Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 17 febbraio 2017, n. 4208

Il risarcimento del danno patito iure proprio dai congiunti della persona deceduta per colpa altrui deve essere ridotto in misura corrispondente alla percentuale di contributo causale all’evento dannoso ascrivibile al comportamento colposo della vittima.

Suprema Corte di Cassazione

sezione III civile

sentenza 17 febbraio 2017, n. 4208

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23576/2013 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS) in proprio e quali eredi di (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) SPA, (OMISSIS), (OMISSIS);

– intimati –

nonche’ da:

(OMISSIS) SPA (OMISSIS) in persona del procuratore Dr. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso principale;

– controricorrenti all’incidentale –

e contro

(OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 1389/2012 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 18/10/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/01/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, accoglimento dell’incidentale.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) e (OMISSIS), rispettivamente coniuge e figlio di (OMISSIS), convennero in giudizio innanzi al Tribunale di Ragusa sezione di Vittoria, (OMISSIS) e (OMISSIS) s.p.a. chiedendo il risarcimento dei danni quantificati in complessivi Euro 3.685.777,78 subiti a seguito dell’incidente stradale occorso il (OMISSIS) e nel quale era deceduto il loro congiunto. Si costitui’ la parte convenuta chiedendo il rigetto della domanda.

2. Il Tribunale adito, fissando nella misura del 60% la responsabilita’ del convenuto, e previa liquidazione dei danni subiti dalla (OMISSIS) in complessivi Euro 131.149,37, di cui Euro 1.549,37 per spese funerarie, e dal (OMISSIS) in complessivi Euro 139.200,00, oltre rivalutazione ed interessi, condanno’, detratte le somme corrisposte a titolo di provvisionale e acconti, i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 1.603,84 in favore della (OMISSIS) e di Euro 11.203,84 in favore del (OMISSIS), oltre interessi legali e rivalutazione, ed oltre Euro 1.549,37 in favore sempre della (OMISSIS) per spese funerarie.

3. Avverso detta sentenza proposero appello principale (OMISSIS) e (OMISSIS) ed incidentale la societa’ assicuratrice. Si costitui’ anche l’altro convenuto.

4. Con sentenza di data 18 ottobre 2012 la Corte d’appello di Catania, in parziale accoglimento di entrambi gli appelli, condanno’ l’ (OMISSIS) e la societa’ assicuratrice, a titolo di risarcimento dei danni subiti iure proprio, detratte le somme versate, all’ulteriore pagamento in favore della (OMISSIS) della complessiva somma di Euro 99.511,35 e del (OMISSIS) della complessiva somma di Euro 70.972,96. Osservo’ la Corte d’appello quanto segue.

4.1 Il giudicato penale ha ad oggetto il reato di omicidio colposo commesso dall'(OMISSIS), rispetto al quale irrilevante e’ l’eventuale causa concorrente rappresentata dalla violazione delle regole della condotta di guida da parte della vittima posto che se l’ (OMISSIS) avesse rispettato il limite di velocita’ avrebbe sicuramente evitato lo scontro. Dalla testimonianza resa dal consulente tecnico del pubblico ministero nel dibattimento penale si evince che, mentre l’autovettura Alfa Romeo condotta dal (OMISSIS) era ferma a cavallo della linea orizzontale che separava le due corsie di marcia, il veicolo Citroen condotto dall’ (OMISSIS) procedeva a velocita’ superiore al limite imposto, e che quest’ultimo al momento dell’impatto subiva una variazione di traiettoria verso il proprio margine destro, giustificandosi cosi’ la variazione brusca della parte terminale delle tracce di frenata, e spingendo indietro altresi’ l’autovettura Alfa Romeo per altri cinque metri. I danni maggiori riguardavano principalmente la parte anteriore sinistra di entrambi i mezzi. Rispetto alle conclusioni del consulente di parte attrice, secondo cui non vi erano segni di frenata della Citroen all’interno della propria carreggiata e l'(OMISSIS) si era repentinamente spostato sulla corsia opposta per superare un mezzo, va evidenziato che non vi sono elementi per dubitare di quanto rilevato dalle forze dell’ordine circa la presenza di segni di frenata sulla carreggiata percorsa dall'(OMISSIS) e che la presenza di un terzo veicolo non trova riscontro negli atti processuali (ed essendo soprattutto inverosimile che il conducente della Citroen si determinasse ad effettuare il sorpasso ad una distanza ravvicinata rispetto all’autovettura del (OMISSIS)). Il (OMISSIS), quindi, invadendo anche se in minima parte la corsia opposta, ha violato la norma del codice della strada che impone di dare la precedenza alle vetture provenienti dalla corsia opposta, ma la percentuale di incidenza della sua responsabilita’ va ridotta al 25%, posto che costui comunque era fermo e l’ (OMISSIS) non solo procedeva ad alta velocita’ superando il limite imposto, ma soprattutto circolava sul margine sinistro della carreggiata in prossimita’ di un’intersezione con altra strada.

4.2. Gli appellanti hanno diritto all’integrale risarcimento dei danni subiti iure proprio, mentre devono subire la riduzione del risarcimento per i danni subiti iure hereditatis, stante la decurtazione della quota di danno relativa al concorso di colpa attribuito al loro dante causa.

4.3. Con riferimento al secondo motivo di appello, premesso che nella liquidazione equitativa del danno deve tenersi conto fra l’altro anche della composizione del nucleo familiare (un nucleo meno ampio, come quello di specie, non consente maggiori meccanismi di compensazione del dolore), il primo giudice ha proceduto ad una liquidazione unitaria del danno non patrimoniale, nel quale confluisce sia la sofferenza di carattere contingente e transeunte che la lesione del rapporto parentale in relazione alle ripercussioni di natura esistenziale. Egli ha preso in esame sia pure implicitamente, come si desume dal richiamo della sentenza delle sezioni unite del 2008, il c.d. danno esistenziale da uccisione di congiunto, facendo in particolare riferimento a quelli aspetti relazionali normalmente connessi alla morte di uno stretto congiunto. Era onere dei danneggiati allegare ulteriori aspetti del pregiudizio esistenziale e da rottura del rapporto parentale non presi in esame dal primo giudice (il pregiudizio consistito nella mera perdita di abitudini e dei riti propri della quotidianita’ era stato preso in esame dal Tribunale); manca inoltre l’allegazione e la prova di radicali cambiamenti dello stile di vita, in termini di fatti specifici e precisi ulteriori rispetto a quelli generalmente collegati alla perdita repentina di uno stretto congiunto, considerati dal giudice di prime cure. Il giudice di primo grado ha fatto corretta applicazione delle tabelle di Milano, quantificando il danno non patrimoniale nella misura di Euro 200.000,00 per ciascun superstite in relazione agli importi minimo e massimo previsti (Euro 150.000,00/Euro 300.000,00) dalle tabelle vigenti al momento della decisione, oltre Euro 16.000,00 per ciascuno per danno patrimoniale per perdita di aspettativa successoria e le spese funerarie. Non sussiste un nesso causale fra la patologia di emorragia maculare sottoretinica di cui soffriva la (OMISSIS) e lo shock patito per la morte del marito, trattandosi, come da consulenza tecnica di ufficio, di manifestazione di patologia degenerativa in evoluzione ed essendo stata fatta risalire a sette mesi prima della visita del (OMISSIS), cioe’ tre anni dopo l’evento luttuoso. Quanto alla perdita di chances dedotta da (OMISSIS), per perdita di incarichi professionali a causa dell’evento dannoso per l’impossibilita’ di trasferirsi fuori sede, la parte ha prodotto solo una comunicazione del 21 dicembre 2001, di due anni successiva quindi all’evento, da parte della Provincia di Caltanissetta di conferimento di incarico professionale, rifiutato dall’interessato “per motivi professionali”: il lasso di tempo dall’evento luttuoso esclude che la rinuncia possa essere collegata alla morte del padre; l’accettazione dell’incarico comportava solo l’allontanamento quotidiano; nella comunicazione di rifiuto la parte rinnovava la propria disponibilita’ ad incarichi professionali, il che era incompatibile con una decisione di non lavorare fuori del luogo di residenza.

4.4. Va escluso il c.d. danno tanatologico, essendo il decesso del (OMISSIS) avvenuto quasi nell’immediatezza del fatto (circa mezz’ora, al massimo un’ora dopo l’incidente), ne’ si ha prova di uno stato di coscienza della vittima.

4.5. Quanto all’appello incidentale, nessun danno deve essere riconosciuto a (OMISSIS) per la perdita del proprio mantenimento con le sostanze del genitore perche’ al momento del decesso del padre era economicamente indipendente, essendo agli inizi dello svolgimento della professione di architetto, e stante l’esiguita’ del reddito del padre appare inverosimile che quest’ultimo continuasse a destinare una somma per il sostentamento del figlio (anzi e’ verosimile che quest’ultimo contribuisse al mantenimento del genitore).

5. Hanno proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS) sulla base di sette motivi. Resiste con controricorso (OMISSIS) s.p.a., che ha proposto altresi’ ricorso incidentale sulla base di un unico motivo. E’ stata depositata memoria di parte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonche’ violazione o falsa applicazione dell’articolo 651 c.p.p., articoli 40 e 41 c.p.c., articoli 115 e 116 c.p.c., articoli 2727 e 2729 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonche’ ancora violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che la circostanza che la vittima avesse occupato in minima parte la corsia opposta, non poteva deporre nel senso del riconoscimento del mancato rispetto dell’obbligo di precedenza (l’articolo 154 C.d.S., prevede che gli autoveicoli che devono svoltare a sinistra devono fermarsi accostandosi all’asse della mezzeria), in violazione altresi’ dell’articolo 651 c.p.c., che impone l’efficacia vincolante del giudicato penale anche nei confronti dell’assicuratore rimasto estraneo al giudizio penale, avendo accertato il giudice penale che la vittima era rimasta ferma nei pressi della linea di mezzeria. Espone quindi che non era stato considerato il fatto che il conducente della Citroen, procedendo incolonnato dietro una fila di auto che procedeva a velocita’ contenuta, come da dichiarazione dell’imputato nel dibattimento penale, non poteva non aver sconfinato nella corsia opposta procedendo a sorpasso ed impattando con tutto il frontale dell’Alfa Romeo (dato lo sconfinamento irrilevante era che quest’ultima avesse potuto superare con la punta sinistra la linea di mezzeria). Aggiunge che, in violazione anche dell’articolo 115 c.p.c. e dell’obbligo di motivazione di cui articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, l’affermazione che l’ (OMISSIS) procedesse all’interno della sua corsia, attribuendo rilevanza a frenate che sarebbero state evidenziate da tracce di gesso incompatibili con la posizione di quiete dei veicoli, risulta smentita dalla localizzazione di frammenti di carrozzeria e altro all’interno della corsia di percorrenza del (OMISSIS).

1.1. Il motivo e’ in parte infondato ed in parte inammissibile. Il motivo e’ particolarmente sovrabbondante, come del resto gli altri motivi, ed e’ scindibile in tre sub-motivi. Con il primo sub-motivo si denuncia la violazione del giudicato penale. Trattasi di motivo infondato. Nei rapporti tra giudizio penale e civile, l’efficacia di giudicato della condanna penale di una delle parti che partecipano al giudizio civile, risarcitorio e restitutorio, investe, ex articolo 651 c.p.p., solo la condotta del condannato e non il fatto commesso dalla persona offesa, pur costituita parte civile, anche se l’accertamento della responsabilita’ abbia richiesto la valutazione della correlata condotta della vittima (Cass. 29 gennaio 2016, n. 1665; 28 maggio 2015, n. 11117). L’ambito di efficacia del giudicato penale trova fondamento nella distinzione fra responsabilita’ penale e responsabilita’ civile, ed in particolare nella differenza di accezioni della causalita’ rispettivamente nel diritto penale e nel diritto civile. Mentre nel primo, costituendo il punto di riferimento la condotta del reo, opera un nesso causale in senso naturalistico, sia pure nei limiti della recezione nel sistema normativo, nel diritto civile, orientato nella direzione della riparazione del danno, domina una causalita’ normativa, che rinvia alla nozione d’imputazione giuridica del danno. La distinzione fra causalita’ naturalistica e causalita’ normativa giustifica una diversa rilevanza della concausa umana colposa, la quale per un verso a norma dell’articolo 41 c.p., non esclude la responsabilita’ penale, per l’altro puo’ ridurre la responsabilita’ civile del danneggiante ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 1. Ne consegue che l’eventuale apporto causale colposo del danneggiato, in quanto non esclude la responsabilita’ penale del danneggiante, non necessariamente costituisce lo stesso fatto accertato dal giudice penale per gli effetti di cui all’articolo 651 c.p.p. e non puo’ essere dunque invocato a proprio favore dal danneggiante convenuto in giudizio per il risarcimento (Cass. 28 marzo 2001, n. 4504).

1.1.1. Nell’articolazione della censura in esame vi e’ anche un richiamo alla norma del codice della strada, che secondo il ricorrente non sarebbe comunque stata violata dal conducente dell’Alfa Romeo. In base all’articolo 154 C.d.S., comma 3, il conducente per voltare a sinistra deve accostarsi il piu’ possibile all’asse della careggiata. L’accertamento di fatto del giudice di merito e’ stato nel senso che l’autovettura Alfa Romeo del (OMISSIS) era ferma a cavallo della linea orizzontale che separava le due corsie di marcia. In tal modo il conducente non si era limitato ad accostarsi il piu’ possibile all’asse della careggiata, come era suo dovere, ma lo aveva superato, fermandosi a cavallo di esso. Correttamente dunque il giudice di merito ha concluso nel senso della violazione della norma citata.

1.2. Con il secondo sub-motivo si denuncia l’omesso esame del fatto che il conducente della Citroen procedesse incolonnato ed avesse effettuato un sorpasso, invadendo la opposta corsia di marcia. Il motivo e’ infondato avendo il giudice di merito sottoposto ad esame la circostanza rappresentata del sorpasso e dell’invasione della corsia opposta.

1.3. Con il terzo sub-motivo si denuncia che erroneamente il giudice di merito ha riconosciuto che l’ (OMISSIS) procedesse all’interno della sua corsia e avrebbe cosi’ violato l’articolo 115 c.p.c. e quella di cui articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4. La censura e’ inammissibile in quanto, a parte la denuncia del vizio motivazionale nella forma inammissibile di un’erronea valutazione della prova, stabilisce una mescolanza di vizio motivazionale e violazione di legge non scindibile e che rimette al giudice di legittimita’ il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili (Cass. 23 settembre 2011, n. 19443; 20 settembre 2013, n. 21611).

2. Con il secondo motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonche’ violazione o falsa applicazione degli articoli 2, 3, 13, 29 Cost., articoli 113, 114, 115 e 116 c.p.c., in relazione agli articoli 1226, 2043, 2056 e 2727 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonche’ ancora violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che in primo grado non era stato riconosciuto il danno esistenziale per effetto dell’erronea convinzione che il parametro dell’Osservatorio per la giustizia civile di Milano lo ricomprendesse, e che in violazione dell’obbligo di motivazione di cui all’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (o con motivazione apparente) nessun cenno era stato fatto alle allegazioni relative ai pregiudizi patiti, da cui emergevano lo stato di convivenza, la personalita’ della vittima primaria, la rinuncia forzosa del figlio ad una serie di attivita’, l’estrema esiguita’ del nucleo familiare, l’oggettivo sconvolgimento delle esistenze dei congiunti superstiti (in particolare il (OMISSIS), oltre alla rinuncia di importanti incarichi fuori sede, aveva dovuto rinunciare ad alcune attivita’ del tempo libero, anche economicamente rilevanti, come l’attivita’ musicale e l’automobilismo sportivo).

3. Con il terzo motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonche’ violazione o falsa applicazione degli articoli 2, 3, 13, 29 Cost., articoli 113, 114, 115 e 116 c.p.c., in relazione agli articoli 1226, 2043, 2056 e 2727 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonche’ ancora violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che la liquidazione del danno era stata effettuata in modo spersonalizzato, sulla base di una acritica applicazione delle tabelle milanesi, e senza considerare l’estrema esiguita’ del restante nucleo (due soli congiunti superstiti), e che spettava, oltre il pregiudizio sofferenziale patito nell’immediatezza, anche quello destinato a durare nel tempo.

3.1. I motivi secondo e terzo, da valutare unitariamente in quanto connessi, sono inammissibili. Con un primo sub-motivo del secondo motivo la parte ricorrente si duole del mancato riconoscimento del danno esistenziale. La censura non intercetta la ratio decidendi, avendo il giudice di appello accertato che fra le componenti di fatto del danno non patrimoniale riconosciute dal giudice di primo grado vi era anche il danno esistenziale da uccisione del congiunto. La ratio decidendi non e’ poi colta anche con riferimento all’ulteriore sub-motivo del secondo motivo afferente il mancato esame delle allegazioni relative ai pregiudizi patiti ed al terzo motivo.

Va premesso che in tema di liquidazione del danno non patrimoniale (nella specie, da morte del prossimo congiunto), la necessita’ per il giudice di merito di tener conto di tutte le circostanze del caso concreto (c.d. personalizzazione del risarcimento) non significa affatto che il giudice debba sempre e comunque aumentare i valori risultanti dalle eventuali tabelle adottate dall’ufficio giudiziario cui appartiene, ma significa che tale variazione equitativa e’ necessaria solo in presenza di situazioni di fatto che si discostino in modo apprezzabile da quelle ordinarie (Cass. 28 novembre 2011, n. 28423; da ultimo Cass. 23 febbraio 2016, n. 3505). Inoltre anche per il danno da lesione del rapporto parentale, resta fermo che il giudice di merito deve accertare, con onere della prova a carico dei familiari della persona deceduta ai sensi dell’articolo 2697 c.c., se, a seguito del fatto lesivo, si sia determinato nei superstiti uno sconvolgimento delle normali abitudini tale da imporre scelte di vita radicalmente diverse (Cass. 22 agosto 2013, n. 19402; 20 agosto 2015, n. 16992). Il giudice di appello ha accertato che non risultano provati pregiudizi relativi a fatti ulteriori rispetto a quelli normalmente collegabili alla perdita repentina di uno stretto congiunto, ed in questo quadro ha anche considerato il carattere particolarmente ristretto del nucleo familiare, nel quale sono rimasti solo due superstiti.

3.2. Per il resto la decisione ha fatto applicazione del principio di diritto secondo cui il danno morale (cioe’ la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile “esistenziale”, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l’illecito abbia violato diritti fondamentali della persona) costituiscono componenti dell’unitario danno non patrimoniale che, senza poter essere valutate atomisticamente, debbono pur sempre dar luogo ad una valutazione globale (Cass. 24 settembre 2014, n. 2011; 20 novembre 2012, n. 20292).

4. Con il quarto motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonche’ violazione o falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c., articoli 1223, 1226, 2043, c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonche’ ancora violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che era stata provata l’esistenza di un nesso causale fra la morte del congiunto e la patologia diagnosticata alla (OMISSIS) (emorragia maculare nell’occhio destro) e che la corte territoriale non aveva minimamente considerato le note critiche del consulente di parte alla consulenza di ufficio, anche per cio’ che concerneva la connessione temporale fra l’evento luttuoso e la menomazione.

4.1. Il motivo e’ inammissibile. La parte ricorrente si duole non dell’omesso esame di un fatto decisivo e controverso, ma della mancata analisi della consulenza di parte che gia’ nel regime previgente dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, era considerata semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio, senza obbligo di analisi e confutazione da parte del giudice di merito, una volta poste a base del convincimento considerazioni incompatibili con la consulenza di parte e conformi al parere del proprio consulente (fra le tante Cass. 29 gennaio 2010, n. 2063). Circa l’esistenza del nesso causale la parte ricorrente si limita a giustappore una propria valutazione a quella del giudice di merito, insindacabile se non mediante la denuncia, correttamente proposta, di vizio motivazionale.

5. Con il quinto motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonche’ violazione o falsa applicazione dell’articolo 116 c.p.c., articoli 1223, 1226, 2043, 2727 e 2729 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonche’ ancora violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che il giudice di primo grado aveva erroneamente attribuito al figlio della vittima lo stato di studente, laddove invece lo stesso gia’ da quattro anni esercitava la professione di architetto, e che il (OMISSIS) per effetto della perdita del padre era stato costretto a rinunciare a incarichi ed al trasferimento ad altra sede, come nel caso della comunicazione del 21 dicembre 2001.

5.1. Il motivo e’ inammissibile. La censura, nella misura in cui e’ indirizzata alla decisione di primo grado, e’ estranea alla ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale peraltro, conformemente a quanto indicato nel motivo di ricorso, ha considerato che al momento del decesso del padre il (OMISSIS) era agli inizi dello svolgimento della professione di architetto. Per il resto non vi e’ denuncia di omesso esame di fatto decisivo e controverso, ma solo la confutazione della valutazione di merito del giudice di appello, il quale ha apprezzato la circostanza della comunicazione del 21 dicembre 2001 in modo differente da quanto rappresentato nel motivo di ricorso.

6. Con il sesto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli articoli 113, 115 e 116 c.p.c., in relazione agli articoli 1223, 2043 e 2056 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che indebitamente il danno patrimoniale patito era stato ristretto al mero profilo successorio nella misura di Euro 16.000,00 sia per il mancato riconoscimento in favore del figlio della vittima del sostegno economico che sarebbe pervenuto nella fase iniziale dell’esercizio della professione sia per l’indebita compensazione del pregiudizio patrimoniale subito dal coniuge con la pensione di reversibilita’ (non consentita per la diversita’ di titolo dell’erogazione rispetto all’illecito).

6.1. Il motivo e’ inammissibile. Nella decisione impugnata viene indicata la proposizione dell’atto di appello con riferimento al danno patrimoniale solo per cio’ che concerne la perdita di chances professionali di (OMISSIS). In violazione del principio di autosufficienza la parte ricorrente non ha specificatamente indicato se la statuizione di primo grado per cio’ che concerne gli aspetti del danno patrimoniale indicati nel motivo sia stata impugnata con l’atto di appello.

7. Con il settimo motivo si denuncia omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonche’ violazione o falsa applicazione degli articoli 2, 3, 13, 29 Cost., articoli 113, 114, 115 e 116 c.p.c., in relazione agli articoli 1226, 2043, 2056 e 2727 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonche’ ancora violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che spettava iure hereditatis il c.d. danno catastrofale stante il tempo trascorso di almeno un’ora e mezza fra l’evento e la morte, in stato di coscienza della vittima e di sofferenza acuta, come emerso sulla base delle testimonianze, secondo le quali il (OMISSIS) aveva emesso lamenti ed era stato confortato.

7.1. Il motivo e’ in parte inammissibile ed in parte infondato. Il giudice di merito ha accertato che il decesso del (OMISSIS) e’ avvenuto nell’immediatezza del fatto (circa mezz’ora, al massimo un’ora dopo l’incidente) e che la vittima era in stato di incoscienza. Il fatto secondario di cui la parte ricorrente lamenta l’omesso esame sarebbe la circostanza dei lamenti ed il tempo trascorso di almeno un’ora e mezza fra l’evento e la morte, da cui desumere lo stato di coscienza del (OMISSIS) prima del decesso. Quanto al lasso di tempo la circostanza di fatto e’ stata oggetto di esame da parte del giudice di merito, che ha concluso nel senso dell’immediatezza rispetto all’evento. La circostanza dei lamenti, pur non oggetto di esame, e’ priva di decisivita’ sia per l’equivocita’ ai fini dello stato di coscienza dello stesso dato dell’emissione di lamenti, sia perche’ il giudice di merito ha accertato che la persona non e’ sopravvissuta per un lasso di tempo apprezzabile ed il fattore tempo risulta determinante posto che non sono configurabili utilita’, perse e da reintegrare, in un breve spazio di vita (Cass. 29 maggio 1996, n. 4991).

7.2. Stante questa dimensione del fatto, cosi’ come accertata dal giudice di merito, il danno iure hereditatis di cui si chiede il risarcimento e’ qualificabile in termini di danno non catastrofale, ma tanatologico, rispetto al quale le sezioni unite di questa Corte hanno statuito che in caso di morte cagionata da un illecito, il pregiudizio conseguente e’ costituito dalla perdita della vita, bene giuridico autonomo rispetto alla salute, fruibile solo in natura dal titolare e insuscettibile di essere reintegrato per equivalente, sicche’, ove il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempo dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilita’ iure hereditatis di tale pregiudizio, in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo – della mancanza di utilita’ di uno spazio di vita brevissimo (Cass. 22 luglio 2015, n. 15350).

8. Passando al ricorso incidentale, con l’unico motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 1227 c.c., comma 1, articoli 2055 e 2056 c.c., ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Lamenta la ricorrente in via incidentale che la corte territoriale, dopo avere correttamente decurtato il danno iure hereditatis della quota riferibile al concorso di colpa della vittima, non ha proceduto alla corrispondente riduzione per cio’ che concerne il danno spettante iure proprio.

8.1. Il motivo e’ fondato. Si e’ andato consolidando l’orientamento di questa Corte nel senso che il risarcimento del danno (patrimoniale e non) patito iure proprio dai congiunti di persona deceduta per colpa altrui deve essere ridotto in misura corrispondente alla percentuale di colpa ascrivibile alla stessa vittima (fra le tante Cass. 4 novembre 2014, n. 23426; 23 ottobre 2014, n. 22514; 26 maggio 2014, n. 11698; 28 agosto 2007, n. 18177). Trattasi di indirizzo assai risalente (si vedano Cass. 20 marzo 1959, n. 849; 7 agosto 1963, n. 2223; 18 febbraio 1971, n. 430). A tale orientamento il Collegio intende dare continuita’ con la seguente precisazione.

8.2. L’enunciato principio di diritto ha trovato fondamento nel principio di cui all’articolo 1227 c.c. (riferibile anche alla materia del danno extracontrattuale per l’espresso richiamo contenuto nell’articolo 2056 del codice) della riduzione proporzionale del danno in ragione dell’entita’ percentuale dell’efficienza causale del soggetto danneggiato, principio che trova applicazione anche nei confronti dei congiunti del danneggiato che, in relazione agli effetti riflessi che l’evento di danno subito proietta su di essi, agiscono per ottenere il risarcimento dei danni iure proprio, allorquando il danneggiato abbia contribuito con la propria condotta al verificarsi del pregiudizio (Cass. 10 febbraio 2005, n. 2704). Il richiamo all’articolo 1227 c.c., deve essere inteso non in termini sussuntivi, posto che il congiunto del danneggiato che agisce iure proprio non e’ equiparabile al creditore che ha concorso a cagionare il danno con il proprio fatto colposo (il fatto colposo e’ del danneggiato, non del congiunto). Cio’ che trova applicazione e’ il principio di causalita’, di cui l’articolo 1227, rappresenta il corollario, in base al quale al danneggiante non puo’ farsi carico di quella parte di danno che non e’ a lui causalmente imputabile, secondo il paradigma della causalita’ del diritto civile, la quale conferisce rilevanza alla concausa umana colposa.

Riprendendo quanto affermato al punto 1.1., la causalita’ e’ categoria scientifica relativa al mondo dei fatti la quale viene recepita dall’ordinamento giuridico mediante la giuridicizzazione del nesso eziologico. Nel passaggio dal diritto penale al diritto civile si realizza una relativa astrazione dalla nozione puramente naturalistica di causalita’ per come recepita dalla norma penale (articoli 40 e 41 c.p.), perche’ la responsabilita’ civile e’ centrata sulla figura del danneggiato, mentre quella penale orbita intorno alla figura dell’autore del reato (benche’ la stessa causalita’ penale contempli un’attenuazione della responsabilita’ ai sensi dell’articolo 62 c.p., comma 1, n. 5, nell’ipotesi di concausa dolosa riconducibile al comportamento del soggetto passivo del reato). Il passaggio dalla legge scientifica alla legge giuridica si traduce, sul piano della responsabilita’ civile, nella trasformazione della causalita’ in criterio d’imputazione del danno e nella rilevanza, al livello dell’imputazione del danno, della concausa umana colposa. Mentre infatti la causalita’ penale e’ orientata nella direzione dell’evento, da cui l’irrilevanza, ovvero l’equivalenza, delle cause concorrenti (articolo 41 c.p., comma 1), la causalita’ civile guarda al danno, da cui l’incidenza della concausa umana colposa. Cio’ che invero muta e’ il criterio di qualificazione. La causalita’, sul piano giuridico, ancor prima che su quello scientifico, e’ un concetto qualificatorio (e’ una “funzione dell’intelletto”). Il criterio normativo di valutazione dipende dal punto di riferimento della sequenza eziologica. Se il punto di riferimento e’ l’evento, allora le concause non rilevano (diritto penale). Se il punto di riferimento e’ il danno, come accade nella causalita’ civile, allora le concause umane colpose acquistano rilievo.

Nonostante una dottrina minoritaria ritenga che il fondamento dell’articolo 1227 c.c., comma 1, riposi sul principio di autoresponsabilita’, la dottrina prevalente e la giurisprudenza (Cass. 3 dicembre 2002, n. 17152) ritengono che la norma in discorso costituisca applicazione dei principi della causalita’ e del funzionamento del nesso causale. In questo quadro la colpa, cui fa riferimento dell’articolo 1227, comma 1, va intesa non nel senso di criterio di imputazione del fatto (perche’ il soggetto che danneggia se stesso non compie un atto illecito di cui all’articolo 2043 c.c.), bensi’ come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato (Cass. 3 dicembre 2002, n. 17152), ovvero, come riconosce una dottrina, come criterio di selezione delle concause rilevanti ai fini della riduzione del risarcimento. La concausa umana rilevante e’ infatti quella colposa, dovendosi derubricare quella non colposa a concausa naturale.

Espressione del medesimo principio causalistico e’ la previsione del regresso fra responsabili solidali in base alla gravita’ della colpa e all’entita’ delle conseguenze che ne sono derivate, di cui all’articolo 2055 c.c., comma 2. L’articolo 1227, comma 1, e l’articolo 2055, comma 2, compongono cosi’ un unitario sistema di rilevanza nella causalita’ di diritto civile della concausa umana colposa. Il “cagionare” della disciplina della responsabilita’ extracontrattuale non puo’ essere inteso in termini puramente naturalistici, ma subisce l’intervento del principio normativo di rilevanza della concausa umana colposa espresso dall’articolo 1227, comma 1 e articolo 2055, comma 2 e contempla pertanto il frazionamento della responsabilita’ secondo l’efficienza dei singoli apporti. Il limite della responsabilita’ solidale ai sensi dell’articolo 2055 c.c., comma 1, non incide sulla causalita’, la quale resta informata al principio della rilevanza della concausa umana colposa, ma attiene al rapporto con il creditore, allo scopo di favorire il danneggiato mediante il rafforzamento della tutela del suo diritto al risarcimento, ed e’ manifestazione del principio generale di cui all’articolo 1294 c.c. (Cass. 16 gennaio 2009, n. 975, la quale peraltro attribuisce rilevanza ai fini della produzione del danno anche alla concausa naturale non imputabile, sulla base di una distribuzione equitativa dell’efficienza causale, contrariamente a Cass. 16 febbraio 2001, n. 2335, secondo cui una comparazione del grado di incidenza eziologica di piu’ cause concorrenti puo’ instaurarsi soltanto tra una pluralita’ di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale non imputabile; la successiva giurisprudenza ha ricondotto l’efficacia della concausa naturale al piu’ limitato piano della determinazione dell’ammontare del danno risarcibile ai sensi dell’articolo 1223 c.c. – Cass. 21 luglio 2011, n. 15991; 6 maggio 2015, n. 8995; 29 febbraio 2016, n. 3893).

La diminuzione del risarcimento del danno patito iure proprio dai congiunti di persona deceduta per colpa altrui, in presenza di fatto colposo del deceduto, trova pertanto fondamento normativo direttamente nella disciplina del fatto illecito, ed in particolare nell’articolo 2054, per l’ipotesi della circolazione stradale, dovendo il “cagionare” o il “produrre il danno” essere intesi in termini parziali laddove concorra la concausa umana colposa, sulla base di una lettura unitaria del complesso normativo derivante dall’articolo 1227 c.c., comma 1, articolo 2054 c.c. e articolo 2055 c.c., comma 2. In definitiva mentre in relazione al danno iure hereditatis trova diretta applicazione l’articolo 1227 c.c., posto che cio’ che viene in primo piano e’ il fatto colposo del danneggiato, per cio’ che concerne il danno iure proprio, in presenza di concorso colposo del creditore, trova applicazione il principio della commisurazione della responsabilita’ all’efficienza causale del comportamento del danneggiante, di cui lo stesso articolo 1227, costituisce espressione. In entrambi i casi il responsabile in nessun caso deve risarcire un danno o parte di danno che non ha prodotto.

8.3. Il giudice di merito dovra’ quindi attenersi al seguente principio di diritto: il risarcimento del danno patito iure proprio dai congiunti della persona deceduta per colpa altrui deve essere ridotto in misura corrispondente alla percentuale di contributo causale all’evento dannoso ascrivibile al comportamento colposo della vittima.

9, Poiche’ il ricorso principale e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, che ha aggiunto del Testo Unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente in via principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale ed accoglie quello incidentale; cassa la sentenza impugnata nei limiti dell’accoglimento del ricorso incidentale e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Catania, che provvedera’ anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente in via principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1- bis

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