Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 25 ottobre 2016, n. 21472

Sommario

La distinzione tra domanda riconvenzionale ed eccezione non dipende dal titolo posto a base della difesa del convenuto, e cioè dal fatto o dal rapporto giuridico invocato a suo fondamento, ma dal relativo oggetto, e cioè dal risultato processuale che il convenuto intende con essa ottenere, che è limitato al rigetto della domanda proposta dell’attore; di conseguenza non sussistono limiti al possibile ampliamento del tema della controversia da parte del convenuto a mezzo di eccezioni, purchè vengano allegati a loro fondamento fatti o rapporti giuridici prospettati come idonei a determinare l’estinzione o la modificazione dei diritti fatti valere dall’attore, e in base ai quali si chieda la refezione delle domande da questo proposte e non una pronunzia di accoglimento di ulteriori e diverse domande;

Laddove il convenuto invochi un rapporto contrattuale diverso da quello posto dall’attore a fondamento delle sue pretese, sull’assunto che da esso deriverebbe la nullità o la totale o parziale inefficacia di quest’ultimo, o comunque un effetto estintivo, impeditivo o modificativo dei diritti fatti valere dall’attore, e ne chieda in via riconvenzionale l’accertamento, anche con la eventuale conseguente condanna dell’attore al pagamento di quanto dovuto in base a tale prospettazione, nell’ipotesi in cui tale domanda riconvenzionale risulti inammissibile per motivi processuali, ciò nonostante la medesima difesa può e deve essere presa in considerazione come eccezione, con il solo e più limitato possibile esito del rigetto delle domande di parte attrice.

L’apprezzamento sulla eccessività dell’importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, per il caso di inadempimento o di ritardato adempimento, nonchè sulla misura della riduzione equitativa dell’importo medesimo, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito il cui esercizio è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente fondato, a norma dell’art. 1384 c.c., sulla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento con riguardo all’effettiva incidenza dello stesso sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l’entità del danno subito

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

sentenza 25 ottobre 2016, n. 21472

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 2241 del ruolo generale dell’anno 2015, proposto da:

ORCHIDEA GIALLA S.a.s. di B.R. (P.I.: (OMISSIS)), in persona del socio accomandatario, legale rappresentante pro tempore, B.R. rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’avvocato Franco Antonioli (C.F.: NTL FNC 62L03 D150T);

  • ricorrente –

nei confronti di:
IMMOBILIARE GALLERIE COMMERCIALI S.p.A. (P.I.: (OMISSIS)), in persona del procuratore G.P. rappresentato e difeso, giusta procura a margine del controricorso, dagli avvocati Alessandro N. Pallante (C.F.: (OMISSIS)) e Francesca Delfini (C.F.: (OMISSIS));

  • controricorrente –

per la cassazione della sentenza pronunziata dalla Corte di Appello di Brescia n. 811/2014, depositata in data 12 giugno 2014;
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 28 settembre 2016 dal consigliere Augusto Tatangelo;
uditi:
l’avvocato Franco Antonioli, per la società ricorrente;
l’avvocato Francesca Delfini, per la società controricorrente;
il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Immobiliare Gallerie Commerciali S.p.A. agì in giudizio nei confronti di Orchidea Gialla S.a.s. per ottenere il rilascio di un complesso aziendale ubicato all’interno di un centro commerciale, nonchè il pagamento dei canoni insoluti, dell’indennità di occupazione e di una penale per il ritardo nella riconsegna dei locali.

La società convenuta contestò le domande di parte attrice, sul presupposto che il dedotto contratto di affitto di ramo di azienda dissimulasse una locazione commerciale, e chiese in via riconvenzionale la compensazione degli importi dovuti alla locatrice con il proprio credito per canoni pagati in eccesso.
Il Tribunale di Cremona dichiarò che il contratto stipulato tra le parti aveva natura di locazione commerciale e ne pronunziò la risoluzione per inadempimento della conduttrice, che condannò al rilascio e al pagamento dell’importo di Euro 3.958,20 a titolo di canoni insoluti, dell’importo di Euro 21.000,00 a titolo risarcitorio, e dell’importo di Euro 500,00 mensili a titolo di penale contrattuale.
La Corte di Appello di Brescia, in riforma della decisione di primo grado, ha rigettato il gravame della conduttrice, ha accolto in parte quello della locatrice, e ha quindi condannato Orchidea Gialla S.a.s. al pagamento dell’importo di Euro 62.071,61 e della penale contrattuale, determinata in Euro 2.000,00 mensili, fino alla liberazione dell’immobile.
Ricorre Orchidea Gialla S.a.s., sulla base di sette motivi.
Resiste con controricorso Immobiliare Gallerie Commerciali S.p.A., che ha depositato altresì memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “art. 360, comma, 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 35, 36, 112, 113 e 416 c.p.c., e art. 2697 c.c.”.

Con il secondo motivo del ricorso si denunzia “art. 360, comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato discusso tra le parti”.
I primi due motivi sono connessi e come tali possono essere esaminati congiuntamente.
Essi sono fondati.
La corte di appello ha ritenuto inammissibile la deduzione, da parte della società convenuta, di tutti i fatti estintivi, impeditivi e/o modificativi dei diritti fatti valere in giudizio dall’attrice fondati sugli accordi contrattuali che avevano preceduto quelli posti dall’attrice stessa a fondamento delle proprie domande (e, segnatamente, quelli secondo l’assunto della società convenuta conseguenti alla stipulazione nel 1992, con la precedente proprietaria dei locali, di un contratto da qualificarsi come locazione commerciale).
Ha infatti ritenuto che, essendo fondate su titoli negoziali differenti da quelli già oggetto del giudizio in quanto posti a base delle domande dell’attrice, tali difese dovessero essere qualificate, per loro natura, come domande riconvenzionali (domande pacificamente inammissibili, nel caso di specie, per intervenuta decadenza processuale) e non potessero essere prese in considerazione neanche quali mere “eccezioni riconvenzionali”, ai più limitati effetti di impedire semplicemente l’accoglimento delle domande avversarie.
Ma in questo modo la corte, operando una non corretta ricostruzione della distinzione tra domanda riconvenzionale ed eccezione fondata sul titolo posto a base della difesa della parte, invece che sull’oggetto di essa o, se si preferisce, sulla struttura invece che sulla funzione di essa – ha conseguentemente posto una limitazione al possibile ampliamento del thema decidendum ad opera dal convenuto, attraverso la deduzione di fatti estintivi, impeditivi o modificativi dei diritti fatti valere dall’attore, che non trova riscontro in alcuna disposizione normativa.
Secondo risalente e costante giurisprudenza di questa Corte, espressa anche in precedenti che presentano analogie con la fattispecie in esame, infatti, “ciò che distingue l’eccezione riconvenzionale, la cui prima formulazione è ammissibile in appello, dalla domanda riconvenzionale, esperibile soltanto in primo grado, è costituito dalle conseguenze giuridiche che il deducente intende trarre dal fatto nuovo allegato, e, cioè, dal provvedimento che egli chiede al giudice in base a tale fatto: si ha, cioè, eccezione riconvenziona-le, allorchè l’istanza resti contenuta nell’ambito dell’attività strettamente difensiva e, pure eventualmente ampliando la sfera dei poteri cognitori, lasci immutati i limiti di quelli decisori del giudice, quali determinati dalla domanda dell’attore; si ha, invece, domanda riconvenzionale quando il convenuto chieda un provvedimento positivo, autonomamente attributivo di una determinata utilità, cioè tale che vada oltre il mero rigetto della domanda avversaria, ampliando, così, la sfera dei poteri decisori come sopra determinati” (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 3612 del 06/08/1977, Rv. 387226; conf., ex multis, Cass., Sez. 2, Sentenza n. 3843 del 06/06/1983, Rv. 428766; Sez. 2, Sentenza n. 246 del 10/01/1981, Rv. 410656; Sez. L, Sentenza n. 363 del 16/01/1987, Rv. 450109; Sez. 2, Sentenza n. 2860 del 02/04/1997, Rv. 503443; Sez. L, Sentenza n. 14432 del 04/11/2000, Rv. 541379; Sez. L, Sentenza n. 9965 del 21/07/2001, Rv. 548391; Sez. 1, Sentenza n. 20178 del 24/09/2010, Rv. 614253; Sez. L, Sentenza n. 16339 del 04/08/2015, Rv. 636348).
A tale ricostruzione (che è stata anche criticata, sul rilievo che essa non attribuisce alla qualificazione di cd. eccezione riconvenzionale alcuna conseguenza sul piano del regime giuridico applicabile, che resta integralmente quello dell’eccezione) consegue comunque quanto meno che l’eventuale inammissibilità della domanda ricon-venzionale non impedisce al giudice di considerare i fatti (o i rapporti giuridici) dedotti a suo fondamento nella più limitata ottica dell’eccezione, al limitato effetto di impedire l’accoglimento della domanda avversaria (cfr. ad es. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 9044 del 15/04/2010, Rv. 612531, che chiarisce: “l’inammissibilità della domanda riconvenzionale volta ad ottenere la dichiarazione di nullità di un contratto di comodato ed il riconoscimento dell’esistenza di un contratto di affittanza agraria non travolge l’eccezione riconvenzio-nale relativa all’onerosità del rapporto, essendo quest’ultima necessariamente e logicamente insita nella linea difensiva del convenuto, ben potendo coesistere una domanda ed una eccezione, basate sulla stessa situazione che si pongono l’una come progressione difensiva dell’altra”; in senso sostanzialmente analogo, tra le altre: Sez. 3, Sentenza n. 16314 del 24/07/2007, Rv. 599444; Sez. 3, Sentenza n. 73 del 08/01/2010, Rv. 610865; Sez. 3, Sentenza n. 4233 del 16/03/2012, Rv. 621661; Sez. 3, Sentenza n. 14852 del 13/06/2013, Rv. 627017; si veda anche: Sez. 2, Sentenza n. 24567 del 31/10/2013, Rv. 628914, la quale precisa che “il giudice è comunque tenuto ad emettere una pronuncia di accoglimento o di rigetto su tutti i capi delle domande proposte dalle parti e su ogni eccezione che sia idonea ad influire sul rapporto sostanziale oggetto della controversia”).
I principi di diritto in base ai quali avrebbe dovuto giudicare la corte di appello sono pertanto i seguenti:
“la distinzione tra domanda riconvenzionale ed eccezione non dipende dal titolo posto a base della difesa del convenuto, e cioè dal fatto o dal rapporto giuridico invocato a suo fondamento, ma dal relativo oggetto, e cioè dal risultato processuale che il convenuto intende con essa ottenere, che è limitato al rigetto della domanda proposta dell’attore; di conseguenza non sussistono limiti al possibile ampliamento del tema della controversia da parte del convenuto a mezzo di eccezioni, purchè vengano allegati a loro fondamento fatti o rapporti giuridici prospettati come idonei a determinare l’estinzione o la modificazione dei diritti fatti valere dall’attore, e in base ai quali si chieda la refezione delle domande da questo proposte e non una pronunzia di accoglimento di ulteriori e diverse domande”;
“laddove il convenuto invochi un rapporto contrattuale diverso da quello posto dall’attore a fondamento delle sue pretese, sull’assunto che da esso deriverebbe la nullità o la totale o parziale inefficacia di quest’ultimo, o comunque un effetto estintivo, impeditivo o modificativo dei diritti fatti valere dall’attore, e ne chieda in via riconvenzionale l’accertamento, anche con la eventuale conseguente condanna dell’attore al pagamento di quanto dovuto in base a tale prospettazione, nell’ipotesi in cui tale domanda riconvenzionale risulti inammissibile per motivi processuali, ciò nonostante la medesima difesa può e deve essere presa in considerazione come eccezione, con il solo e più limitato possibile esito del rigetto delle domande di parte attrice”.
Nel caso di specie le difese della società convenuta fondate su titoli negoziali diversi da quelli invocati dall’attrice a sostegno delle proprie domande avrebbero quindi dovuto essere esaminate e decise, sia pure nei soli limiti in cui esse erano dirette ad impedire l’accoglimento (o l’integrale accoglimento) di tali domande, come del resto ritenuto dal giudice di primo grado; ciò ferma restando, evidentemente, la possibilità di ritenere eventualmente insussistente – nel merito – la dedotta idoneità dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi allegati a sostegno di tali difese a determinare in concreto il rigetto delle pretese avversarie.
La sentenza impugnata è dunque nulla per omissione di pronunzia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., e va cassata affinchè in sede di rinvio sulla base dei principi di diritto sopra enunciati – si proceda all’esame delle difese in questione, nei limiti indicati.

  1. Con il terzo motivo del ricorso si denunzia “art. 360, comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla Legge equo canone n. 392 del 1978, artt. 27 e 29”.

Con il quarto motivo del ricorso si denunzia “art. 360, comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla Legge equo canone n. 392 del 1978, artt. 27, 29 e 79”.
Con il Quinto motivo del ricorso si denunzia “art. 360, comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione alla Legge equo canone n. 392 del 1978, artt. 27, 29 e 79, nonchè art. 1591 c.c., e art. 115 c.p.c.”.
Con il sesto motivo del ricorso si denunzia “art. 360, comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato discusso tra le parti”.
Il terzo, il quarto, il quinti ed il sesto motivo del ricorso riguardano censure attinenti a motivi di gravame dichiarati assorbiti in conseguenza della ritenuta inammissibilità delle eccezioni riconvenzionali della società convenuta (in particolare: il terzo e il quarto) ovvero censure attinenti alla determinazione dell’importo dei canoni insoluti e delle indennità di occupazione, che a loro volta dipendono dalla risoluzione delle questioni poste con quelle eccezioni (in particolare: il quinto ed il sesto).
Essi devono quindi ritenersi assorbiti in conseguenza dell’accoglimento dei primi due motivi.

  1. Con il settimo motivo del ricorso si denunzia “art. 360, comma 1, n. 5, per art. 360, comma 1, n. 5, per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato discusso tra le parti in relazione all’art. 1384 c.c.”.

Il motivo, relativo alla riduzione della penale operata dal giudice del merito ai sensi dell’art. 1384 c.c., è infondato.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, “l’apprezzamento sulla eccessività dell’importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, per il caso di inadempimento o di ritardato adempimento, nonchè sulla misura della riduzione equitativa dell’importo medesimo, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito il cui esercizio è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente fondato, a norma dell’art. 1384 c.c., sulla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento con riguardo all’effettiva incidenza dello stesso sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l’entità del danno subito” (cfr. ad es., in tal senso: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 6380 del 08/05/2001, Rv. 546501; Sez. 2, Sentenza n. 7528 del 23/05/2002, Rv. 554652 Sez. 2, Sentenza n. 6158 del 16/03/2007, Rv. 596698; Sez. 3, Sentenza n. 2231 del 16/02/2012, Rv. 620543).
Nella specie, la corte di appello ha adeguatamente motivato l’esercizio del suddetto potere, in riferimento ai parametri previsti dalla disposizione, e parte ricorrente non allega fatti decisivi in contrario, il cui esame sia stato omesso.

  1. E’ rigettato il settimo motivo del ricorso, accolti i primi due, assorbiti gli altri.

La sentenza impugnata è cassata in relazione, con rinvio alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.


La Corte:

  • rigetta il settimo motivo del ricorso;

  • accoglie i primi due motivi del ricorso, assorbiti gli altri, e cassa in relazione, con rinvio alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 28 settembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2016.

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