto di locazione, dell’ICI e dell’imposta sui redditi relativa ai canoni), perché l’onere ivi previsto, imposto al locatore a pena di improcedibilità dell’azione esecutiva, aveva finalità esclusivamente fiscali, prive di qualsivoglia connessione con il processo esecutivo e con gli interessi che lo stesso è diretto a realizzare, traducendosi così in una preclusione o in un ostacolo all’esperimento della tutela giurisdizionale, in violazione dell’art. 24 della Costituzione.
4. – Non sussiste, dunque, la causa di nullità dedotta dalla ricorrente per violazione dell’obbligo di registrazione del patto contenente il canone dissimulato.
5. – Nondimeno va dichiarata d’ufficio la contrarietà dell’accordo dissimulato al divieto posto dall’art. 13 della legge n. 431 del 1998, anche nella versione applicabile ratione temporis.
Sul punto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno recentemente chiarito che la nullità prevista dall’art. 13, comma 1, della legge n. 431 del 1998, sanziona il patto occulto di maggiorazione del canone, che, in quanto nullo, non è sanato dalla registrazione tardiva, fatto extranegoziale inidoneo ad influire sulla validità dell’atto (Sez. U, Sentenza n. 18213 del 17/09/2015, Rv. 636471). Consegue che resta valido il solo contratto registrato ed quindi dovuto solamente il canone apparente.
In particolare, stata disattesa l’interpretazione secondo cui soltanto all’esito dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 346, della legge n. 311 del 2004, la norma tributaria sarebbe stata elevata al rango di norma imperativa, con conseguente nullità del negozio ai sensi dell’art. 1418 cod. civ. in caso di relativa violazione.
6. – Nella specie, va dunque dichiarata la nullità del patto contenente la previsione di un canone di locazione maggiore di quello risultante dal contratto registrato.
Poiché la compensazione c.d. impropria, disposta dai giudici di merito fra i canoni dovuti dalla B. e la restituzione del deposito cauzionale da parte del M. si basa sull’erroneo presupposto che il contenuto di quel patto aggiunto facesse stato fra le parti, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio.
Tale decisione comporta l’assorbimento di ogni altra censura dedotta in ricorso.
7. – Il giudice del merito provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri motivi, cassa, in relazione alla censura accolta, la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia anche per le spese del giudizio di cassazione.
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