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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza  9 ottobre 2013, n. 22990

Svolgimento del processo

G.P. , A. e G. con atto di citazione del 14 marzo 2000 convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Caltanissetta la sig.ra N. al fine di ottenere una servitù coattiva di condotta fognaria sul fondo di proprietà della convenuta.
Si costituiva la convenuta opponendosi alla richiesta avversaria e osservando che il tracciato prefigurato dagli attori sulla sua proprietà non rispondesse ai requisiti di cui agli artt. 1037 e 1043 cc. e, comunque, che in ogni caso una condotta fognaria, realizzata sulla sua proprietà non confinante direttamente con la conduttura pubblica, non avrebbe potuto soddisfare le esigenze degli attori non consentendo l’effettivo smaltimento delle acque impure. Piuttosto, la N. assumeva che il tracciato più idoneo per lo scarico fognario di cui si dice poteva essere individuato sul fondo del vicino tale Gu.An. dove già era esistente la fognatura costruita dal medesimo Gu. a servizio del suo immobile e collegata con il collettore pubblico. Di seguito a tale difesa della convenuta si riteneva opportuno integrare il contraddittorio nei confronti del Gu. . Anche il Gu. si costituiva contestando la domanda dei G. .
Il Tribunale di Caltanissetta, con sentenza n. 157 del 2004 tenuto conto chela CTU che aveva individuato il tragitto meno pregiudizievole per realizzare la condotta di cui si dice,nei pressi del confine della proprietà N. , accoglieva la domanda dei G. .
Avverso tale sentenza proponeva appello la sig.ra N. per tre motivi.
Si costituivano i G. , i quali contestavano il contenuto dell’appello e, in via incidentale, chiedevano che le spese del primo grado nei confronti del sig. Gu. fossero poste a carico della N. , atteso che la chiamata in causa era stata diretta conseguenza della difesa della stessa N. .
Si costituiva anche Gu. chiedendo il rigetto dell’appello proposto perché infondato.
La Corte di appello di Caltanissetta con sentenza n. 105 del 2007 rigettava l’appello principale e accoglieva l’appello incidentale ponendo a carico della sig.ra N. le spese giudiziali disposte a vantaggio del Gu. a carico della sig.ra N. . A sostegno di questa decisione la corte di Caltanissetta osservava: a) che la costituzione di servitù coattiva trovava fondamento normativo negli artt. 1043 e 1037 cc. ed essa era consentita anche per lo scarico di acque nere ed il passaggio doveva snodarsi secondo i principi generali del tratto più conveniente e meno pregiudizievole per il fondo servente. A tal fine il CTU aveva individuato il tracciato meno pregiudizievole per il fondo servente per via del fatto che esso si collocava in posizione vicino al confine dello stesso, b) dagli atti di causa emergeva che la chiamata in giudizio di Gu. sebbene effettuata dagli attori G. era stata la conseguenza della tesi sostenuta dalla sig.ra N. e pertanto le spese processuali sostenute dal terzo chiamato andavano poste a carico della sig.ra N. .
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da N.D. con ricorso affidato a due motivi. G.A. , G. e P.F. (erede di G.P. ) hanno resistito con controricorso. C.S. , erede di G.P. in questa fase non ha svolta attività giudiziale.

Motivi della decisione

1.- Con il primo motivo al sig.ra N.D. lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1037 in relazione all’art. 1043 cc. anche in relazione agli artt. 115 e 116 cpc (art. 360, primo comma, n. 3 cpc) nonché omessa o in subordine, insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360, primo comma, n. 5 cpc) ed ancora, la vioalzioen e falsa applicazione dell’art. 2697 cc. anche in relazione agli artt. 115 e 116 cpc, (art. 360, primo comma, n. 3 cpc).
Avrebbe errato la Corte nissena, secondo la ricorrente, nel confermare la sentenza di primo grado nella parte in cui quella sentenza aveva disposta la costituzione sul fondo dell’odierna ricorrente di una servitù coattiva di scolo di acque nere in favore di quelle di proprietà dei sigg. G. perché non sussistevano i presupposti di cui agli artt., 1037 e 1043 cod. civ. la Corte di merito non avrebbe considerato, sempre secondo la ricorrente, che una servitù coattiva possa essere costituita laddove non vi sono alternative per il proprietario del fondo dominante e avrebbe omesso di considerare che tali presupposti fossero insussistenti. La sentenza impugnata avrebbe anche omesso di verificare se la normativa dettata per la servitù di scarico di acque pure fosse applicabile anche ad una servitù di scarico di rifiuti di latrina, limitandosi semplicemente ad affermare che essa è consentita anche per lo scarico di acque nere. E di più, la Corte nissena avrebbe omesso, altresì, di considerare che l’esistenza di tutti e non di alcuni soltanto dei presupposti di legge dovesse essere provata in applicazione dell’art. 2697 cc. da parte di coloro che intendevano far valere in giudizio il loro preteso diritto, ovvero dagli originari attori.
La ricorrente, pertanto conclude formulando i seguenti quesiti:
a) Dica la Corte che in tema di costituzione di servitù coattiva di scarico il Giudice debba accertare l’esistenza di tutti presupposti previsti dagli artt. 1037 cc. in relazione all’art. 1043 cc tra i quali anche quello dell’impossibilità per il fondo dominante di provvedere diversamente alla eliminazione di propri scarichi che costituisce requisiti implicito ma connaturato per ogni servitù coattiva così come statuito dalla pregressa giurisprudenza del Supremo collegio non potendosi limitare al solo accertamento del minor pregiudizio per il fondo servente. b) Dica la Corte che la servitù di scarico di rifiuti di latrina non possa essere costituita coattivamente ma solo negozialmente in quanto i rifiuti provenienti dai servizi igienici non sono acque e materiali e che le norme dettate in materia di servitù di scarico delle acque non possono essere applicate in via analogica allo scarico dei rifiuti di latrina perché norme eccezionali di stretta interpretazione. c) Dica la Corte che in tema di costituzione di servitù coattiva è onere della parte richiedente allegare e provare a norma dell’art. 2697 cc. l’esistenza di tutti presupposti per la sua costituzione ivi compreso quello dell’impossibilità per il fondo dominante di provvedere diversamente alla eliminazione dei propri scarichi che costituisce requisito implicito, ma connaturato per ogni servitù coattiva, così come statuito dalla pregressa giurisprudenza del Supremo Collegio.
1.1.- Il motivo è infondato.
È giusto il caso di evidenziare:
a) che – come è stato affermato da questa Corte (Cass. n. 3750 del 19/02/2007, n. 1398 del 21/04/1976) la servitù coattiva di scarico può essere domandata per liberare il proprio immobile sia da acque sovrabbondanti potabili o non potabili, provenienti da acquedotto o da sorgente esistente nel fondo o dallo scarico di acque piovane, sia dalle acque impure, risultanti dal funzionamento degli impianti agricoli od industriali o degli impianti e servizi igienico sanitari degli edifici. L’art. 1043 cod. civ., infatti, non autorizza alcuna distinzione tra acque impure ed acque luride, intese quest’ultime come acque di scarico delle latrine, poiché anche queste sono impure, né fornisce alcun criterio di distinzione tra le une e le altre, trattandosi pur sempre di acque.
Piuttosto, il riferimento alle acque impure contenuto nel secondo comma dell’art. 1043 cc, è fatto unicamente per stabilire che, in caso di acque impure, la servitù coattiva è subordinata all’adozione di particolari precauzioni. Per altro, non sarebbe giustificata un’interpretazione restrittiva della norma in questione, nel senso di escludere il riferimento alle acque luride o cc.dd. nere, neppure sotto il profilo di un’impossibilità di adottare particolari precauzioni per evitare inconvenienti al fondo servente, dal momento che il livello della moderna tecnologia consente sicuramente di realizzare ogni opportuna cautela, nel senso voluto dalla legge, anche per gli scarichi di acque luride.
b) Sotto altro aspetto, che i presupposti della costituzione di una servitù di scarico coattivo ex art. 1043 cod. civ. non differiscono, compatibilmente con il diverso contenuto della servitù, da quelli contemplati dall’art. 1037 cod. civ. per la costituzione della servitù di acquedotto coattivo. Pertanto, come per l’acquedotto coattivo, anche lo scarico di acque è necessario: a) che si escluda che il proprietario del fondo dominante non abbia altre alternative per liberarsi delle acque di scarico; b) che il tragitto per tale scarico sia: 1) il più conveniente, in modo equilibrato, sia per il fondo servente che per il fondo dominante; 2) il meno pregiudizievole per il fondo servente; avuto riguardo alle condizioni dei fondi vicini, al pendio ed alle altre condizioni per la condotta, per il corso e lo sbocco delle acque (art. 1037 cod. civ.).
1.2.- Ora, nel caso in esame, la sentenza impugnata ha correttamente ricondotto la situazione, oggetto di controversia, alla normativa di cui all’art. 1043 e ha avuto modo di accertare l’esistenza dei presupposti per riconoscere ai sigg. G. la servitù coattiva di cui si dice.
A ben vedere, la Corte nissena:
1.2.a)- in piena coerenza con il principio espresso da questa Corte e già richiamato, ha chiarito che la costituzione coattiva della servitù di scarico oggetto di controversia era consentita anche per lo scarico di acque nere ai sensi e per gli effetti della normativa di cui agli art. 1043 e 1037 cod. civ..
1.2.b).- con ragionamento logico e, soprattutto, ponderato, ha escluso che nel caso in esame vi fosse una soluzione alternativa a quella della costituzione della servitù coattiva di cui si dice dato che (pag. 8,9 della sentenza impugnata) laddove vi fosse la possibilità di allacciarsi alla condotta fognaria pubblica, tale soluzione era l’unica perseguibile sia pure rispetto all’eventuale creazione di fosse asettiche nel suolo, perché lo smaltimento fognario permette anche il successivo trattamento delle acque reflue e la loro bonifica a tutela della salute pubblica e nel rispetto della normativa di cui alla legge della Regione siciliana n. 27 del 1986, cosa non prevista con il sistema delle fosse asettiche o fognatura di tipo statico.
1.2.c).- Ha chiarito, dopo aver valutato e ponderato la relazione peritale, che il tragitto dello scarico d cui si dice ed indicato dalla consulenza peritale era il meno pregiudizievole per il fondo servente e il più conveniente sia per il fondo servente che per quello dominante dato che il tragitto indicato dal CTU si collocava in posizione vicino al confine dello stesso fondo servente con la possibilità di interramento adeguato e mantenimento dell’utilizzazione del fondo servente nonché il più conveniente per il fondo dominante dato che avrebbe consentiva un collegamento dimensionale adeguato alla condotta fognaria.
Pertanto la sentenza impugnata non merita alcuna censura e sia pure nella considerazione che la ricorrente, non indica, neppure, una o altra alternativa concreta e possibile idonea ad evitare la costituzione della servitù di cui si dice. Piuttosto la ricorrente si è limitata ad affermare che nel caso concreto i sigg. G. non avrebbero dimostrato l’esistenza dei presupposti per la costituzione della servitù di scarico oggetto della controversia, nonostante, gli – stessi avevano evidenziato la loro necessità di liberare il proprio immobile delle acque nere, immettendosi nella fognatura pubblica ed avevano indicato la necessità di attraversare il fondo della N. , quale unica possibilità per immettersi nella fognatura pubblica.
2.- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione della legge regionale siciliana n. 16 del 1963 e dell’art. 35 della legge n. 142 del 1990 recepita dalla Regione siciliana in forza dell’art. 14 lettera P dello statuto della Regione siciliana, dall’art. 1 della legge regionale siciliana n. 48 del 1991 (art. 360, primo comma, n. 3, cpc). Secondo la ricorrente nel caso in esame la servitù coattiva di scarico sul fondo dell’odierna ricorrente non poteva essere costituita dato che lo stesso non confinava con la condotta fognaria pubblica. Piuttosto, ritiene la ricorrente che tra la condotta fognaria pubblica e il proprio fondo vi è un terreno del Comune il quale non è stato presente nel giudizio e non ha espresso il consenso di consentire il passaggio sul proprio fondo. In verità, il documento cui fa riferimento la Corte di merito che consiste nell’autorizzazione per allaccio fognolo rilasciata dal Comune di Caltanissetta sottoscritta dal capogruppo su ordine dell’ingegnere capo non è in grado, secondo sempre la ricorrente, di incidere direttamente sul patrimonio comunale, creando una servitù di scarico di materiali di latrina favore dei fondi G. ed a carico della terra di proprietà del Comune di Caltanissetta. D’altra parte, alla luce dell’ordinamento degli enti locali vigente all’epoca dei fatti nella regione siciliana era quello approvato con la legge n. 16 del 1963 così come successivamente integrata e modificata, la competenza a disporre dei beni comunale è della Giunta Comunale quale organo cui è demandata la competenza residuale a compiere tutti gli atti non riservati agli altri organi comunali e, pertanto, la competenza a porre in essere tutti gli atti dispositivo del patrimonio comunale e/o che incidono in qualunque modo sulla consistenza dello stesso.
Pertanto, conclude la ricorrente, dica la Corte Suprema che nella Regione siciliana ai sensi dell’art. 35 della legge n. 142 del 1990 recepito nella Regione Siciliana in forza dell’art. 14 lettera P dello Statuto Speciale, dall’art. 1 della legge regionale siciliana n. 48 del 1991, vigente alla data del 6 agosto 1999) la competenza a gravare la servitù la proprietà comunale spetta unicamente alla Giunta Municipale, non essendo sufficiente a tal fine una semplice autorizzazione per allaccio alla fognatura comunale, rilasciata dall’ingegnere capo, facendo salvi i diritti dei terzi e revocabile ad nutum.
2.1.- Il motivo è inammissibile, non solo perché prospetta un’eccezione nuova non formulata nel giudizio di appello e, come tale, non proponibile, per la prima volta, nel giudizio di cassazione, ma, e, soprattutto, perché il richiamo alla concessione per il raccordo alla fogna pubblica attraverso il terreno di proprietà del Comune di Caltanissetta è stata prospettata ad abundantiam e, come tale, non identificativa della “ratio decidendi” della sentenza.
E di più, la censura, nonostante sia stata formulata quale violazione o falsa applicazione di leggi regionali, denuncia sostanzialmente un’errata interpretazione dell’atto amministrativo della concessione cui fa riferimento la Corte nissena, epperò, in questi termini, la censura sarebbe inammissibile perché non indicherebbe i canoni interpretativi che la Corte avrebbe omesso di osservare.
In definitiva, il ricorso va rigettato e la ricorrente, in ragione del principio della soccombenza ex art. 91 cpc, condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente, in favore degli eredi di G.P. (G.A. , G. e P.F. ) al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi.

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