La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo e perché possa configurarsi in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso rilevante non presuppone nè implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e funzione della norma è, d’altro canto, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d’uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta. Ne consegue che tale tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito (da intendersi nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato), fattore che attiene non già ad un comportamento del custode (che é irrilevante) bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità. L’attore che agisce per il riconoscimento dei danno ha, quindi, l’onere di provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.
Suprema Corte di Cassazione
sezione III civile
sentenza 26 maggio 2016, n. 10893
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del nove-10 maggio 2013 il Tribunale di Montepulciano ha respinto l’appello di M.G. avverso sentenza dell’11 ottobre 2011 con cui il giudice di pace di Montepulciano aveva respinto la sua domanda di risarcimento proposta nei confronti di Autostrade per l’Italia S.p.A. della Provincia di Vercelli per i danni derivati dall’avere il M. o la propria automobile investiti in autostrada parte della carcassa di uno pneumatico.
2. Ha presentato ricorso il M., sulla base di tre motivi.
il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1218 e/o 2051, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c.
Ai fini di dimostrare che il sinistro era derivato da causa a essa non imputabile Autostrade per l’Italia S.p.A. avrebbe dovuto provare – ma non l’avrebbe fatto- di avere adempiuto ai propri obblighi di vigilanza, da non intendersi come passiva attesa di segnalazione, bensì come attività positiva. La società suddetta non avrebbe neppure provato l’inevitabilità e la imprevedibilità dei fatto.
Il secondo motivo denuncia, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 5, c.p.c., insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’articolo 116 c.p.c.
Sarebbe infatti illogica motivazione attribuire al ricorrente di avere chiesto alla convenuta di provare precedenti segnalazioni, perché tale richiesta non sarebbe mai stata fatta.
Inoltre l’affermazione dei Tribunale che non vi fosse stata dimostrazione della presenza della carcassa della pneumatico da pochi minuti rispetto al momento del sinistro vizierebbe logicamente l’esistenza del caso fortuito.
Errata sarebbe anche la valutazione della testimonianza resa in primo grado dalla trasportata L.i e avrebbe provato la natura di insidia della carcassa della pneumatico, ignorata dal giudice.
Il terzo motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., omessa motivazione in relazione agli articoli 2043 c.c. e 112 c.p.c., omissione che avrebbe per oggetto la domanda subordinata di responsabilità ex articolo 2043 c.c.
Si difende con controricorso Autostrade per l’Italia S.p.A. chiedendo il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
3. II ricorso è fondato limitatamente al primo motivo.
3.1.1 Nel primo motivo, invero, si denuncia violazione o falsa applicazione degli articoli 1218 e/o 2051 c.c., osservando che il giudice d’appello “avrebbe dovuto giudicare la responsabilità della convenuta facendola discendere dall’esistenza o meno della prova dell’impossibilità non imputabile della prestazione” ex articolo 1218 o “sull’esistenza o meno dei caso fortuito” ex articolo 2051, comunque dovendo far gravare la prova dell’esistenza dell’esimente sulla convenuta stessa. Nel caso di specie, al contrario, tale prova sarebbe stata “data per scontata dallo stesso giudicante sulla base di congetture che nulla hanno a che vedere col principio dell’inversione dell’onere della prova, prima enunciato e poi disatteso”.
Occorre rilevare che – dopo aver dato atto che il giudice di primo grado aveva respinto la domanda attorea qualificando caso fortuito la circostanza che aveva causato l’incidente e quindi ritenendo dimostrata l’assenza di responsabilità ex articolo 2051 c.c. (in particolare ravvisando l’origine dell’insidia nella condotta imprevedibile di altri utenti della strada, ed escludendo il mancato inadempimento da parte dei gestore dell’obbligo di mantenere la sede stradale libera da ostacoli pericolosi) – il giudice di secondo grado, a fronte della censura, avanzata in gravame, sull’essere l’onere della prova gravante sulla appellata secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, afferma che “l’ente proprietario o concessionario autostradale è gravato dall’obbligo di custodia di cui all’art. 2051 c.c. con il limite dei caso fortuito”, richiama la giurisprudenza di questa Suprema Corte sul concetto di caso fortuito e rimarca l’esistenza di “una distinzione tra cause intrinseche e cause estrinseche”, te prime essendo riconducibili ad effetti strutturali della strada, alla mancanza di controllo o di manutenzione, e le seconde essendo riconducibili a fattori estranei e naturali. Per questo secondo caso, rileva che può ritenersi sussistente il fortuito almeno finché non sia trascorso un tempo ragionevolmente sufficiente perché il custode venga a conoscere il pericolo e possa intervenire per eliminarlo (viene richiamata al riguardo Cass. sez.3, 6 giugno 2008 n. 15042).
Desume da ciò il Tribunale l’assenza di responsabilità del custode, asserendo che in applicazione dei suddetti principi il giudice di prime cure, “sulla base di considerazioni ed argomentazioni del tutto logiche”, aveva ritenuto che l’ostacolo fosse stato perduto sulla carreggiata “da un utente che precedeva sia pure di poco l’autovettura” dell’appellante: e appunto per tale “brevità del tempo trascorso” di nulla il custode è responsabile.
3.1.2 É evidente che, in tal modo, viene messo in discussione l’onere della prova: e infatti, dopo questa affermazione, a ben guardare meramente assertiva (il giudice di secondo grado non spiega sulla base di quali elementi si sarebbe dovuto ritenere praticamente immediato il rilascio dell’ostacolo sul manto stradale, nè fornisce la minima concretezza alle pretese “considerazioni ed argomentazioni dei tutto logiche” che attribuisce al giudice di pace: anzi, nella parte della motivazione di primo grado che aveva trascritto in precedenza non emerge alcun elemento probatorio in tal senso, bensì soltanto un argomento meramente ipotizzante che l’oggetto fosse “finito lungo la striscia di asfalto solo pochi istanti prima che il danneggiato lo investisse” per desumerne che in una simile ipotesi la responsabilità dei gestore dell’autostrada sarebbe “avverti bi li mente aberrante”), il Tribunale affronta proprio la “doglianza inerente il fatto che la società appellata non avesse fornito la prova della mancanza di precedenti segnalazioni”, liquidandola con l’argomento che si tratterebbe della prova di un fatto negativo. Aggiunge il Tribunale stesso, però, “che non è in alcun modo dimostrato che la presenza della carcassa … fosse dovuta ad un incidente accaduto pochi minuti prima” (e così, tra l’altro, incorre in una immediata contraddizione rispetto a quanto aveva poche righe sopra asserito come condivisibilmente accertato dal primo giudice), né è dimostrato che la carcassa appartenesse a un automezzo dell’appellata.
È chiaro che in tal modo il giudice d’appello ha invertito l’onere di prova, liquidando come prova negativa quella che d’altronde è la prova di un elemento positivo, cioè dei caso fortuito, e giungendo, in sostanza, a gravare il danneggiato di un onere probatorio più ampio di quello a lui imposto dalla legge, proprio perché erroneamente assorbente l’onere probatorio del custode: sarebbe stato il danneggiato, in ultima analisi, a dovere dimostrare quando e da chi fosse stato lasciato sul manto stradale l’oggetto che ha causato il suo danno, laddove, secondo l’articolo 2051 c.c., nel caso di responsabilità oggettiva, il danneggiato deve dimostrare soltanto l’esistenza dell’elemento danneggiante e il nesso causale tra questo e il suo danno (ex multis, particolarmente preciso e completo è l’insegnamento di Cass. sez. 3, 19 febbraio 2008 n. 4279: ” La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia prevista dall’art. 2051 c.c. ha carattere oggettivo e perché possa configurarsi in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso rilevante non presuppone nè implica uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e funzione della norma è, d’altro canto, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d’uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta. Ne consegue che tale tipo di responsabilità è esclusa solamente dal caso fortuito (da intendersi nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato), fattore che attiene non già ad un comportamento del custode (che é irrilevante) bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità. L’attore che agisce per il riconoscimento dei danno ha, quindi, l’onere di provare l’esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo, mentre il custode convenuto, per liberarsi dalla sua responsabilità, deve provare l’esistenza di un fattore estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere quel nesso causale.”; su questa linea Cass. sez. 3, 25 luglio 2008 n. 20427 puntualizza che al custode “per andare esente da responsabilità non sarà sufficiente provare la propria diligenza nella custodia, ma dovrà provare che il danno è derivato da caso fortuito”; e il caso fortuito – che possa consistere anche nella condotta di un terzo o dei danneggiato stesso è stato confermato pure dalla recentissima Cass. sez. 3, 18 settembre 2015 n. 18317 – rende la connessione tra la cosa custodita e il danno una mera occasione, come rileva Cass. sez. 3, 17 ottobre 2013 n. 23584; cfr. altresì Cass. sez. 3, 5 dicembre 2008 n. 28811, Cass. sez. 3, 24 febbraio 2011 n. 4476 e, a proposito proprio di una fattispecie di responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia del gestore autostradale, Cass. sez. 3, 19 maggio 2011 n. 11016).
Né la giurisprudenza, richiamata dal giudice d’appello, in ordine alla differenza tra le cause di pericolo individuabili nella struttura – eventualmente perché non oggetto di adeguata manutenzione – dei bene in custodia e le cause di pericolo estrinseche può incidere sulla ripartizione dell’onere della prova, dilatando appunto, in rapporto a un elemento danneggiante indiscusso o dimostrato come esistente, l’onere dei danneggiato al di là del nesso causale: se è vero, infatti, che qualora l’elemento danneggiante sia estrinseco rispetto alla cosa in custodia si verificherà il caso fortuito quando l’evento dannoso avviene repentinamente e imprevedibilmente prima che il custode abbia potuto rimuovere II suddetto elemento, ciò non giustifica in alcun modo l’attrazione di questo profilo nell’ambito dell’onere probatorio del danneggiato, con evidente, conseguente orientamento dell’istituto dalla responsabilità oggettiva a una reviviscente responsabilità aquiliana (tale deformazione non è affatto ravvisabile nella giurisprudenza citata dal Tribunale: v. in particolare, proprio in materia autostradale, la più recente Cass. sez. 3, 24 febbraio 2011 n. 4495: “A carico dei proprietari o concessionari delle autostrade, per loro natura destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, è configurabile la responsabilità per cosa in custodia, disciplinata dall’art. 2051 c.c., essendo possibile ravvisare un’effettiva possibilità di controllo sulla situazione della circolazione e delle carreggiate, riconducibile ad un rapporto di custodia. Ne consegue, ai fini della prova liberatoria, che il custode è tenuto a fornire per sottrarsi alla responsabilità civile, la necessità di distinguere tra le situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze dell’autostrada da quelle provocate dagli utenti o da una repentina ed imprevedibile alterazione dello stato della cosa in quanto, solo nella ricorrenza di queste ultime, potrà configurarsi il caso fortuito tutte le volte che l’evento dannoso si sia verificato prima che l’ente proprietario o gestore abbia potuto rimuovere, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata al fine di garantire la tempestività dell’intervento, la straordinaria ed imprevedibile situazione di pericolo determinatasi”; e cfr. pure Cass, sez. 3, 29 marzo 2007 n. 7763, Cass. sez. 3, 15 gennaio 2003 n. 488 e Cass. sez. 3, 13 gennaio 2003 n. 298). E non è, d’altronde, logicamente desumibile dal fatto che l’elemento pericoloso sia estrinseco l’ulteriore fatto che sia venuto 9111 essere repentinamente e comunque in spiccata prossimità temporale rispetto al danno cagionato, rendendo impossibile (caso fortuito) al custode intervenire per asportarlo prima: soluzione che, invece, in ultima analisi il giudice d’appello ha adottato, in tal modo esonerando, come lamenta il motivo in questione, il custode dal suo effettivo onere probatorio.
Il motivo, pertanto, risulta fondato.
3.2 II secondo motivo denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione ex articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c. in relazione all’articolo 116 c.p.c. A parte l’argomento iniziale, che a ben guardare è riconducibile al primo motivo, cioè la contraddizione, già più sopra rimarcata, sulla brevità del tempo intercorso tra la caduta dell’ostacolo sulla carreggiata e il sinistro (che il ricorrente presenta come duplice doglianza), questa censura verte sul contenuto della prova testimoniale rappresentata dalle dichiarazioni, rese nel giudizio di primo grado, di Giuseppina L.i. Si tratta di una critica direttamente fattuale, anche perché non è sostenibile la configurabilità di un vizio motivazionale per non averla menzionata (come lascia intendere alla fine del motivo il ricorrente), dai momento che, per noto principio generale, il giudice di merito non è obbligato a menzionare espressamente nella sua motivazione ogni argomentazione di parte e ogni elemento probatorio raccolto. Invero, l’opzione tra i possibili risultati del compendio probatorio spetta, come valutazione di fatto, al giudice di merito, il quale non è appunto tenuto ad esternare nella motivazione la valutazione di tutti gli elementi che lo compongono (v. p. es. Cass. sez. L, 7 gennaio 2009 n. 42, per cui appunto “la valutazione delle risultanze delle prove e il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti”; e cfr. sulla stessa linea Cass. sez. 1, 23 maggio 2014 n. 11511, Cass. sez. L, 15 luglio 2009 n. 16499, Cass. sez. 3, 16 gennaio 2007 n. 828, Cass. sez. 3, 24 maggio 2006 n. 12362, Cass. sez. L, t settembre 2003 n. 12747 e Cass. sez. 3, 11 agosto 2000 n. 10719).
Il motivo, pertanto, in conseguenza di tale sua natura fattuale deve ritenersi inammissibile.
3.3 II terzo e ultimo motivo formalmente viene definito presentato “in via subordinata” (così all’incipit della sua esposizione); ma, in effetti, esso si conclude espungendo la subordinazione nel caso in cui il motivo non sia ritenuto “assorbito dai precedenti”. Ed effettivamente non si vede come possa reputarsi assorbito un motivo che concerne una pretesa omessa motivazione, ex articolo 360, primo comma,n.5 c.p.c., in relazione agli articoli 2043 c.c. e 112 c.p.c., visto che i precedenti motivi riguardavano (seppure in modalità inammissibilmente fattuale il secondo) un’ipotesi ex articolo 2051 c.c., e che comunque il suo effettivo contenuto è una versione fattuale sulle modalità del sinistro, desunta ancora dalla testimonianza della L.i (ricorso, pagina 9: “per if fatto che l’ostacolo che ha causato il sinistro si è palesa all’improvviso all’uscita di una curva, e che lo stesso utente teneva, al momento dell’impatto, una condotta di guida diligente ed adeguata al tratto autostradale ed alle condizioni dei manto stradale, il ricorrente ha, da un lato, provato la qualità di “insidia o trabocchetto” dei pneumatico presente in carreggiata, dall’altro, l’assenza di comportamenti o concause a lui riferibili nella causazione del danno”). E tale natura fattuale conduce il motivo alla inammissibilità nel ricorso per cassazione.
In conclusione, il primo motivo dei ricorso deve essere accolto, per cui deve essere cassata la sentenza impugnata con conseguente rinvio al Tribunale di Siena – essendo stato soppresso il Tribunale di Montepulciano dal d.lgs. 7 settembre 2012 n. 155 in attuazione della I. 14 settembre 2011 n. 148 -, dovendosi invece dichiarare inammissibili gli ulteriori motivi del ricorso.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo dei ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Siena; dichiara inammissibili il secondo e il terzo motivo del ricorso.
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