In tema di contratto di assicurazione, la reticenza dell’assicurato è causa di annullamento negoziale quando si verifichino cumulativamente tre condizioni: a) che la dichiarazione sia inesatta o reticente; b) che la dichiarazione sia stata resa con dolo o colpa grave; c) che la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore; il giudizio sulla rilevanza delle dichiarazioni inesatte o sulla reticenza del contraente, implicando un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo se non sia sorretto da una motivazione logica, coerente e completa. I suddetti accertamenti di fatto non sono censurabili nella presente sede, in quanto fondati sulla valutazione delle prove legittimamente acquisite, senza alcuna omissione nell’esame dei fatti storici rilevanti, e supportati da motivazione non apparente né insanabilmente contraddittoria
Suprema Corte di Cassazione
sezione III civile
sentenza 11 gennaio 2017, n. 416
Fatti e svolgimento del processo
G.D. agì in giudizio nei confronti di HDI Assicurazioni S.p.A. chiedendone la condanna – in virtù di una polizza con essa stipulata – al pagamento delle rate residue di un contratto di mutuo che egli aveva contratto, a titolo di indennizzo, per essersi verificato l’evento assicurato.
La compagnia, nel resistere, propose domanda riconvenzionale di annullamento del contratto di assicurazione, ai sensi dell’art. 1892 c.c..
La domanda principale fu rigettata dal Tribunale di Treviso, che accolse invece la domanda riconvenzionale.
La Corte di Appello di Venezia ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorre il D., sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso HDI Assicurazioni S.p.A.
Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c. c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. (l’art. 2697 c. c. è norma di carattere non sostanziale ma procedurale, disciplinando l’onere della prova, e di conseguenza la sua violazione deve essere impugnata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c) p. c.) nonché omesso esame circa il fatto, decisivo per il giudizio e già oggetto di discussione tra le parti, che ai fini di polizza l’unico momento storico rilevante per valutare la sussistenza del buono stato di salute e delle malattie o lesioni gravi necessitanti un trattamento medico regolare e continuato è la conclusione del contratto, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.».
Con il secondo motivo del ricorso si denunzia «violazione elo falsa applicazione degli artt. 1363 ss. c. c., nonché dell’art. 1892 c. c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c.».
Con il terzo motivo del ricorso si denunzia «omesso esame circa il fatto, decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, che le dichiarazioni sottoscritte dal sig. D. sono contenute in un modulo predisposto da HDI Assicurazioni S.p.A., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c, p. c., nonché violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1370 c. c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 c. p. c. ».
I motivi del ricorso sono connessi e vanno quindi trattati congiuntamente, costituendo distinte articolazioni di una censura sostanzialmente unitaria, con la quale il ricorrente contesta l’accertamento dei giudici di merito in ordine alla inesattezza delle dichiarazioni da lui rese in sede di stipulazione della polizza.
Essi sono inammissibili.
La corte di appello ha accertato in fatto che il D. era consapevole di essere affetto da una grave malattia (cardiopatia post infartuale) non dichiarata in sede di stipulazione della polizza, che richiedeva trattamento medico regolare e continuato, e che la sua reticenza in ordine a tale circostanza, espressamente prevista nella polizza, era determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore.
Sulla base di tale accertamenti di fatto, ha ritenuto sussistente la fattispecie prevista dal primo comma dell’art. 1892 c.c., applicando correttamente i principi di diritto affermati in materia da questa Corte (ed in particolare quelli per cui «in tema di contratto di assicurazione, la reticenza dell’assicurato è causa di annullamento negoziale quando si verifichino cumulativamente tre condizioni: a) che la dichiarazione sia inesatta o reticente; b) che la dichiarazione sia stata resa con dolo o colpa grave; c) che la reticenza sia stata determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore; il giudizio sulla rilevanza delle dichiarazioni inesatte o sulla reticenza del contraente, implicando un apprezzamento di fatto, è riservato al giudice di merito ed è censurabile in sede di legittimità solo se non sia sorretto da una motivazione logica, coerente e completa»; così Cass., Sez. 3, Sentenza n. 25582 del 30/11/2011, Rv. 620624; conf.: Sez. 3, Sentenza n. 16769 del 21/07/2006, Rv. 591763; Sez. 3, Sentenza n. 16406 del 13/07/2010, Rv. 614110) I suddetti accertamenti di fatto non sono censurabili nella presente sede, in quanto fondati sulla valutazione delle prove legittimamente acquisite, senza alcuna omissione nell’esame dei fatti storici rilevanti, e supportati da motivazione non apparente né insanabilmente contraddittoria (cfr. Cass., Sezioni Unite, 7 aprile 2014 n. 8053 e n. 8054; conf.: Cass. 27 novembre 2014 n. 25216; 9 luglio 2015 n. 14324).
La effettiva sostanza delle censure avanzate dal ricorrente è dunque quella di una contestazione degli accertamenti di fatto operati dai giudici di merito, mediante la richiesta di una nuova e diversa valutazione del materiale istruttorio, il che non è ammissibile in sede di legittimità.
4. Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo. Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dall’art. 1, co. 18, della legge n. 228 del 2012, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1-quater, del D.P.R. n. 115 dei 2002, introdotto dall’art. 1, co. 17, della citata legge n. 228 del 2012.
P.Q.M.
La Corte:
– dichiara inammissibile il ricorso;
– condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi € 7.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13
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