Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza n. 9877 del 15 giugno 2012

 

Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 7 febbraio 2000 il sig. H.C. , condomino della stabile di via (omissis) , conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, il Condominio di tale fabbricato, in persona dell’amministratore pro tempore, deducendo la nullità delle delibere assunte dall’assemblea condominiale in data 15 dicembre 1999 per difetto di convocazione e, in ogni caso, eccependo l’illegittimità e l’inefficacia della delibera di cui al punto 2) riguardante la formazione di otto posti macchina per la violazione del divieto posto nel regolamento condominiale con la conseguente lesione del diritti, tra cui quello alla propria salute e delle altre persone che lavoravano nel capannone adiacente di sua proprietà. Nella costituzione del convenuto Condominio (che propose anche domanda riconvenzionale), il Tribunale adito, con sentenza n. 13470 del 2003, annullava la delibera sul punto 2) dell’ordine del giorno dell’assemblea del 15 dicembre 1999 nella parte in cui, disponendo l’esecuzione delle opere necessarie per la disciplina del parcheggio delle autovetture dei partecipanti al condominio dalla stessa stabilita, non specificava le modalità e i limiti di costo delle opere stesse; respingeva la domanda di pronuncia dell’invalidità della delibera stessa relativamente alla parte in cui stabiliva la disciplina dell’uso delcortile come parcheggio per le autovetture dei partecipanti al Condominio mediante turno; dichiarava l’attore privo di interesse e di legittimazione ad agire per la pronuncia dell’invalidità di ogni altra delibera della stessa assemblea, anche con riferimento al punto 2) dell’ordine del giorno sul fondamento della tutela di beni e servizi pertinenti al capannone estraneo al Condominio stesso.

Interposto appello da parte dell’H. , nella resistenza del predetto Condominio (che formulava, a sua volta, appello incidentale), la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 690 del 2006 (depositata il 18 marzo 2006), in accoglimento del gravame principale ed in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava l’illegittimità della delibera assunta dall’assemblea condominiale in data 15 dicembre 1999, sub 2), e condannava il Condominio alla rifusione delle spese del doppio grado.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte meneghina rilevava la fondatezza del gravame principale nella parte in cui era stata dedotta la nullità della delibera relativa all’utilizzo del cortile sul quale gravava una servitù a favore del capannone (non condominiale) dell’H. , sotto il profilo dell’illegittima modifica del regolamento condominiale e dell’illegittima trasformazione del cortile in parcheggio in violazione dell’art. 10 dello stesso regolamento, avente natura contrattuale, con la conseguenza che, per  la modifica della predetta clausola del regolamento, sarebbe stata necessaria l’approvazione all’unanimità dei condomini oltre all’adozione della forma scritta (non essendo, perciò, sufficiente la mera approvazione a maggioranza qualificata).
Avverso la suddetta sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il Condominio di (omissis) , basato su due motivi, in relazione al quale si è costituito in questa sede l’intimato H.C. con apposito controricorso contenente anche ricorso incidentale riferito ad un unico motivo. Il suddetto Condominio ha, a sua volta, formulato controricorso avverso il ricorso incidentale dell’H. . I difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
1. In primo luogo deve essere disposta (ai sensi dell’art. 335 c.p.c.) la riunione dei proposti ricorsi in quanto relativi all’impugnazione della stessa sentenza (pubblicata il 18 marzo 2006 e notificata il 13 aprile 2006, con riferimento alla quale si applicava, per la formulazione del ricorso per cassazione, la disciplina dell’art. 366 bis c.p.c., introdotta dal d.lgs. 2 febbraio 2006, con riferimento alle impugnazioni relative ai provvedimenti pubblicati dal 2 marzo 2006).
2. Con il primo motivo del ricorso principale il Condominio ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 1138 c.c. avuto riguardo alla ritenuta natura contrattuale del regolamento condominiale. In particolare, il ricorrente, con tale doglianza, ha inteso prospettare l’erroneità della sentenza della Corte di appello di Milano nella parte in cui aveva ravvisato l’illegittimità della delibera adottata dall’assemblea condominiale del 15 dicembre 1999, al punto 2 dell’ordine del giorno sul presupposto che il regolamento dello stesso Condominio ricorrente avesse, per la sua origine formativa, natura contrattuale, ragion per cui, ai fini della modifica anche di una qualsiasi delle disposizioni in esso contenute, si rendeva necessaria l’unanimità dei consensi dei condomini. Con riferimento a questo motivo il ricorrente chiedeva a questa Corte, in virtù dell’art. 366 bis c.p.c., di valutare la correttezza del “decisum” della Corte territoriale e, quindi, di affermare o negare se, ai sensi dell’art. 1138 c.c., l’art. 10 del regolamento condominiale in questione dovesse considerarsi avente natura regolamentare e non convenzionale.

2. Con il secondo motivo del ricorso principale il Condominio ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 1136, comma 5, c.c. in relazione al “quorum” per l’approvazione del punto 2 dell’o.d.g. della delibera assembleare del 15 dicembre 1999, formulando, al riguardo, ai sensi del citato art. 366 bis c.p.c., il quesito di diritto nei seguenti termini:

“dica la Corte se, ai sensi dell’art. 1136 c.c., la delibera di approvazione del cortile comune a parcheggio non necessita per la sua approvazione della unanimità dei consensi di tutti i condomini, ma sia sufficiente la maggioranza di cui al comma 5 dell’art. 1136 c.c.”. Inoltre, nell’ambito dello stesso motivo il Condominio ricorrente ha dedotto il vizio di omessa motivazione della sentenza impugnata in relazione al fatto controverso della necessità dell’approvazione con l’unanimità dei consensi dei condomini in ordine alla delibera invece approvata con la maggioranza qualificata di cui al citato art. 1136, comma 5, c.c., avuto riguardo anche alla valutazione apodittica dell’art. 23 dello stesso regolamento condominiale contenente la previsione della possibilità per l’amministratore di fissare gli orari per i servizi del condominio e per l’uso dei cortili e al suo acritico raccordo con l’art. 10 del regolamento medesimo.
3. Con l’unico motivo del ricorso incidentale la difesa di H.C. ha dedotto il vizio di insufficiente motivazione della sentenza impugnata circa un punto decisivo della controversia, chiedendo a questa Corte, in relazione all’art. 366 bis c.p.c., di valutare se la delibera impugnata fosse idonea ad aggravare la servitù di passaggio pedonale e carraio e di carico e scarico a favore dello stesso H. , costituendo, di fatto, sul cortile, una servitù a favore del Condominio, vietata dall’art. 10 del regolamento condominiale.

4. Rileva il collegio che i due motivi del ricorso principale – che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi – sono fondati e devono essere, perciò, accolti.
Secondo la giurisprudenza delle Sezioni unite di questa Corte (riconducibile alla sentenza n. 943 del 1999; in senso analogo v., in precedenza, Cass. n. 642 del 1996 e Cass. n. 158 del 1966) le clausole dei regolamenti condominiali predisposti dall’originario proprietario dell’edificio condominiale ed allegati ai contratti di acquisto delle singole unità immobiliari, nonché quelle dei regolamenti condominiali formati con il consenso unanime di tutti i condomini, hanno natura contrattuale soltanto qualora si tratti di clausole limitatrici dei diritti dei condomini sulle proprietà esclusive o comuni ovvero attributive ad alcuni condomini di maggiori diritti rispetto agli altri, mentre, qualora si limitino a disciplinare l’uso dei beni comuni, hanno natura regolamentare; ne consegue che, mentre le clausole di natura contrattuale possono essere modificate soltanto dall’unanimità dei condomini e non da una deliberazione assembleare maggioritaria, avendo la modificazione la medesima natura contrattuale, le clausole di natura regolamentare sono modificabili anche da una deliberazione adottata con la maggioranza prescritta dall’art. 1136, comma 2, c.c.. Sulla scorta di tale principio la giurisprudenza successiva (v., ad es., Cass. n. 21287 del 2004 e Cass. n. 24146 del 2004) di questa Sezione (alla quale si aderisce) ha rilevato che, in tema di condominio, la delibera assembleare di destinazione del cortile a parcheggio di autovetture – in quanto disciplina le modalità di uso e di godimento del bene comune – è validamente approvata con la maggioranza prevista dal comma 5 dell’art. 1136 c.c., non essendo richiesta l’unanimità dei consensi, trattandosi di deliberazione idonea a disporre una innovazione diretta al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni (art. 1120, comma 1, c.c.).
Orbene, alla stregua di tali insegnamenti, la Corte territoriale ha errato nel ritenere che con la delibera presa con la predetta maggioranza qualificata (ed oggetto di impugnazione) con la quale era stato approvato il godimento turnario del cortile comune ad uso parcheggio collidesse con la disposizione di cui all’art. 10 del regolamento condominiale che vietava “di occupare” anche temporaneamente le parti comuni, poiché, in effetti, essa mirava ad evitare condotte arbitrarie di condomini che avessero inteso appropriarsi per uso esclusivodi porzioni comuni ma non poteva implicare l’esclusione dell’adottabilità di deliberazioni intese a consentire una migliore disciplina dell’uso del cortile. In altri termini, la predetta disposizione del regolamento condominiale non poteva considerarsi contenente alcun esplicito divieto in ordine alla possibilità di disciplinare il parcheggio dei condomini, conformandosi piuttosto come una norma regolamentare finalizzata all’utilizzazione delle parti comuni, senza implicare limitazioni dei singoli diritti e senza determinare alterazioni a vantaggio soltanto di alcuni dei partecipanti alla collettività condominiale ed in pregiudizio di altri, oltre a non comportare l’alterazione della misura del godimento che ciascun condomino aveva in ragione della propria quota, in modo tale da assumere la natura di clausola contrattuale, alla stregua dell’indirizzo giurisprudenziale tracciato da questa Corte. Del resto, la mera indicazione, in un regolamento condominiale, della destinazione di una cosa comune non determina una connotazione reale del bene, consentendone un miglior regolamento del suo uso, come verificatosi nella specie con riferimento all’utilizzazione del cortile, in modo da permettere ad ogni avente diritto l’uso del parcheggio, con il rispetto del pari diritto degli altri condomini, così come disciplinato con la delibera oggetto di impugnazione, oltretutto in consonanza con la previsione dell’art. 23 dello stesso regolamento condominiale che demandava all’assemblea di stabilire le norme e gli orari proprio per l’uso del cortile.

Alla stregua di tali presupposti, ovvero in virtù della natura regolamentare dell’art. 10 del regolamento condominiale e della previsione del potere dispositivo contenuto nell’art. 23 dello stesso regolamento, deve rilevarsi l’erroneità della sentenza impugnata con la quale è stata dichiarata la nullità della deliberazione impugnata perché non adottata all’unanimità, mentre sarebbe stata sufficiente la sua approvazione con la maggioranza prevista dall’art. 1136, comma 5, c.c., invero osservata nella fattispecie. Deve, quindi, essere enunciato al riguardo il principio di diritto secondo cui, in tema di condominio, la delibera assembleare di destinazione del cortile a parcheggio di autovetture – in quanto disciplina le modalità di uso e di godimento del bene comune – è validamente approvata con la maggioranza prevista dall’art. 1136, comma 5, c.c. (non essendo richiesta l’unanimità dei consensi) ed è idonea a comportare la modifica delle disposizioni del regolamento condominiale che si limitano a dettare norme che disciplinano, appunto, l’utilizzazione e i modi di fruizione delle cose comuni e che, in quanto tali, hanno natura regolamentare e non contrattuale.
5. Passando all’esame del motivo del ricorso incidentale si osserva che – al di là del profilo riguardantela mancata esposizione della sintesi del vizio motivazionale dedotto (in ordine al disposto dell’art. 366 bis c.p.c.) – la relativa doglianza è destituita di pregio. Infatti, come correttamente rilevato sul punto dalla Corte territoriale, il gravame concerneva in via esclusiva l’esame della legittimità della delibera dell’assemblea condominiale del 15 dicembre 1999 limitatamente al punto 2) che riguardava la formazione di otto posti macchina con riferimento alla supposta violazione della clausola n. 10 del regolamento condominiale. Con la censura in esame, invece, la difesa dell’H. ha inteso prospettare una questione nuova attinente all’eventuale aggravamento della servitù costituita a favore del mappale 215, che non costituiva propriamente oggetto del “thema decidendum” della controversia, avente ad oggetto la validità o meno della predetta delibera con riguardo all’evidenziato profilo di possibile illegittimità per contrasto con una disposizione del regolamento condominiale. In altri termini, con il motivo in questione il ricorrente incidentale, che aveva impugnato l’anzidetta delibera in qualità di condomino, ha manifestato l’intento di voler estendere l’ambito della causa ad un aspetto ad essa estraneo in quanto concernente un ipotetico aggravamento della servitù costituita a favore di un immobile non facente parte del condominio e, quindi, relativo ad un rapporto autonomo e diverso tra le parti (eventualmente tutelabile con separata azione ma estraneo a quella instaurata originariamente con la domanda dedotta con riferimento alla controversia “de qua”).

6. In definitiva, alla stregua delle complessive ragioni esposte, deve essere accolto il ricorso principale e respinto quello incidentale, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata (in ordine, appunto, al ricorso ritenuto fondato) ed il rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Milano, che si conformerà al principio di diritto enunciato al termine del paragrafo 4) e provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte, riniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.

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