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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza del  3 dicembre 2012, n. 46629

In fatto e in diritto

Ha personalmente proposto ricorso per cassazione M.M. avverso la sentenza della Corte di Appello di Genova del 21.10.2011, che confermò la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal locale Tribunale il 14.1.2004, per il reato di appropriazione indebita di tre ciabattine da mare per bambini.
Con l’unico motivo, deduce il vizio di violazione ed erronea applicazione di legge in relazione all’art. 49 c.p., per avere ritenuto la concreta offensività della condotta di reato nonostante la sostanziale assenza di qualunque lesione patrimoniale derivante dalla condotta contestata. Nel ricorso è citata Cass. 28.6.2011 n. 25674 in tema di coltivazione domestica di marijuana.
Il difensore di parte civile ha resistito con memoria scritta.

Il ricorso è infondato.

La Corte di merito rileva esattamente che l’ingiusto profitto, per conseguire il quale è posta in essere la condotta di appropriazione indebita, non deve connotarsi necessariamente in senso patrimoniale, ben potendo essere di diversa natura (Cass. Sez. 2, n. 40119 del 22/10/2010 Pasquinelli). D’altra parte, la giurisprudenza richiamata dal ricorrente, secondo cui la coltivazione domestica di una piantina di canapa indiana contenente principio attivo pari a mg. 16, posta in un piccolo vaso sul terrazzo di casa, costituisce condotta “inoffensiva” ex art. 49 cod. pen. e non integra quindi il reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, si riferisce ad un caso in cui veniva in questione un rapporto diretto ed esclusivo dell’autore del fatto con una cosa, mentre nel caso di specie si tratta di relazioni personali all’interno delle quali la condotta antigiuridica di un soggetto si riflette senz’altro nella sfera degli interessi altrui.
Il valore economico dell’oggetto del reato può poi considerarsi minimo ma non inesistente, alla stregua di un parametro di vantazione normativamente considerato come potenziale fattore non di esclusione, ma di attenuazione del fatto di reato (cfr. art. 62 nr. 4 c.p.). Senza dire che la stessa strumentalità della condotta di reato costituisce, nella specie, come in definitiva bene rileva la Corte di merito, sintomo indubbio di offensività del fatto, e di non tranquillizzante prognosi rispetto alla futura reiterazione di condotte analoghe, soprattutto in mancanza di una dissuasiva risposta repressiva.
Si può discutere semmai dell’eccesso di mobilitazione giurisdizionale per fatti del genere, che possono attivare il percorso di tre gradi di giudizio attingendo anche il vertice del sindacato di legittimità, ma la decisione deve tenere conto degli attuali assetti normativi. Le iniziative risarcitorie del ricorrente, infine, non possono reagire sull’illiceità penale della condotta precedente.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato, con le conseguenti statuizioni sulle spese processuali, e con la ulteriore condanna del ricorrente al pagamento delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile E. B., che si liquidano in complessivi Euro 1260,00, oltre I.V.A. e C.P.A..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile Erminia Bagnoli, che liquida in complessivi Euro 1260,00, oltre I.V.A. e C.P.A..

Depositata in Cancelleria il 03.12.2012

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