Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 20 giugno 2017, n. 15167

La responsabilità per i danni causati dai cani randagi spetta esclusivamente all’ente o agli enti, cui è attribuito dalla legge, e, in particolare, dalla singole leggi regionali attuative della legge quadro nazionale n. 281 del 1991, il compito di prevenire il pericolo specifico per la incolumità della popolazione connesso al randagismo, e cioè il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi

Suprema Corte di Cassazione

sezione III civile

sentenza 20 giugno 2017, n. 15167

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17351/2015 proposto da:

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE VITERBO ASL VITERBO, in persona del Commissario Straordinario e legale rappresentante pro tempore Dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS), COMUNE DI VITERBO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4/2015 del TRIBUNALE di VITERBO, depositata il 02/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/04/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado, che ha concluso per l’accoglimento del 2 motivo del ricorso;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega.

FATTI DI CAUSA

1.Con la sentenza impugnata, pubblicata il 2 gennaio 2015, il Tribunale di Viterbo ha accolto l’appello incidentale proposto dal Comune di Viterbo nei confronti della AUSL – Azienda Unita’ Sanitaria di Viterbo, rigettando l’appello principale di quest’ultima, avverso la sentenza del Giudice di pace di Viterbo n. 767 del 9 luglio 2012. Con questa era stata accolta la domanda avanzata da (OMISSIS) nei confronti di entrambe le parti predette per il risarcimento dei danni causati alla propria autovettura dall’urto con un cane randagio ed i convenuti erano stati condannati al pagamento, in favore dell’attore, della somma di Euro 1.749,15 con interessi dalla data del fatto al saldo.

2. Il Tribunale ha ritenuto che la Legge Regionale Lazio n. 34 del 1997, articoli 2 e 3, ripartiscano, in materia, le attribuzioni dei comuni e delle unita’ sanitarie locali, devolvendo agli uni la realizzazione e la gestione dei canili e alle altre la cattura dei cani randagi. Ha quindi concluso per la responsabilita’ esclusiva della AUSL – Azienda Unita’ Sanitaria Locale di Viterbo, dichiarando il difetto di legittimazione passiva del Comune di Viterbo. Ha condannato l’AUSL al pagamento delle spese del grado sia in favore di quest’ultimo che in favore di (OMISSIS).

3. L’Azienda Unita’ Sanitaria Locale Viterbo – A.S.L. Viterbo propone ricorso per Cassazione con due motivi, illustrati da memoria. Gli intimati non si difendono.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 107 e 112 c.p.c., perche’, avendo il (OMISSIS) convenuto in giudizio soltanto il Comune di Viterbo, il Giudice di Pace ha ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti dell’Azienda USL di Viterbo. Questa sostiene che il giudice d’appello avrebbe dovuto rilevare l’illegittimita’ dell’ordine di chiamata in causa, che il primo giudice avrebbe dato in violazione dell’articolo 107 c.p.c..

1.1. Il motivo e’, per un verso, privo di autosufficienza e, per altro verso, relativo a questione nuova, poiche’ manca ogni riferimento all’atto di appello dell’AUSL e ad un eventuale motivo col quale questa avrebbe fatto valere, in sede di gravame, il vizio del procedimento e della sentenza di primo grado di che trattasi.

Poiche’ la questione non e’ rilevabile d’ufficio e poiche’ nulla e’ detto riguardo alla chiamata iussu iudicis nella sentenza d’appello, sarebbe stato onere della ricorrente dimostrare di averne censurato la legittimita’ dinanzi al Tribunale.

In mancanza, il motivo va dichiarato inammissibile.

2. Col secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. 14 agosto 1991, n. 281, articolo 4, nonche’ della Legge Regionale Lazio 21 ottobre 1997, n. 34, articoli 1, 2, 3. La ricorrente sostiene che, ferme restando le competenze attribuite alle amministrazioni comunali dalla richiamata legge statale, in forza della legge regionale sarebbe spettato al comune di Viterbo il potere di controllo e di vigilanza sul territorio ed il dovere di provvedere al ricovero, alla custodia ed al mantenimento dei cani, mentre sarebbe spettato alla ASL soltanto il controllo sanitario sui cani custoditi (dovendosi cosi’ interpretare, in particolare, l’articolo 1, comma 2, e articolo 2, comma 1, lettera b, della Legge Regionale). Con la conseguenza, secondo la ricorrente, che la prevenzione del fenomeno del “randagismo” sarebbe di esclusiva competenza dei comuni che si dovrebbero attivare per la rimozione del pericolo, eventualmente segnalando il fenomeno alla ASL territorialmente competente per gli adempimenti di sua spettanza (tra cui la cattura dei cani randagi, ma soltanto su segnalazione appunto del comune o, tutt’al piu’, su segnalazione di altri enti o di privati cittadini).

3. Il motivo e’ solo parzialmente fondato.

In un caso analogo al presente, questa Corte ha di recente ritenuto (in tal senso confermando e puntualizzando i principi di diritto sostanzialmente gia’ enunciati nei precedenti in materia: cfr., in particolare, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17528 del 23/08/2011 e Sez. 3, Sentenza n. 10190 del 28/04/2010) che la responsabilita’ per i danni causati dai cani randagi spetti esclusivamente all’ente, o agli enti, cui e’ attribuito dalla legge (ed in particolare dalle singole leggi regionali attuative della legge quadro nazionale n. 281/1991) il compito di prevenire il pericolo specifico per l’incolumita’ della popolazione connesso al randagismo, e cioe’ il compito della cattura e della custodia dei cani vaganti o randagi (cosi’ Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12495 del 18/5/2017).

Il principio non puo’ che essere qui ribadito poiche’ l’attribuzione per legge ad uno o piu’ determinati enti pubblici del compito della cattura e quindi della custodia degli animali vaganti o randagi (e cioe’ liberi e privi di proprietario) costituisce il fondamento della responsabilita’ per i danni eventualmente arrecati alla popolazione dagli animali suddetti, anche quanto ai profili civilistici conseguenti all’inosservanza di detti obblighi di cattura e custodia.

Poiche’ la legge quadro statale n. 281/1991 non indica direttamente a quale ente spetta il compito di cattura e custodia dei cani randagi, ma rimette alle Regioni la regolamentazione concreta della materia, occorre analizzare la normativa regionale, caso per caso.

3.1. Contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, per la Regione Lazio, alla stregua delle previsioni normative regionali richiamate nel ricorso, il compito di cattura dei randagi e di custodia degli stessi nelle apposite strutture e’ attribuito (anche) ai comuni.

In tale senso va infatti interpretata la norma della Legge Regionale 21 ottobre 1997, n. 34, articolo 2 (“Competenze dei comuni e delle comunita’ montane”), comma 1, lettera b (non certo lettera d, unica richiamata in sentenza), e succ. mod. (“Tutela degli animali di affezione e prevenzione del randagismo”).

Ai sensi della norma richiamata, sono i comuni, singoli od associati, a dovere, tra l’altro assicurare “b) (…) il ricovero, la custodia ed il mantenimento dei cani nelle strutture, sotto il controllo sanitario dei servizi veterinari delle aziende USL (…)”, in collegamento con le altre competenze riservate agli enti territoriali, tra cui quella di costruzione di nuovi canili e risanamento di quelli esistenti.

La norma va interpretata nel senso che spetta ai comuni, non solo la custodia, ma anche la cattura dei cani vaganti e randagi, dal momento che questa costituisce il presupposto del ricovero nelle apposite strutture comunali.

3.2. Peraltro, l’impianto normativo regionale non puo’ essere inteso, nel suo complesso, cosi’ come lo intende la ricorrente, come se alla ASL siano attribuiti soltanto generici compiti di controllo sanitario della popolazione canina.

L’articolo 3 (“Competenze dei servizi veterinari delle aziende USL”) si compone infatti di un primo comma che, nelle lettere da a) ad i), elenca effettivamente i compiti, richiamati in ricorso, di gestione sanitaria e controllo dei canili pubblici, di tenuta dell’anagrafe canina, di vaccinazione, sterilizzazione e cura degli animali custoditi.

Tuttavia, il terzo comma prevede espressamente che, oltre ai detti compiti, spetti ai servizi veterinari delle aziende USL, tra l’altro “(…) a) il servizio di accalappiamento di cani vaganti, la relativa comunicazione al comune interessato e la consegna dei cani catturati o restituiti alle strutture di ricovero, previa effettuazione delle profilassi previste dal comma 1, lettera f) ed h) (…)”.

Questa competenza in relazione alla cattura e custodia dei cani vaganti o randagi non e’ in alcun modo condizionata – all’opposto di quanto sostenuto dalla ricorrente sin dai gradi di merito- al fatto che il comune od altri enti o privati cittadini segnalino l’esistenza di cani randagi da accalappiare (a differenza invece di quanto previsto dalla lettera b dello stesso articolo 3, comma terzo), sicche’ e’ corretta l’affermazione del giudice a quo secondo cui l’assunto difensivo della A.S.L. e’ privo di qualsivoglia riscontro normativo.

D’altronde, poiche’ non e’ in discussione che i servizi veterinari delle Aziende USL debbano collaborare, ai sensi della legge regionale, alla tenuta dei canili pubblici gestiti dai comuni, anche per le aziende USL e’ riscontrabile il fondamento della responsabilita’ di cui si e’ detto sopra, rinvenibile negli obblighi di cattura e, quindi, custodia dei cani privi di proprietario (risultante dall’anagrafe canina), la cui violazione e’ rilevante anche quanto ai profili civilistici.

Pertanto, ai sensi della Legge Regionale Lazio 21 ottobre 1997, n. 34, richiamati articolo 2, comma 1, lettera b), e articolo 3, comma 3, lettera a), sussiste la responsabilita’ solidale del Comune di Viterbo e dell’Azienda Unita’ Sanitaria Locale Viterbo – A.S.L. Viterbo per i danni causati a terzi da cani randagi, dei quali l’uno e l’altra non abbiano assicurato la cattura e la custodia.

4. In conclusione, il secondo motivo di ricorso va accolto soltanto quanto all’affermazione da parte del giudice d’appello dell’esclusione di qualsivoglia responsabilita’ in capo al Comune di Viterbo e la sentenza impugnata va cassata nei limiti di questo accoglimento.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, rigettando l’appello incidentale del Comune di Viterbo, confermando percio’ integralmente la sentenza del Giudice di Pace di Viterbo n. 767 del 9 luglio 2012 e ponendo a carico del Comune di Viterbo e della A.S.L. Viterbo qui ricorrente, in solido tra loro, le spese del grado di appello, cosi’ come gia’ liquidate in favore di (OMISSIS).

Le spese dei giudizi di appello e di legittimita’ vanno invece compensate, ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, (nel testo applicabile ratione temporis, considerata la data, del 30 marzo 2011, dell’atto introduttivo) nei rapporti tra A.S.L. ricorrente e Comune di Viterbo, in considerazione delle incertezze interpretative connesse ai diversi contenuti della legislazione regionale in materia, nonche’ della mancanza di precedenti giurisprudenziali di legittimita’ relativi alla Legge Regionale Lazio 21 ottobre 1997, n. 34.

Non vi e’ luogo a provvedere sulle spese del giudizio di cassazione nei confronti di (OMISSIS), poiche’ questi non ha svolto attivita’ difensiva.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso.

Accoglie il secondo motivo per quanto di ragione e cassa la sentenza impugnata nei limiti di questo accoglimento. Decidendo nel merito, rigetta l’appello incidentale del Comune di Viterbo e condanna quest’ultimo, in solido con la A.S.L. qui ricorrente, al pagamento delle spese del giudizio di secondo grado, gia’ liquidate, in favore del (OMISSIS), nell’importo di Euro 1.200,00. Compensa le spese del giudizio di appello e del presente giudizio di legittimita’ tra ricorrente e Comune di Viterbo; dichiara non luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimita’ nei confronti di (OMISSIS).

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