Nel caso in cui l’oggetto del trasferimento non riguardi l’intera azienda, bensì un ramo di essa, il principio della sorte comune dei beni unitariamente organizzati per l’esercizio dell’impresa non soffre eccezione alcuna, con la conseguenza che i rapporti riferibili a detto ramo – ossia quelli per loro natura oggettivamente determinabili, in ragione della riconoscibile destinazione funzionale all’esercizio del settore di attività imprenditoriale ad essi strettamente collegato – devono ritenersi inevitabilmente destinati a seguire le sorti del complesso organizzato cui accedono, salvo si tratti di beni personali (cfr. art. 2558 c.c. ) o che le parti – in conformità all’espressa previsione di cui all’art. 2558 c.c. – abbiano proceduto alla determinazione dei singoli beni o rapporti non destinati alla successione, a tal fine potendo eventualmente anche provvedere alla comprensiva indicazione di tutti i rapporti contrattuali per loro natura oggettivamente e riconoscibilmente strumentali all’esercizio del settore di attività imprenditoriale conservato dal cedente.
Da tali premesse deriva che, là dove le parti abbiano omesso di escludere taluni rapporti contrattuali propri dell’azienda del cedente dalla cessione di un ramo di questa, ove tali rapporti non fossero di per sé oggettivamente e riconoscibilmente estranei al ramo d’attività ceduto, ovvero oggettivamente e riconoscibilmente pertinenti al settore imprenditoriale (e dunque al compendio aziendale) rimasto in capo al cedente, detti rapporti contrattuali devono necessariamente ritenersi ceduti, ai sensi dell’art. 2558 c.c., al cessionario del ramo d’azienda corrispondente.
Suprema Corte di Cassazione
Sezione III Civile
sentenza 11 ottobre 2016, n. 20417
…omissis…
sul ricorso 7940-2014 proposto da:
ALFA SRL;
contro
BETA Finanziaria SPA;
avverso la sentenza n. 1943/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 30/09/2013;
OMISSIS
Svolgimento del processo
1. La ALFA s.r.l. ha proposto opposizione avverso il decreto ingiuntivo contro di essa ottenuto dalla BETA Finanziaria s.p.a. per il pagamento dei canoni di leasing relativi all’uso del camion descritto in atti.
A sostegno dell’opposizione, per quel che qui rileva, la BETA Finanziaria ha evidenziato come il contratto di leasing in esame fosse stato originariamente stipulato dalla ALFA con la GAMMA s.r.l. che, a sua volta, aveva ceduto un ramo della propria azienda (comprensiva di detto leasing) alla DELTA s.r.l.; ramo del quale la ALFA si era successivamente resa cessionaria.
Ciò posto, la società opponente ha rilevato come il contratto di leasing in esame non fosse stato menzionato, né nell’elenco delle attrezzature cedute dalla DELTA alla ALFA, con scrittura privata autenticata del (OMISSIS), né nelle scritture contabili della società cedente, essendo così mancata alcuna successione della ALFA nel rapporto contrattuale de quo, con la conseguente insussistenza del credito rivendicato dalla BETA Finanziaria nei confronti della ALFA per il titolo da essa dedotto in giudizio.
2. Con sentenza resa in data 29/12/2011, il Tribunale di Torino, respinta ogni contraria domanda o eccezione, ha accolto l’opposizione della ALFA, revocando il decreto ingiuntivo opposto.
A sostegno della decisione assunta, il Tribunale ha evidenziato come, dalla documentazione prodotta dalle parti, fosse emersa l’originaria pattuizione per cui l’eventuale mancato pagamento, anche di una sola rata della locazione finanziaria, avrebbe dato luogo alla risoluzione del contratto, nonché la previsione per cui, in assenza del preventivo consenso scritto della BETA Finanziaria (nella specie mancato), non sarebbe stato possibile dar luogo ad alcuna cessione del contratto di leasing. Ciò posto, pur essendo stato trasferito il contratto di leasing nel primo passaggio del ramo d’azienda dalla GAMMA s.r.l. alla DELTA s.r.l. (in data 31/7/2007), nessuna menzione di tale contratto era viceversa stata operata nell’elenco allegato al trasferimento d’azienda dalla DELTA alla ALFA (avvenuta in data (OMISSIS)), essendo stata peraltro convenuta tra le parti la cessione di detta azienda libera da debiti, con la conseguente integrazione della fattispecie dell’espressa pattuizione contraria, idonea a escludere il subentro automatico della ALFA nei contratti stipulati dalla DELTA s.r.l. (o dai suoi danti causa), ai sensi dell’art. 2558 c.c., comma 2.
Peraltro, mentre la BETA Finanziaria s.p.a. non aveva consentito ad alcuna cessione del contratto di leasing, la stessa aveva inviato (in data (OMISSIS)) una lettera alla GAMMA s.r.l., con la quale veniva espressamente dato atto dell’intervenuta risoluzione del contratto di leasing in ragione del mancato pagamento dei canoni.
3. Su appello della BETA Finanziaria s.p.a., la Corte d’appello di Torino, con sentenza resa in data 3/7/2013, in accoglimento dell’impugnazione e in riforma della sentenza di primo grado, ha disposto il rigetto dell’opposizione, con la conseguente conferma del decreto ingiuntivo opposto, oltre alla condanna della ALFA al rimborso delle spese di entrambi i gradi di giudizio in favore di controparte.
Al riguardo, la corte territoriale, sul presupposto dell’automatico trasferimento di tutti i contratti pertinenti l’azienda ceduta, ai sensi dell’art. 2558 c.c. (indifferentemente applicabile, tanto alla fattispecie della “cessione d’azienda”, quanto a quella della “cessione di ramo d’azienda”), ha ritenuto sussistente l’effettivo subentro della ALFA nel ramo d’azienda (comprensivo del contratto di leasing de quo) originariamente ceduto dalla GAMMA s.r.l. alla DELTA s.r.l. e da quest’ultima alla ALFA: e tanto, a prescindere dal riscontro delle poste passive di detto rapporto contrattuale nelle scritture contabili della società cedente.
Sul punto, i giudici d’appello hanno evidenziato come la BETA Finanziaria non si fosse mai opposta alla cessione del contratto in favore della ALFA, costituendo, l’eventuale accettazione della cessione del contratto, unicamente una previsione a tutela della sola BETA Finanziaria, e non già delle controparti, che, una volta ceduta (o acquistata) l’azienda o un ramo di essa, dovevano ritenersi comunque assoggettate all’automatico effetto successorio nel contratto in esame, in conformità al dettato dell’art. 2558 c.c., nella specie mai validamente derogato.
4. Avverso la sentenza d’appello, ha proposto ricorso per cassazione la ALFA s.r.l. sulla base di tre motivi di impugnazione.
5. Ha depositato controricorso la BETA Finanziaria s.p.a., concludendo per la dichiarazione d’inammissibilità, ovvero, in ogni caso, per il rigetto del ricorso, con il favore delle spese di lite.
6. Hanno depositato memoria illustrativa la ALFA s.r.l. e la BETA Finanziaria s.p.a..
Motivi della decisione
7. Con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2558 c.c., nonché omessa motivazione su un punto controverso decisivo per il giudizio.
A riguardo, la ricorrente evidenzia come il meccanismo di successione automatica nei contratti riferiti all’azienda, secondo le previsioni dell’art. 2558 c.c., se trova naturale applicazione alla fattispecie ordinaria della cessione d’azienda, non può ritenersi indifferentemente estensibile anche all’ipotesi della cessione di ramo d’azienda, attesa, in tale ultimo caso, la necessità di un’espressa previsione delle parti diretta alla specifica determinazione dei rapporti contrattuali pertinenti al ramo d’azienda destinato al trasferimento, al fine di distinguerli da quelli che permangono nella sfera del cedente.
Ciò posto, essendo incontestata la circostanza della mancata menzione del contratto di leasing oggetto di giudizio tra quelli trasferiti dalla DELTA s.r.l. alla ALFA s.r.l. (con la conseguente la mancata produzione dell’automatico meccanismo di successione in detto contratto), quest’ultima non avrebbe potuto ritenersi in alcun modo vincolata nei confronti della BETA Finanziaria s.p.a. per il pagamento dei canoni di leasing da quest’ultima rivendicati.
7.1. Il motivo è infondato.
Osserva il collegio come, in conformità alle previsioni di cui all’art. 2558 c.c., la cessione del complesso dei beni funzionalmente organizzati per l’esercizio di un’impresa determina l’automatico subentro del cessionario nella titolarità dei rapporti contrattuali – di carattere non personale – che attengono all’azienda ceduta.
Tale disciplina appare coerente all’idea dell’azienda come universitas, da cui discende che i rapporti contrattuali – di carattere non personale – che attengono all’azienda ceduta si considerano parte integrante del complesso dei beni unitariamente considerato, con la naturale conseguenza del relativo trasferimento unitamente all’azienda di cui seguono le sorti (sul tema v., amplius, Sez. 3, Sentenza n. 13319 del 30/06/2015, in motivazione).
Rispetto a detta previsione generale, il legislatore ha contestualmente regolato il potere delle parti di specificare i rapporti dipertinenza del cedente convenzionalmente destinati a non confluire nel bene-azienda posto a oggetto della cessione, per rimanere nella titolarità del medesimo cedente.
Nel caso in cui l’oggetto del trasferimento non riguardi l’intera azienda, bensì un ramo di essa, il principio della sorte comune dei beni unitariamente organizzati per l’esercizio dell’impresa non soffre eccezione alcuna, con la conseguenza che i rapporti riferibili a detto ramo – ossia quelli per loro natura oggettivamente determinabili, in ragione della riconoscibile destinazione funzionale all’esercizio del settore di attività imprenditoriale ad essi strettamente collegato – devono ritenersi inevitabilmente destinati a seguire le sorti del complesso organizzato cui accedono, salvo si tratti di beni personali (cfr. art. 2558 c.c. ) o che le parti – in conformità all’espressa previsione di cui all’art. 2558 c.c. – abbiano proceduto alla determinazione dei singoli beni o rapporti non destinati alla successione, a tal fine potendo eventualmente anche provvedere alla comprensiva indicazione di tutti i rapporti contrattuali per loro natura oggettivamente e riconoscibilmente strumentali all’esercizio del settore di attività imprenditoriale conservato dal cedente.
Da tali premesse deriva che, là dove le parti abbiano omesso di escludere taluni rapporti contrattuali propri dell’azienda del cedente dalla cessione di un ramo di questa, ove tali rapporti non fossero di per sé oggettivamente e riconoscibilmente estranei al ramo d’attività ceduto, ovvero oggettivamente e riconoscibilmente pertinenti al settore imprenditoriale (e dunque al compendio aziendale) rimasto in capo al cedente, detti rapporti contrattuali devono necessariamente ritenersi ceduti, ai sensi dell’art. 2558 c.c., al cessionario del ramo d’azienda corrispondente.
Nel caso di specie, non essendo emersa alcuna oggettiva e riconoscibile estraneità del contratto di leasing in esame al ramo d’azienda oggetto delle successive cessioni d’azienda (o di ramo d’azienda) qui esaminate, ovvero alcuna oggettiva e riconoscibile pertinenza di esso al settore imprenditoriale (e dunque al compendio aziendale) rimasto in capo al cedente, del tutto correttamente la corte territoriale ha ritenuto che la corrispondente posizione contrattuale sia di volta in volta naturalmente rifluita nella titolarità dei successivi cessionari e dunque, da ultimo, in quella dell’odierna società ricorrente.
8. Con il secondo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1372 e 2558 c.c., nonchéinsufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio.
Osserva, al riguardo, la società ricorrente come del tutto erroneamente la corte territoriale abbia ritenuto rispondente, la clausola convenuta tra le originarie parti del contratto di leasing – volta alla subordinazione dell’efficacia dell’eventuale cessione del contratto al consenso della BETA – a un esclusivo interesse di quest’ultima (con il conseguente difetto di legittimazione della controparte a invocarne il mancato rispetto), trattandosi, al contrario, di un patto destinato a introdurre precisi limiti alla facoltà di cessione del contratto da parte dell’utilizzatore, senza per ciò stesso attribuire alcun indiscriminato potere di deroga in favore della società concedente.
8.1. Il motivo è inammissibile.
Secondo l’art. 366 c.p.c., n. 6, il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità, la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda.
Tale prescrizione postula – secondo il costante e consolidato insegnamento di questa Corte (cfr., ex plurimis, Sez. 5, Sentenza n. 26174 del 12/12/2014, Rv. 633667) – che, dovendo provvedersi all’individuazione di tali atti con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione (Sez. 3, Sentenza n. 8569 del 09/04/2013, Rv. 625839), il ricorrente, anche in unione a quanto previsto dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (che sanziona in termini di improcedibilità il ricorso, il cui deposito non sia accompagnato pure dal deposito degli atti processuali, dei documenti e degli accordi collettivi su cui si fonda) sia chiamato ad assolvere un duplice onere processuale. Ove, invero, egli intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice del merito, il requisito in parola s’intende soddisfatto, allorché il ricorrente produca il documento agli atti e ne riproduca il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il suo esatto contenuto (v. Sez. L, Sentenza n. 2966 del 07/02/2011, Rv. 616097). In altri termini, occorre non solo che la parte precisi dove e quando il documento asseritamente ignorato dai primi giudici o da essi erroneamente interpretato sia stato prodotto nella sequenza procedimentale che porta la vicenda al vaglio di legittimità; ma al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte, occorre altresì che detto documento ovvero quella parte di esso su cui si fonda il gravame sia puntualmente riportata nel ricorso nei suoi esatti termini.
L’inosservanza anche di uno soltanto di questi oneri viola il precetto di specificità di cui al citato art. 366, comma 1, n. 6 e rende il ricorso conseguentemente inammissibile (Sez. 5, Sentenza n. 26174 del 12/12/2014, cit.).
E’ appena il caso di ricordare come tali principi abbiano ricevuto l’espresso avallo della giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte (cfr, per tutte, Sez. Un., Sentenza n. 16887 del 05/07/2013), le quali, dopo aver affermato che la prescrizione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, è finalizzata alla precisa delimitazione del thema decidendum, attraverso la preclusione per il giudice di legittimità di porre a fondamento della sua decisione risultanze diverse da quelle emergenti dagli atti e dai documenti specificamente indicati dal ricorrente, onde non può ritenersi sufficiente in proposito il mero richiamo di atti e documenti posti a fondamento del ricorso nella narrativa che precede la formulazione dei motivi (Sez. Un., Sentenza n. 23019 del 31/10/2007, Rv. 600075), hanno poi ulteriormente chiarito che il rispetto delle citata disposizione del codice di rito esige che sia specificato in quale sede processuale nel corso delle fasi di merito il documento, pur eventualmente individuato in ricorso, risulti prodotto, dovendo poi esso essere anche allegato al ricorso a pena d’improcedibilità, in base alla previsione del successivo art. 369, comma 2, n. 4 (cfr. Sez. Un., Sentenza n. 28547 del 02/12/2008 (Rv. 605631); con l’ulteriore precisazione che, qualora il documento sia stato prodotto nelle fasi di merito e si trovi nel fascicolo di parte, l’onere della sua allegazione può esser assolto anche mediante la produzione di detto fascicolo, ma sempre che nel ricorso si specifichi la sede in cui il documento è rinvenibile (cfr. Sez. Un., Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010, Rv. 612109, e, con particolare riguardo al tema dell’allegazione documentale, Sez. Un., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011, Rv. 619317).
8.2. Nella violazione dei principi sin qui rassegnati deve ritenersi incorsa la società ricorrente con il secondo motivo d’impugnazione, atteso che la ALFA, nel dolersi che la corte d’appello abbia ravvisato, nella stipulazione della clausola contrattuale in esame, l’obiettivo della tutela di un interesse esclusivo della BETA – piuttosto che un patto destinato a introdurre limiti alla facoltà di cessione del contratto -, ha tuttavia omesso di riprodurre nel ricorso il contenuto specifico di detta clausola, con ciò precludendo a questa Corte la possibilità di apprezzarne la concludenza ai fini di giudicare la fondatezza del motivo.
9. Con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2558 c.c., con riguardo agli artt. 1456 e 1458 c.c..
Sul punto, rileva la ALFA come, in conformità alla previsione dell’art. 12 delle condizioni generali di contratto, il mancato pagamento di una singola rata di canone locativo avrebbe dovuto provocare la risoluzione di diritto del contratto di leasing oggetto di giudizio, sì che, essendosi verificato il primo mancato pagamento di un canone in data 31/7/2007 per responsabilità della società GAMMA s.r.l., l’evento risolutivo del rapporto contrattuale rilevante nel caso di specie ebbe a verificarsi ben prima della conclusione del contratto di cessione di ramo d’azienda tra la DELTA Srl e la ALFA s.r.l., con la conseguente impossibilità del subentro di quest’ultima nella posizione contrattuale della società cedente e la connessa inconfigurabilità della condizione debitoria della ALFA s.r.l. nei confronti della BETA Finanziaria s.p.a. per il titolo contrattuale dalla stessa dedotto in giudizio.
9.1. Il motivo è infondato.
Osserva il collegio come, secondo l’art. 1456 c.c., i contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite (c.d. clausola risolutiva espressa). In tal caso, la risoluzione si verifica di diritto “quando la parte interessata dichiara all’altra che intende valersi della clausola risolutiva”.
Nel caso di specie, essendo incontroversa la circostanza della manifestazione della volontà della BETA di risolvere il contratto di leasing concluso con la GAMMA s.r.l. solo a seguito della manifestazione espressa con la missiva in data (OMISSIS), la verificazione della risoluzione di diritto del contratto di leasing deve ritenersi avvenuta non prima di tale data, allorché la successione della ALFA in detto contratto si era già definitivamente prodotta con il contratto di cessione di ramo d’azienda del (OMISSIS), ossia in un’epoca in cui il ridetto contratto di leasing doveva ancora ritenersi pienamente valido ed efficace.
Ciò posto, nessuna violazione di legge può essere fondatamente imputata alla decisione della corte territoriale, avendo quest’ultima correttamente ricollegato la risoluzione di diritto del contratto di leasing all’inequivoca manifestazione della volontà contrattuale della BETA di avvalersi della clausola risolutiva espressa convenuta tra le parti.
10. Il complesso delle argomentazioni che precedono impone la pronuncia del rigetto del ricorso, con la condanna della società ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della BETA Finanziaria s.p.a., secondo la liquidazione di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso, in favore della BETA Finanziaria s.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.500,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali e agli accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, art. 1 – bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 luglio 2016.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2016
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