In tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, ogni pattuizione avente ad oggetto non già l’aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell’art. 32 della legge 27 luglio 1978, n. 392, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ex art. 79, primo comma, della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunciare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti. Tale nullità opera anche per le pattuizioni che intervengono nel corso del rapporto, discendendo tale conclusione dalla coordinata valutazione del comma 1 e del comma 2 dell’art. 79. Infatti, il diritto a non erogare somme in misura eccedente il canone legalmente dovuto sorge al momento della conclusione del contratto, persiste durante tutto il corso del rapporto, e può essere fatto valere, in virtù di espressa disposizione legislativa, dopo la riconsegna dell’immobile locato, entro il termine di decadenza di sei mesi. Proprio perché il diritto in esame può essere fatto valere dopo la riconsegna dell’immobile, non è sostenibile che di esso possa disporre il conduttore in corso di rapporto, accettando aumenti non dovuti. La validità di una rinuncia espressa o tacita del conduttore ad avvalersi del diritto a non subire aumenti non dovuti, eventualmente intervenuta in corso di rapporto, appare inconciliabile con la facoltà, attribuita al conduttore, di ripetere “le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge” entro sei mesi dalla riconsegna dell’immobile.
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Suprema Corte di Cassazione
sezione III civile
sentenza 23 giugno 2016, n. 13011
Svolgimento del processo
1. La domanda della C. , locatrice di un immobile ad uso ufficio, volta ad ottenere lo sfratto per morosità nel pagamento di canoni (relativi agli ultimi sei mesi del 2008 e a due mesi del 2009), la risoluzione per grave inadempimento e la conseguente condanna al pagamento del relativo importo, proposta sul presupposto di un canone annuo di euro 12.000,00, comprovato dal modello di pagamento F23 del 2008 e dal pagamento dei canoni secondo tale importo da parte della conduttrice per i primi sei mesi del 2008 (lettera del febbraio 2008), fu accolta dal Tribunale.
Il primo giudice dichiarò risolto il contratto e condannò la conduttrice al rilascio e al pagamento dei canoni richiesti.
La decisione venne confermata dalla Corte di appello di Palermo (sentenza del 27 febbraio 2012).
2. Avverso la suddetta sentenza la conduttrice G.A. Rappresentanze s.a.s. di S.S. propone ricorso per cassazione affidato a due motivi. C.A. , ritualmente intimata, non si difende.
Motivi della decisione
1.Con il primo motivo di ricorso, la conduttrice – invocando la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. – sostiene che la Corte di appello avrebbe errato a considerare nuova in appello, e già nuova in primo grado per essere stata proposta con le note conclusive (con conseguente giustificazione della mancata decisione da parte del primo giudice), la domanda proposta dalla convenuta di dichiarare privo di effetti l’aumento del canone effettuato unilateralmente dalla locatrice nel corso del rapporto, in violazione dell’art. 32, l. n. 392 del 1978, per essere ben superiore agli adeguamenti Istat, sul presupposto che la convenuta si era limitata a chiedere l’accertamento dell’importo pari a quello originariamente convenuto (12 milioni di lire, secondo la denuncia del contratto verbale di locazione del 2000).
La ricorrente, richiamando gli atti processuali di primo e secondo grado (nel rispetto dell’art. 366, n. 6 c.p.c. per essere gli stessi oltre che parzialmente riprodotti in ricorso, anche allegati allo stesso) sostiene che, dai passaggi argomentativi nel corpo della comparsa di risposta fosse chiaramente evincibile che la esplicita domanda di accertamento dell’importo pari a quello originariamente convenuto presupponesse logicamente la richiesta della dichiarazione di illegittimità dell’aumento intervenuto unilateralmente in corso di rapporto ad opera della locatrice. L’eccezione di illegittimità, già contenuta nella domanda originaria sarebbe stata solo esplicitata in sede di comparsa conclusionale, con conseguente mancanza di novità già in primo grado.
Inoltre, mette in evidenza di aver riproposto il profilo di illegittimità in appello, nel censurare la sentenza di primo grado che aveva assunto ad oggetto della decisione la determinazione della misura del canone pattuito tra le parti nel corso del rapporto, facendo assumere rilievo al modello F.23 della locatrice e alla lettera della conduttrice con valore di confessione stragiudiziale, senza affrontare, perché ritenuta nuova, la illegittimità dell’aumento del canone in corso di rapporto al di fuori delle ipotesi d adeguamento Istat.
2. Il primo motivo di ricorso è fondato e va accolto, nei termini precisati. Le argomentazioni volte a sostenere la prospettazione della illegittimità dell’aumento del canone già in primo grado al fine di negare carattere di novità al motivo di appello, diventano irrilevanti alla luce della decisione delle Sezioni Unite n. 26243 del 2014.
2.1. Secondo quanto statuito nella decisione richiamata, la domanda di accertamento della nullità di un negozio proposta per la prima volta in appello è inammissibile ex art. 345, primo comma, cod. proc. civ., salva la possibilità per il giudice del gravame – obbligato comunque a rilevare di ufficio ogni possibile causa di nullità, ferma la sua necessaria indicazione alle parti ai sensi dell’art. 101, secondo comma, cod. proc. civ. – di convertirla ed esaminarla come eccezione di nullità legittimamente formulata dall’appellante, giusto il secondo comma del citato art. 345.
Né i termini della questione mutano rispetto all’art. 437 c.p.c., richiamato per le controversie in materia di locazione dall’art. 447 bis cod. proc. civ., atteso che il divieto di nuove eccezioni in appello stabilito dal secondo comma dell’art. 437 cod. proc. civ. concerne soltanto le eccezioni non rilevabili d’ufficio (Cass. n. 13076 del 2004).
2.2. Nella specie, si verte proprio in una ipotesi di nullità del negozio. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte di legittimità (a partire da Cass. n. 10286 del 2001, da ultimo n. 2961 del 2013), in tema di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo, ogni pattuizione avente ad oggetto non già l’aggiornamento del corrispettivo ai sensi dell’art. 32 della legge 27 luglio 1978, n. 392, ma veri e propri aumenti del canone, deve ritenersi nulla ex art. 79, primo comma, della stessa legge, in quanto diretta ad attribuire al locatore un canone più elevato rispetto a quello legislativamente previsto, senza che il conduttore possa, neanche nel corso del rapporto, e non soltanto in sede di conclusione del contratto, rinunciare al proprio diritto di non corrispondere aumenti non dovuti.
Come chiaramente esplicitato nella decisione del 2001, cit., tale nullità opera anche per le pattuizioni che intervengono nel corso del rapporto, discendendo tale conclusione dalla coordinata valutazione del comma 1 e del comma 2 dell’art. 79. Infatti, il diritto a non erogare somme in misura eccedente il canone legalmente dovuto sorge al momento della conclusione del contratto, persiste durante tutto il corso del rapporto, e può essere fatto valere, in virtù di espressa disposizione legislativa, dopo la riconsegna dell’immobile locato, entro il termine di decadenza di sei mesi. Proprio perché il diritto in esame può essere fatto valere dopo la riconsegna dell’immobile, non è sostenibile che di esso possa disporre il conduttore in corso di rapporto, accettando aumenti non dovuti. La validità di una rinuncia espressa o tacita del conduttore ad avvalersi del diritto a non subire aumenti non dovuti, eventualmente intervenuta in corso di rapporto, appare inconciliabile con la facoltà, attribuita al conduttore, di ripetere “le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge” entro sei mesi dalla riconsegna dell’immobile.
2.3. La Corte di merito, ritenendo nuova in appello la domanda proposta dalla convenuta conduttrice di dichiarare privo di effetti l’aumento del canone effettuato unilateralmente dalla locatrice nel corso del rapporto, in violazione dell’art. 32 cit. per essere ben superiore agli adeguamenti Istat, ha fatto una errata applicazione dell’art. 437 (345) c.p.c. rispetto alle ipotesi di nullità rilevabili d’ufficio ed ha deciso la controversia prescindendo dalla regolazione legislativa (artt. 32 e 79, l. n. 392 del 1978) della determinazione del canone nei contratti di locazione a uso diverso, sotto il profilo dell’aumento in corso di rapporto.
Pertanto, il primo motivo di ricorso va accolto e consegue l’assorbimento del secondo motivo, con il quale, sul presupposto della non novità della domanda di illegittimità del canone aumentato ben oltre quanto consentito dalla legge in corso di rapporto, la ricorrente invoca la violazione dell’art. 32 cit. e la nullità della determinazione dell’aumento.
3. La sentenza impugnata è, per l’effetto, cassata, con rinvio alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, che deciderà la controversia esaminando il motivo di appello quale eccezione di nullità legittimamente formulata dall’appellante ai sensi dell’art. 437 c.p.c..
La Corte di merito provvederà, anche, in ordine alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione.
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