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La massima

Il notaio che, quand’anche sistematicamente, offra la propria prestazione ad onorari e compensi più contenuti rispetto a quelli derivanti dall’applicazione della tariffa notarile, non pone in essere, per ciò solo, un comportamento di illecita concorrenza, essendone venuta meno la rilevanza sul piano disciplinare della relativa condotta.

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza del 17 aprile 2013, n. 9358

…omissis…

4) Le censure sono fondate.

Secondo l’orientamento tradizionale, di recente riassunto da Cass. 26961/07, “La riduzione degli onorari e dei diritti notarili, effettuata dal notaio in modo ripetuto e continuato, costituisce di per sè una forma di illecita concorrenza, a norma del comma secondo della Legge Notarile n. 89 del 1913, art. 147, rappresentando un mezzo di pubblicità e di richiamo idoneo a porre in essere un comportamento disdicevole, con la conseguenza che per integrare l’illecito non è necessario uno specifico comportamento doloso, ma è sufficiente la volontarietà del fatto in sè, ossia una volontà, considerata in rapporto alla condotta, in contrasto con la legge, mentre è irrilevante che da tale comportamento non derivi un danno per il prestigio della classe notarile o dei colleghi o la circostanza che i clienti del notaio non si siano resi conto del trattamento di favore usato nei loro confronti”.

Con riferimento a fatti compiuti anteriormente all’entrata in vigore del citato D.L. n. 223 del 2006, art. 2, si è ritenuto (Cass., 15 aprile 2008, n. 9878) che sia “da escludere che, in relazione all’attività notarile – concretantesi nello svolgimento di una pubblica funzione, per l’esercizio della quale l’ordinamento prevede l’istituzione di pubblici ufficiali, in possesso di particolari requisiti soggettivi, nominati a seguito di un esame d’idoneità, soggetti a vigilanza e periodici controlli ispettivi, sottoposti a rigorose regole disciplinari – sia ipotizzabile la possibilità di una libera prestazione di servizi, in regime di concorrenza, da parte di altri professionisti dello stesso paese o di altri paesi della Comunità, la quale renda incompatibile l’inderogabilità delle tariffe con le menzionate disposizioni CE”.

4.1) Questo orientamento è considerato non più attuale dal Collegio, alla luce della sopravvenuta evoluzione normativa costituita dal D.L. n. 223 del 2006, art. 2, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. n. 248 del 2006, nella cui vigenza è stata posta in essere la condotta addebitata all’odierna ricorrente.

Conviene riprendere testualmente la sentenza resa sul ricorso 5998/12, trattato e deciso nella odierna camera di consiglio. Si è ivi osservato che la norma citata, “nel testo risultante dalle modifiche apportata dalla legge di conversione, prevede:

– l’abrogazione, a partire dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali… l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime (comma 1, lett. a);

– l’adeguamento, entro il 1 gennaio 2007, delle disposizioni deontologiche e dei codici di disciplina che contengono le prescrizioni di cui al comma 1, anche con l’adozione di misure a garanzia della qualità delle prestazioni professionali, e, in caso di mancato adeguamento, la nullità, a decorrere dalla medesima data, delle norme in contrasto con quanto previsto dal comma 1 (comma 3).

Il legislatore del 2006 disvela anche la finalità del superamento del previgente assetto regolamentare della materia tariffaria.

L’abrogazione dell’obbligatorietà delle tariffe fisse, con la conseguente conformazione delle norme deontologiche e dei codici di autodisciplina, mira a rafforzare la libertà di scelta del cittadino consumatore e la promozione di assetti di mercato maggiormente concorrenziali, anche al fine di favorire il rilancio dell’economia e dell’occupazione (art. 1), rendendo possibile la libera concorrenza nel settore dei servizi professionali e garantendo agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato (art. 2, comma 1).

4.2) Ad avviso del Collegio, l’abrogazione della obbligatorietà di tariffe fisse o minime riguarda la generalità delle professioni, senza eccezione alcuna; nè la portata riformatrice del precedente assetto – orientata alla tutela della concorrenza e ad offrire all’utente una più ampia possibilità di scelta tra le diverse offerte, maggiormente differenziate tra loro, sia per i costi che per le modalità di determinazione dei compensi (Corte cost., sentenza n. 443 del 2007) – può essere ridimensionata dall’interprete in ragione delle specificità dell’attività notarile.

In particolare, non può convenirsi con il giudice a quo quando afferma che, per l’attività notarile, la riduzione tariffaria costituirebbe un vulnus dell’ordine pubblico economico in quanto riguarderebbe prestazioni effettuate nell’esercizio di una funzione pubblica, in relazione alla quale non sarebbe ipotizzabile il regime di libera concorrenza.

Invero, l’attività del notaio si inquadra a pieno titolo nel genus del lavoro autonomo e, precisamente, nell’esercizio delle professioni intellettuali (Cass., Sez. 2^, 10 novembre 1998, n. 11284; Cass., Sez. 2^, 11 maggio 2012, n. 7404; Cass., Sez. 3^, 28 settembre 2012, n. 16549).

4.3) Come ha chiarito la giurisprudenza della Corte di giustizia (con sentenze della Grande Sezione in data 24 maggio 2011, emesse nella causa C-50/08 ed in altre cause, le quali hanno dichiarato che il requisito di cittadinanza previsto dalla normativa francese e da altre normative nazionali per l’accesso alla professione di notaio costituisce una discriminazione fondata sulla cittadinanza vietata dall’art. 43 CE), i notai, nei limiti delle loro rispettive competenze territoriali, esercitano la loro professione in condizioni di concorrenza; e la circostanza che le attività notarili perseguano obiettivi di interesse generale, miranti in particolare a garantire la legalità e la certezza del diritto degli atti conclusi tra privati, non è sufficiente a far considerare quelle attività come una forma di partecipazione diretta e specifica all’esercizio dei pubblici poteri.

Del resto, l’inserimento dell’attività notarile nel quadro dei servizi professionali ai quali si applica la disciplina della concorrenza è confermato dalla successiva evoluzione normativa, in particolare dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, recante Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27. Esso, nel completare il quadro avviato con il D.L. n. 223 del 2006, non solo non eccettua, ancora una volta, i notai dalla prevista abrogazione delle tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico e delle disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano a dette tariffe (art. 9); ma anche introduce, accanto all’incremento del numero dei notai, ulteriori forme di concorrenza nei distretti, modificando la norma sull’assistenza personale allo studio e stabilendo, a modifica delle originarie disposizioni contenute nella legge notarile del 1913, che il notaro può recarsi, per ragione delle sue funzioni, in tutto il territorio del distretto della Corte d’appello in cui trovasi la sua sede notarile, ed aprire un ufficio secondario nel territorio del distretto notarile in cui trovasi la sede stessa (art. 12).

4.4) D’altra parte, la sopravvivenza della inderogabilità della tariffa notarile neppure potrebbe desumersi dal fatto che gli onorari dovuti al notaio secondo la tariffa per gli atti originali (e non genericamente i compensi spettanti al notaio) costituiscono, in virtù di specifiche disposizioni di legge, il parametro sulla cui base sono calcolati, oltre a tributi, contribuzioni relative anche al funzionamento dei consigli notarili distrettuali e del consiglio nazionale del notariato (v., ad esempio, la L. 22 novembre 1954, n. 1158, art. 39, concernente la tassa d’archivio, che le parti devono corrispondere all’amministrazione degli archivi notarili tramite il notaio sulla base dell’onorario della tariffa notarile per l’originale di ogni atto tra vivi soggetto a registrazione e di ogni atto di ultima volontà). Un conto, infatti, è il compenso spettante al notaio, in relazione al quale, essendo venuta meno l’obbligatorietà della tariffa fissa, le parti possono legittimamente, secondo la disciplina liberalizzatrice a tutela della concorrenza, stabilirne di comune accordo una misura inferiore a quella derivante dalla tariffa ministeriale; altro è che, ad altri fini, la tariffa costituisca ancora una base di riferimento per l’esatto versamento della tassa d’archivio e dei contributi agli organi istituzionali di categoria.

4.5) Infine, non è condivisibile l’assunto secondo cui l’inderogabilità della tariffa dei notai sarebbe stata ripristinata ad opera del D.Lgs. n. 249 del 2006, art. 30, il quale, nel riformulare l’art. 147 della legge notarile con l’espressa previsione della punibilità del notaio che fa illecita concorrenza ad altro notaio, con riduzioni di onorari, diritti o compensi, è contenuto in un atto avente forza di legge entrato in vigore successivamente tanto al D.L. n. 223 del 2006, quanto alla Legge di Conversione n. 248 del 2006.

Deve infatti escludersi che il D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249, art. 30, (pubblicato nel supplemento ordinario n. 184 della Gazzetta Ufficiale dell’11 agosto 2006 e destinato ad entrare in vigore il quindicesimo giorno successivo alla predetta data di pubblicazione) sia posteriore alla Legge di Conversione 4 agosto 2006, n. 248 (le cui modificazioni al D.L. n. 223, sono entrate in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta nel supplemento ordinario n. 183 dell’11 agosto 2006). E’ infatti in base alla promulgazione che va stabilita l’anteriorità o posteriorità di una legge rispetto alle altre ai fini dell’abrogazione attiva o passiva, mentre la pubblicazione ed il decorso del termine di vacatio valgono a segnare l’entrata in vigore, e quindi l’applicabilità della legge.

In questo senso è la giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo cui per stabilire l’anteriorità o la posteriorità di una legge rispetto ad un’altra deve farsi riferimento alla data della promulgazione e non a quella della pubblicazione, sicchè la legge promulgata successivamente abroga quella promulgata prima anche se pubblicata dopo (sentenza n. 321 del 1983).

Ne consegue che il D.Lgs. n. 249 del 2006, art. 30, essendo stato emanato il 1 agosto 2006, è anteriore alla L. n. 248 del 2006, promulgata il 4 agosto 2006; e quest’ultima, avendo una valenza di sistema e di riforma economico-sociale, con l’esplicito obiettivo di assoggettare tutte le professioni ai principi di tutela della concorrenza, prevale sulle anteriori discipline professionali di settore.

Il venir meno, dopo l’abrogazione della obbligatorietà delle tariffe fisse o minime, della rilevanza disciplinare della percezione, da parte del notaio, di compensi più contenuti rispetto a quelli stabiliti dalla tariffa, è del resto confermata dall’adeguamento alla nuova disciplina legislativa, da parte del Consiglio nazionale del notariato, dei principi di deontologia professionale dei notai.

Mentre, infatti, il testo di quei principi approvato del 26 gennaio 2007 faceva ancora rientrare tra le fattispecie di illecita concorrenza l’annotazione a repertorio di onorari minori o ridotti rispetto a quelli che devono essere indicati in base alla natura dell’atto (art. 17, lett. a, terzo alinea); il nuovo testo, approvato con deliberazione n. 2/56 del 5 aprile 2008, per un verso ha eliminato detta previsione e, per l’altro verso, ha omesso il richiamo deontologico alla disposizione dell’art. 147 della legge notarile nel nuovo art. 24, comma 2, lett. c), relativo ai rapporti del notaio con il Consiglio nazionale del notariato e con la Cassa nazionale del notariato.

4.6) Conclusivamente, per effetto della disciplina introdotta dalla legge di conversione n. 248 del 2006, di conversione del D.L. n. 223 del 2006, il notaio che, quand’anche sistematicamente, offra la propria prestazione ad onorari e compensi più contenuti rispetto a quelli derivanti dall’applicazione della tariffa notarile, non pone in essere, per ciò solo, un comportamento di illecita concorrenza, essendone venuta meno la rilevanza sul piano disciplinare della relativa condotta.

– Detta rilevanza neppure potrebbe fondarsi assegnando alla tariffa o ai criteri di massima determinati dai consigli notarili distrettuali il ruolo di parametro di valutazione della congruità del compenso stesso sul versante del rapporto tra il notaio e la categoria di appartenenza ai fini della tutela del decoro e del prestigio della professione notarile.

Tale ragionamento sostituisce all’apprezzamento del singolo notaio circa l’importanza dell’opera ed il suo coefficiente di difficoltà una valutazione ex ante di natura generalizzata affidata alla tariffa, con la sostanziale reviviscenza dell’obbligatorietà della stessa; e, con un non consentito rovesciamento di prospettiva, finisce con il collidere con la ratio dell’intervento legislativo del 2006, la quale, al fine di rendere effettiva la libertà del cliente di orientarsi consapevolmente, di preferire e di decidere, ha inteso perseguire la tutela dell’interesse generale proprio mediante l’introduzione della concorrenza su uno degli elementi più qualificanti, il prezzo, dell’attività economica del professionista.

Si consideri, d’altra parte, che l’art. 2233 c.c., comma 2, nel prevedere che in ogni caso la misura del compenso deve essere adeguata all’importanza dell’opera e al decoro della professione, è norma destinata ad assumere rilievo solo in mancanza di un’intesa fra gli interessati circa la misura del corrispettivo dovuto per la prestazione professionale (Cass., Sez. 2^, 22 gennaio 2000, n. 694;

Cass., Sez. Lav., 20 luglio 2007, n. 16134), sicchè qualora il compenso del professionista sia stato liberamente pattuito con il cliente, il giudice non ha il potere di modificarlo al fine di adeguarlo all’importanza dell’opera prestata e al decoro della professione (Cass., Sez. 2^, 22 novembre 1995, n. 12095). La citata disposizione, inoltre, esplicando la propria rilevanza esclusivamente nell’ambito dei rapporti tra il professionista ed il cliente, non si rivolge (agli ordini professionali nè) ai consigli notarili, i quali non hanno il potere di pretendere, sul piano deontologico, che il compenso della prestazione professionale, liberamente pattuito, sia in ogni caso adeguato a parametri che, di fatto, reintrodurrebbero l’obbligatorietà della tariffa notarile.

Diversamente ragionando, e lasciandosi ai consigli notarili il compito di attivare i propri poteri di monitoraggio, di vigilanza e di indagine sul notaio che richieda compensi più bassi rispetto a quelli medi della categoria, si giungerebbe ad un condizionamento del comportamento economico del professionista sul mercato, incentivandolo, al fine di sottrarsi ad un procedimento disciplinare dall’esito incerto, a continuare ad applicare tariffe imposte, in aperto contrasto, ancora un volta, con la ratio legis.

4.7) Ferma l’irrilevanza disciplinare della mera adozione, da parte del notaio, di comportamenti di prezzo indipendenti sul mercato, l’estensione dell’autonomia privata, con la conseguente possibilità di pattuire compensi inferiori rispetto a quelli discendenti dalla applicazione della tariffa, non deve in ogni caso tradursi in un pregiudizio per il cliente in termini di qualità della prestazione (come è reso palese dalla norma che affida alle disposizioni deontologiche delle diverse categorie professionali ed ai codici di autodisciplina il compito di prevedere misure a garanzia delle qualità delle prestazioni professionali: D.L. n. 223 del 2006, art. 1, comma 3), nè può realizzarsi attraverso pratiche professionali scorrette e con strumenti di acquisizione della clientela non conformi all’etica della comunità professionale alla quale il notaio appartiene e del più vasto gruppo sociale entro il quale svolge la sua professione e anche la sua vita di relazione (cfr., con riferimento agli avvocati, Cass., Sez. Un., 18 novembre 2010, n. 23287; Cass., Sez. Un., 10 agosto 2012, n. 14368).

Di qui l’importanza, per un verso, della previsione di regole deontologiche che quella qualità consentano sempre di assicurare, in conformità delle speciali e peculiari caratteristiche tecniche della professione notarile. Il notaio, infatti, giurista di alta qualificazione che accede alla professione a seguito di una rigorosa selezione e sottoposto a vigilanza e controlli ispettivi anche a fini disciplinari, è un pubblico ufficiale con il compito di attribuire agli atti di cui è autore il carattere di autenticità, assicurandone al contempo la conservazione, l’efficacia probatoria e la forza esecutiva; ed il suo intervento, tanto per la consulenza che fornisce in modo imparziale ma attivo alle parti, come per la redazione del documento autentico che ne è il risultato, conferisce all’utente del diritto la sicurezza giuridica e, prevenendo possibili liti, costituisce un elemento indispensabile per la stessa amministrazione della giustizia. Ma come la tariffa non è di per sè garanzia della qualità della prestazione, cosi la deroga alla tariffa con la pattuizione di un compenso più basso rispetto alla stessa non equivale in alcun modo a prestazione scadente.

Di qui, ancora, la sanzionabilità, sotto il profilo disciplinare, dell’illecita concorrenza realizzata attraverso comportamenti del notaio contrari ai doveri di correttezza professionale o servendosi di altri mezzi non confacenti al decoro ed al prestigio della classe notarile, come il citato art. 147, comma 1, lettera e, continua a prevedere, una volta venuto meno, per abrogazione, il riferimento alla condotta di riduzioni di onorari, diritti o compensi. Il che avviene, a titolo esemplificativo, quando il notaio esegua la propria prestazione in modo sistematicamente frettoloso o compiacente o violi il principio di personalità della prestazione, ovvero provveda a documentare irregolarmente, anche dal punto di vista fiscale, la prestazione resa, o ponga in essere comportamenti di impronta prettamente commerciale non confacenti all’etica professionale (si pensi all’acquisizione di rapporti di clientela a mezzo di agenzie o procacciatori o con modi non conformi alla correttezza o al decoro, o, ancora, all’offerta di servizi, come finanziamenti e anticipazioni di somme, che non rientrano nell’esercizio dell’attività notarile) o non adeguati alla diligenza del professionista avveduto e scrupoloso, o che possano comunque nuocere alla sua indipendenza, alla sua imparzialità e alla sua qualità di pubblico ufficiale”.

5) Dalle argomentazioni svolte discende l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso, restando assorbito il terzo.

Esso concerne la violazione e falsa applicazione dell’art. 30 della tariffa notarile approvata con D.M. 27 novembre 2001, e la denuncia di vizi di motivazione.

Le censure riguardano le contestazioni disciplinari relative alla applicazione sistematica di compensi inferiori ai minimi di tariffa e attengono alla sussistenza in punto di fatto degli addebiti, irrilevante alla luce dei principi di diritto che ne escludono la consistenza disciplinare.

6) E’ invece da respingere il quarto motivo, con il quale il notaio denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 26 del codice deontologico e dell’art. 147 L.N. e vizi di motivazione.

La censura si riferisce all’addebito di cui agli artt. 26 e 147 della legge notarile, che sanzionano la stipula in maniera costante e sistematica di atti fuori dallo studio professionale, nonchè nei giorni e nelle ore di assistenza obbligatoria. La sentenza riferisce che è stato accertato che, nel mese di ottobre 2009, 62 atti su 87 della raccolta (il 71%) vennero stipulati fuori dalla sede di (OMISSIS), dei quali 27 nei giorni di assistenza obbligatoria in sede; nel mese di novembre 51 su 78 atti stipulati fuori sede, di cui 9 nei giorni di assistenza obbligatoria.

La ricorrente sostiene che il numero degli atti stipulati fuori sede “non può assumere in sè alcuna rilevanza ai fini dell’accertamento della violazione dell’obbligo in questione, dal momento che il combinato disposto di cui agli artt. 6 e 26 L.N. non vieta la stipulazione di atti fuori sede ma vincola il notaio ad assicurare la presenza nella sede di assegnazione soltanto nei giorni e negli orari stabiliti dal presidente della corte d’appello ed eventualmente dal consiglio notarile”.

Ne desume che l’unico dato rilevante ai fini della responsabilità disciplinare è solo il numero di atti stipulati fuori sede nei giorni e negli orari di assistenza obbligatoria. In proposito la ricorrente deduce che “nella maggior parte dei casi l’orario di stipulazione degli atti contestati non rientrava nella fascia oraria deputata all’assistenza alla sede, di talchè a tali atti non poteva attribuirsi alcuna rilevanza ai fini della individuazione della sua eventuale responsabilità disciplinare”.

Si duole pertanto della omessa valutazione di tale circostanza e afferma che soltanto 22 atti su 165 complessivi (e 36 oggetto di specifico rilievo) erano stati stipulati al di fuori degli orari di assistenza alla sede stabilita dal presidente della corte d’appello.

6.1) Il motivo non merita accoglimento.

La Corte di appello ha ricordato che secondo l’art. 6: “Per il miglior soddisfacimento delle richieste di prestazione notarile il notaio è tenuto ad assistere personalmente allo studio anche in giorni e per ore diversi da quelli fissati dal Presidente della Corte di Appello, secondo le disposizioni impartite dai Consigli Notarili sulla base della situazione locale della sede e tenendo conto dei criteri indicati dall’art. 45, comma 2 R.N. e di ogni altro elemento.

Il Consiglio Notarile propone al Presidente della Corte di Appello una revisione dei giorni e degli orari di assistenza sulla base dei propri deliberati.

Nei giorni ed ore prescritti per la personale assistenza allo studio il notaio è tenuto a limitare le proprie prestazioni fuori della sede a singoli e particolari casi”.

Secondo l’art. 9: “E’ vietato al notaio assistere ad uffici secondari nei giorni fissati per la assistenza alla sede”.

Ha poi ritenuto, sulla base dei dati sopra riportati che il grande numero di atti stipulati fuori sede, sia in generale, che nei giorni di assistenza obbligatoria, in considerazione della brevità del tempo di osservazione, della tipologia impegnativa degli atti (mutui e vendite) e della loro scadenza continuativa dimostrassero che l’incolpata avesse avviato una “pratica costante e sistematica”.

Ha aggiunto che per gran parte degli atti non vi era alcun riferimento soggettivo (le parti) nè oggettivo (gli immobili) alla sede notarile “o al suo ufficio secondario”, circostanze valorizzate anche nella decisione della CoReDi integralmente riportata nella sentenza impugnata e in essa recepita.

Queste valutazioni non si espongono alla critica, poichè costituiscono un’applicazione ragionevole dei principi deontologici ricordati, da leggere unitariamente, nel senso che è la sede dello studio notarile il luogo su cui deve essere incentrata l’attività del professionista, circostanza contraddetta nella specie, dall’alta incidenza percentuale – tra il 62 e il 71% – degli atti più significativi posti in essere fuori sede. Coerenti con questa valutazione di sostanziale elusione dell’obbligo deontologivo è l’evidenziazione dell’assenza di nesso con la sede dei fattori che potevano giustificare l’attività fuori sede per specifiche esigenze della clientela.

La complessiva valutazione è assorbente – e quindi ha sicuramente tenuto conto – delle difese relative all’orario di svolgimento delle prestazioni e si sottrae quindi alla censura di omessa motivazione delle circostanze ad esso relative.

E’ logico e coerente con l’assunto svolto in sentenza il presupporre che a poco vale l’accortezza di fissare gli orati di stipula in momenti non ricompresi nella fascia oraria espressamente vincolata, atteso che l’attività complessiva che ruota intorno alla stipula implica un insieme di incombenze e di adempimenti che, a fronte di una percentuale così alta di atti svolti fuori sede, documentano la violazione dell’obbligo di cui all’art. 6, laddove impone al notaio di assistere personalmente allo studio anche in giorni e per ore diversi da quelli fissati dal Presidente della Corte di Appello.

La tesi di parte ricorrente vorrebbe capovolgere il senso di questa disposizione e del suo nesso con l’art. 9. Quest’ultima disposizione sancisce la ingiustificabilità di atti compiuti fuori sede in orari ufficialmente calendarizzati per la sede principale, ma non si traduce, come vorrebbe il ricorso, nella facoltà, fuori da tale fascia vincolata, di fissare arbitrariamente il centro effettivo dei propri interessi professionali.

E’ la sede notarile che, a legislazione vigente, rimane il perno intorno a cui deve ruotare e su cui va commisurato deontologicamente – l’operato del professionista.

Per effetto dell’accoglimento dei primi due motivi del ricorso, la sentenza impugnata è cassata in relazione alle censure accolte.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito.

Il notaio C. deve essere assolto dall’incolpazione di violazione dell’art. 147, comma 1, lett. c), della legge notarile.

Resta ferma la condanna alla sanzione pecuniaria di Euro 100 per l’altra violazione contestata.

8. – Sussistono evidenti motivi, atteso l’accoglimento parziale del ricorso e la novità dell’orientamento giurisprudenziale che è prevalso, per l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie primo e secondo motivo di ricorso, assorbito il terze.

Rigetta il quarto motivo.

Cassa senza rinvio la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e assolve il notaio ricorrente dagli addebiti relativi.

Spese compensate.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 8 gennaio 2013.

Depositato in Cancelleria il 17 aprile 2013

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